"L'Inter ha riaperto la corsa scudetto", si dice e si legge dall'immediato post-gara di domenica sera. La domanda è: poteva mai già essere chiusa questa corsa a metà novembre? Seriamente?
Il locomotore calcio italiano viaggia sempre più sui binari dei luoghi comuni e non su quelli dell'approfondimento. Del commento al risultato e non dell'analisi. Eppure il passato - come dicono quelli bravi - è lì per insegnare. Eppure basta un palo-fuori o un palo-dentro per cambiare giudizi e modificare l'approccio. Si è parlato tanto di un'Inter non in grado di vincere gli scontri diretti, senza andare a sviscerare pezzo per pezzo le partite in questione. Poi arriva Inter-Napoli 3-2 e d'incanto qualcuno si desta dal torpore. Ma cosa ci avevano detto i precedenti scontri diretti? Cose non così diverse da quelle raccontate dai 100 minuti di San Siro dell'altra sera, ad essere onesti. Basta sapere o voler guardare oltre il tabellino.
A partire da Inter-Atalanta, la squadra di Simone Inzaghi ha sempre dato l'impressione (e non solo) di comandare o, alla peggio, di poter gestire il match. Con i bergamaschi, ma pure con la Lazio, con la Juventus e con il Milan, i campioni d'Italia si erano fatti preferire sia sotto il piano del gioco che sotto il piano della personalità. Era mancata la stoccata vincente, basti pensare alle tante chance fallite (compresi un paio di penalty gettati alle ortiche). E, soprattutto, più di un episodio era girato contro (più d'uno tra Lazio, Juve e derby). Ma guardando bene, non è che queste sfide sono state così differenti da quella con il Napoli. Nell'ultima occasione, però, i nerazzurri hanno concretizzato maggiormente, andando sopra di due nel punteggio, e così facendo sono riusciti a portare a casa la vittoria nonostante gli ultimi minuti in trincea.
E non è tutto. Domenica sera è finalmente morto pure un altro ritornello che si trascinava da un mese, quello della crisi di Lautaro: il Toro è tornato a segnare (e che gol!) come sa e può fare. Che non stesse attraversando un periodo particolarmente brillante era evidente, ma da qui a metterne in dubbio le qualità ce ne passa. Periodi di buio capitano a tutti gli attaccanti, ma anche qui l'analisi dovrebbe andare oltre il tabellino: in questa striscia senza reti, l'argentino spesso era comunque stato utile alla squadra e talvolta il gol fallito era stato una questione di centimetri. C'era poi il discorso su Calhanoglu, bollato come "flop" senza nemmeno dargli il tempo di adattarsi in una squadra diversa e in un ruolo diverso. La risposta del turco è arrivata dirompente proprio nel derby da ex e proseguita contro il Napoli: due big-match giocati ad alto livello.
Per questioni di tempo conviene fermarsi qui, perché ci sarebbe da sottolineare anche la prova di Ranocchia al cospetto del temutissimo Osimhen (non era bollito?), quella di Darmian (forse il giocatore più sottovalutato di tutto il campionato, anche da alcuni tifosi interisti), quella (ennesima) di Perisic e così via. Insomma, avete capito. Va beh, consoliamoci: campionato riaperto (ride).
Il locomotore calcio italiano viaggia sempre più sui binari dei luoghi comuni e non su quelli dell'approfondimento. Del commento al risultato e non dell'analisi. Eppure il passato - come dicono quelli bravi - è lì per insegnare. Eppure basta un palo-fuori o un palo-dentro per cambiare giudizi e modificare l'approccio. Si è parlato tanto di un'Inter non in grado di vincere gli scontri diretti, senza andare a sviscerare pezzo per pezzo le partite in questione. Poi arriva Inter-Napoli 3-2 e d'incanto qualcuno si desta dal torpore. Ma cosa ci avevano detto i precedenti scontri diretti? Cose non così diverse da quelle raccontate dai 100 minuti di San Siro dell'altra sera, ad essere onesti. Basta sapere o voler guardare oltre il tabellino.
A partire da Inter-Atalanta, la squadra di Simone Inzaghi ha sempre dato l'impressione (e non solo) di comandare o, alla peggio, di poter gestire il match. Con i bergamaschi, ma pure con la Lazio, con la Juventus e con il Milan, i campioni d'Italia si erano fatti preferire sia sotto il piano del gioco che sotto il piano della personalità. Era mancata la stoccata vincente, basti pensare alle tante chance fallite (compresi un paio di penalty gettati alle ortiche). E, soprattutto, più di un episodio era girato contro (più d'uno tra Lazio, Juve e derby). Ma guardando bene, non è che queste sfide sono state così differenti da quella con il Napoli. Nell'ultima occasione, però, i nerazzurri hanno concretizzato maggiormente, andando sopra di due nel punteggio, e così facendo sono riusciti a portare a casa la vittoria nonostante gli ultimi minuti in trincea.
E non è tutto. Domenica sera è finalmente morto pure un altro ritornello che si trascinava da un mese, quello della crisi di Lautaro: il Toro è tornato a segnare (e che gol!) come sa e può fare. Che non stesse attraversando un periodo particolarmente brillante era evidente, ma da qui a metterne in dubbio le qualità ce ne passa. Periodi di buio capitano a tutti gli attaccanti, ma anche qui l'analisi dovrebbe andare oltre il tabellino: in questa striscia senza reti, l'argentino spesso era comunque stato utile alla squadra e talvolta il gol fallito era stato una questione di centimetri. C'era poi il discorso su Calhanoglu, bollato come "flop" senza nemmeno dargli il tempo di adattarsi in una squadra diversa e in un ruolo diverso. La risposta del turco è arrivata dirompente proprio nel derby da ex e proseguita contro il Napoli: due big-match giocati ad alto livello.
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