In principio fu Klopp, poi il 3-5-2 religioso, ora il doppio play Eriksen-Brozovic. Nelle sue 'metamorfosi', Antonio Conte ha cambiato identità all'Inter almeno tre volte in quattro mesi, rifiutando a priori ogni integralismo tattico di cui è stato tacciato in varie fasi della sua carriera. Il tecnico leccese ha plasmato la sua creatura partendo con un'idea audace, quella di arrivare ai tre punti dando spettacolo, senza farsi condizionare dal risultato. 'Enjoy' è la parola che racchiude questa nuova filosofia, cestinata non appena gli spettri dell'eliminazione in Champions e della fuga del Milan in campionato stavano diventando concreti. Il ravvedimento dell'allenatore arrivò dopo la brutta figura europea contro il Real Madrid, un 2-0 che mise al muro i nerazzurri in campo continentale.
In seguito a quel tonfo, si decise di tornare all'antico adottando i principi di gioco che avevano portato la squadra a due secondi posti nella stagione precedente: baricentro basso, percentuale di possesso palla inferiore al 50%, reparti stretti e verticalità immediata alla ricerca delle due punte. Il cambio di strategia porta subito i suoi frutti: al 3-0 spartiacque col Sassuolo, con Barella nell'insolita posizione di centrocampista centrale, seguono 8 risultati utili consecutivi in tutte le competizioni, compreso lo 0-0 con lo Shakhtar che proprio utile non è stato. Anzi, è costato l'esilio dall'Europa, la vera sentenza definitiva che per ora sposta i giudizi sull'operato del tecnico nel suo secondo anno in nerazzurro. In quella notte da incubo mancarono le letture a gara in corso dell'uomo (mai) seduto in panchina: faccia a faccia con gli ucraini, che giocarono a fare l'Inter, Conte ritardò inspiegabilmente gli ingressi di Sanchez (75') ed Eriksen (85'), irrigidendosi sull'idea manifesto del suo pensiero calcistico che non contempla individualismi che escano dal sistema. Nell'arco di un girone di Champions, Conte è passato dal voler trasformare l'Inter nel Liverpool al non rischiare due cambi offensivi in una gara chiusa a doppia mandata in cui l'unico risultato ammissibile era la vittoria. Gli equilibri di squadra hanno finito per prevalere sugli equilibrismi, intesi come le capacità di destreggiarsi con abilità e spregiudicatezza in situazioni delicate. Con la conseguenza infausta di un'uscita di scena dalle Coppe, il cui rumore è stato appena attutito domenica scorsa grazie al sorpasso in vetta alla classifica ai danni del Milan.
Così, mentre le altre big della Serie A sono impegnate in campagne europee più o meno impossibili, il comandante Antonio progetta la dominazione della nazione con il nuovo soldato Christian Eriksen, finalmente strategico anche in chiave vittoria pure in un big match. Dopo la giocata che aveva mandato ko il Milan in Coppa Italia, il danese si è saputo calare nel contesto del 3-5-2 più puro producendo anche gioco, nuove linee di passaggio che in campo si sono tradotte in maggiore imprevidibilità offensiva. Non è un caso che la connection con Brozo abbia mandato Lautaro da solo davanti a Reina prima che Hoedt lo travolgesse in area. Nell'azione che porta al rigore, poi trasformato per l'1-0, il centrocampista danese si apre perfettamente sulla linea laterale per ricevere il passaggio del croato e poi appoggiarsi con un tocco di prima sulla boa Lukaku, il cui feeling con Lautaro è noto. Qualità al servizio della squadra e non la squadra al servizio della qualità dello straordinario campione che è il classe '92 di Middelfart. Non un fantasista classico che ispira le due punte partendo dalla zona centrale, ma un play itinerante che si muove su tutta l'ampiezza della trequarti e che può aprire strade inesplorate da mezzali meno tecniche come Vidal e Gagliardini. Questo quando l'Inter ha la palla, poi c'è l'altra fase, quella passiva: praticamente perfetta, enciclopedica, nel 3-1 rifilato alla Lazio grazie all'applicazione di Perisic da terzino, i 14 km percorsi da Brozovic e una difesa tornata ermetica. In questo contesto di sacrificio si è calato perfettamente con le sue caratteristiche anche Eriksen, facilitato come i compagni da una situazione di punteggio da difendere dopo appena 22'. A cosa serve dominare l'avversario chiudendolo nella sua trequarti quando puoi essere letale nei minuti in cui hai la palla? Ecco perché Eriksen, in questo ragionamento, è un valore aggiunto più che un lusso che l'Inter non può permettersi. "Sta iniziando a capire cosa vogliamo da lui, adesso ha fatto un passo avanti verso di noi. Lui è un giocatore che dà qualità, ha una gamba rabbiosa con un grip diverso rispetto a prima. Averlo trovato è un'arma in più per me, sono più sereno perché posso contare su di lui", ha spiegato Conte domenica sera. Riponendo definitivamente in un cassetto il dogma dell'infallibilità del modulo che prevede due mezzali muscolari. Una ricerca che è passata da esperimenti falliti, eliminazioni dalle Coppe e un sorpasso sui cugini che assomiglia tanto a un passo in avanti nell'evoluzione delle idee di gioco del tecnico. Da kloppiana a contiana, l'Inter ha scoperto che l'equilibrio tra dominio e vittorie, spettacolo e risultato lo poteva dare un certo Christian Eriksen.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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