Potrebbe anche avere unito l’utile al dilettevole, visto che la sua visita a Madrid non si è consumata solo nell’intento di incontrare il suo nuovo allenatore ma ha avuto anche altri risvolti come testimonia l’incontro anche con il presidente dell’Atletico Madrid Enrique Cerezo in compagnia di altri delegati cinesi. Ma è fuori di dubbio che, al di là delle motivazioni istituzionali, se Zhang Jindong decide di lasciare per qualche giorno Nanchino e recarsi in Spagna per motivi comunque prevalentemente legati al calcio, business nel quale è entrato in tempi abbastanza recenti, allora le motivazioni alla base sono davvero di quelle forti. E del resto, è difficile biasimarlo: se non fosse per la sua figura che appare costantemente un po’ algida e austera, si può immaginarlo quasi come un bambino che all’improvviso si ritrova davanti il suo idolo di sempre.

Quello della famiglia Zhang per Antonio Conte è un pallino sorto già qualche anno fa, quando osservò l’allora ct azzurro nella sua avventura all’Europeo del 2016 alla guida di quell’Italia che comunque si fece apprezzare per il gioco espresso prima di essere eliminata ai quarti di finale al termine di una lotteria di rigori con la Germania dai toni a tratti anche tragicomici. Da quel momento, padre e figlio hanno cominciato ad abbozzare l’idea che lui sarebbe stato l’elemento giusto per assecondare i sogni di gloria che Suning culla per l’Inter, e pazienza per il suo passato juventino che prevedibilmente avrebbe causato malumori da più parti anche solo al pensiero. E da quel momento che probabilmente hanno iniziato a pianificare un assalto dapprima impossibile, poi improbabile, poi gradualmente diventato sempre meno sfocato fino a diventare clamorosamente concreto per giungere alla fumata bianca e alla stretta di mano con il nuovo tecnico, da esporre a futura memoria come rappresentazione iconica del concetto di ‘niente è impossibile’, specie per un uomo che è partito da un negozietto di condizionatori ed ha costruito un impero globale nel mondo del commercio.

Ha scelto, l’Inter, Antonio Conte, per ripartire. Ha scelto una squadra che dopo i due anni con Luciano Spalletti, il tecnico che volenti o nolenti ha costruito le fondamenta sulle quali poi costruire la nuova Inter che si vuole rivedere primeggiare in Italia e combattere in Europa prima che il compito di completare l’opera venisse affidato a un nuovo architetto. Un architetto con le idee ben chiare: un uomo che ha accettato la sfida dell’Inter, con tutti gli annessi e connessi derivati, perché con l’Inter condivide la fame di vittoria, le ambizioni, la determinazione. Un uomo che un tempo sarebbe rientrato facilmente nella definizione di ‘sergente di ferro’, tutto disciplina e regole ferree, ovvero quella categoria di tecnici che storicamente ha segnato i momenti di gloria dei nerazzurri, da Helenio Herrera a José Mourinho passando anche per Eugenio Bersellini e Giovanni Trapattoni, e che pare aver già dato un primo imprimatur sulle linee di comportamento da far adottare ai giocatori, dagli allenamenti all’uso dei social.

Soprattutto, Antonio Conte da Lecce è uno di quei tecnici che al solo pensiero di accontentarsi di un piazzamento, destino ineluttabile dell’Inter di questi ultimi anni, si riempie di bolle su tutta la pelle e comincia a sputare fuoco, tale è l’allergia a tutto ciò che non riguarda la vittoria. Il che può anche far parte del suo carattere che qualcuno definisce aspro, ma da questo punto di vista rappresenta per l’Inter una vera garanzia per il tanto anelato salto di qualità sul piano mentale: non più una squadra che deve lottare per obiettivi minimi ma deve puntare sempre al massimo risultato, perché otto anni con una bacheca riempita solo dalle ragnatele sono francamente troppi da digerire e allora, se proprio si deve svoltare, allora bisogna farlo fino in fondo con un tecnico che nella sua carriera di allenatore ha saputo costruire palazzi bellissimi partendo quasi da macerie. E che sin da subito ha chiarito quello che sarà il suo motto della sua avventura nerazzurra: “mai più pazza, la mia dovrà essere un’Inter regolare e forte”, un’entrata in tackle decisa e convinta anche su uno dei capisaldi della filosofia e della retorica che accompagna il club.

A questo punto, però, occorre fermarsi e riflettere un attimo: perché è giusta l’ambizione di Conte di voler costruire un’Inter vincente, come è legittimo, anche se appare non condivisibile ai più, implementare nel nuovo sistema quelli che sono i suoi geni derivanti da un lungo passato in un ambiente con determinate caratteristiche, opposte e pressoché inconciliabili con quello è che il suo nuovo mondo. Conte non vuole più la Pazza Inter, e viene da sorridere pensando a come avrebbe reagito lui di fronte alle difficoltà incontrate dall’Inter, giusto per fare l’esempio più recente, nell’ultima sfida di campionato contro l’Empoli, dove una qualificazione in Champions League che sembrava un fatto assodato è rimasta in bilico fino agli ultimi minuti di gioco. Conte vuole un’Inter più regolare e ne ha ben donde, ma su questo aspetto dovrà prestare molta attenzione, perché non sono rari i casi in cui qualcuno che dall’esterno ha cercato di imporre una sorta di mutazione genetica a quelli che sono i tratti peculiari di una società ha creato danni di proporzioni atomiche. La stessa Inter, per dirne una, ha vissuto un esempio clamoroso con Marcello Lippi, un’operazione che ha causato una pesantissima crisi di rigetto i cui sintomi sono perdurati anche nella sciagurata stagione a firma Marco Tardelli. Si possono temperare e smussare certe attitudini, sicuramente, ma sfuggire completamente a quello che è il tuo Dna non si può mai. Anzi, sia bravo Conte a farsi valere coi suoi metodi ma al tempo stesso sia capace di farsi trascinare dall’onda emotiva di follia dell’ambiente interista, e sappia incanalarla nel verso buono, superando anche lo scetticismo della corrente degli irriducibili e portando tutti dietro di sé a soffiare sulle vele della nuova barca. Ad urlare Amala, insomma, ma al tempo stesso a farsi amare fino in fondo lui.

Ma soprattutto, Conte deve essere assecondato in quello che è il secondo punto del suo programma: Conte vuole un’Inter forte e prima di ogni cosa deve essere un’Inter forte, specie adesso che la tenaglia del settlement agreement è un lontano ricordo e che le plusvalenze di giugno si possono fare per volontà prima ancora che per necessità. L’obiettivo è quello di creare una squadra degna di un mister di tale rango, che potrà anche apprezzare la rosa attuale ma non può non chiudere gli occhi davanti a certe pesanti lacune che si sono palesate in questi anni. La miglior garanzia, in tal senso, può essere rappresentata proprio dal contatto diretto con Zhang Jindong, che non ha voluto aspettare l’arrivo dell’Inter in Cina e ha preferito incontrare subito il nuovo tecnico. Mettendoci la faccia. E incoraggiandolo a creare una nuova era.

VIDEO - ALLA SCOPERTA DI... - TUTTI PAZZI PER LUCIEN AGOUME', E' LUI IL NUOVO POGBA?

Sezione: Editoriale / Data: Mer 05 giugno 2019 alle 00:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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