Intervistato dal portale GianlucaDiMarzio.com, l'ex presidente nerazzurro Massimo Moratti ha rilasciato una lunga intervista ripercorrendo il suo legame con l'Inter. Un rapporto che dura da tanto tempo: "La prima volta in cui vidi l'Inter risale al 6 novembre 1949. Avevo quattro anni: derby Inter-Milan. Finì 6-5: ci ero andato con mio padre e mio fratello, sarebbe diventata la nostra consuetudine. Vivevamo la settimana parlando dell’appuntamento della domenica, che era diventato fisso. Di quella gara ricordo la sofferenza e la gioia finale: ero molto piccolo, non ho immagini nitide".
L'acquisto del club nel '95: "L'idea di diventare presidente dell’Inter è arrivata proprio da quella sensazione: ti rendi conto che vendi emozioni alle persone. E le emozioni non hanno prezzo. Se mi fossi fermato a valutare sul piano imprenditoriale, che è sempre la cosa più intelligente da fare, avrei aperto un’azienda di calze: mi avrebbe reso di più. Ma con il calcio è diverso: sei il presidente, pensi sempre di fare la mossa giusta. Pensi di aver guadagnato tanto e che i soldi l’anno dopo saranno di più per poter investire: ritieni di fare più abbonamenti, di ottenere uno sponsor più importante, di crescere. Poi puntualmente tutto questo non si realizza ma non è importante: è un dovere nei confronti del pubblico e continui a farlo. C’è anche chi grazie a questo ruolo è diventato popolare e chi adesso fa calcoli più ragionati".
Sul sogno Cantona e l'arrivo di Ince: "Una delle più grandi spinte che mi hanno portato a fare questa enorme stupidaggine (ride, ndr) di entrare nell’Inter fu l’idea di poter trattare due giocatori: Cantona e Ince dal Manchester United. Il secondo è arrivato, con il primo siamo stati vicinissimi: era fantastico, concreto, aveva personalità. Penso che i risultati iniziali della squadra sarebbero stati diversi con lui".
Sul rapporto con i tesserati: "Non avevo grandi frequentazioni con i giocatori, c'erano quelli che mi appassionavano di più, a cui ero legato da un sentimento d’affetto. Magari non erano nemmeno i più forti ma li vivevo come un tifoso: soffri con loro, se sbagliano ci resti male. Proprio Ince era uno di questi: è stato solo due anni con noi ma ero affezionato a lui. Aveva un carattere speciale, era un combattente, coraggioso, persona buonissima. Poi Recoba, che ha avuto il sinistro più bello che io abbia mai visto: mai un gol banale. In generale, mi rendo conto che a volte si tende a confondere quello che era l’affetto con la stima per chi era decisivo: come posso non voler bene a Milito? Per me è stato un mito, ha realizzato qualcosa di incredibile: mi ha fatto vincere".
Su Zlatan Ibrahimovic: "Era speciale, strano, aveva questo atteggiamento da cantante lirica. Si presentava in modo particolare, faceva finta di disprezzare gli altri ma in fondo era un trascinatore. Era simpatico, con me si è sempre comportato molto bene. Il gol al Torino del gennaio 2007? Una delle più belle nella mia storia di presidente".
Su Ronaldo il Fenomeno: "Fu l’acquisto che mi presentò al mondo del calcio. Lo facemmo a sorpresa, senza che gli altri se ne accorgessero. Anzi, da quel momento in avanti non ero più il nuovo che bussava alla porta di questo strano ambiente, ma uno da guardare con attenzione. Gli ho sempre voluto molto bene, lui ne ha voluto a me. La mia paura più grande erano i suoi infortuni: abbiamo sempre cercato di preservarlo, non sempre ci siamo riusciti. Purtroppo gli hanno sbagliato tutta la preparazione durante i Mondiali di Francia, con carichi di lavoro eccessivi su quelle ginocchia in realtà robustissime. Ma in Coppa Uefa è stato incredibile ed è merito di Simoni. C’era chi diceva che il suo calcio fosse poco organizzato, non sono d’accordo: non era spettacolare ma cercava di sfruttare al massimo proprio Ronaldo. In fin dei conti Gigi, persona splendida, fu colui che riuscì a farlo giocare meglio di tutti".
Una parentesi sugli allenatori: "Cuper? Ronaldo con lui non riuscì mai ad avere un buon rapporto. Tutti gli altri giocatori però sì: è ricordato come un ottimo allenatore. Come Lippi, preparatissimo ma non efficace da noi. La scelta dell’allenatore è sempre difficile: alla fine è il tuo dirigente di riferimento, a cui affidi la tua squadra. Sei sempre alla ricerca di un profilo che debba essere valido, che sappia gestire i giocatori importanti e creare un’armonia di gruppo. A posteriori ho notato una cosa: ho sempre alternato nelle mie scelte. Quando dovevo sostituire un allenatore giovane, poi ne cercavo uno anziano. Provi sempre ad aggiustare le cose rispetto al passato. E poi bisogna considerare questo: a volte l’allenatore lo scegli, altre volte devi essere bravo a cogliere l’occasione. Con Mourinho è stato così".
Su José Mourinho: "Gli avevo visto vincere la Champions con il Porto ma in realtà mi aveva impressionato in conferenza stampa più ancora che in partita. Era alla vigilia della semifinale di ritorno: aveva pareggiato 0-0 in casa contro il Deportivo, doveva vincere. Davanti ai giornalisti disse una cosa fantastica: che non pensava alla partita a La Coruna ma già alla finale. E non ce l’aveva per niente in tasca. Sentite quelle parole, mi sono detto: questo signore non può non passare dall’Inter".
Su Roberto Mancini: "Tra noi c’era un buon rapporto da anni. Anzi, al mio primo anno da presidente dell’Inter provai a portarlo in squadra da giocatore: era un grande campione. Quando allenava la Lazio ci sentimmo per gli auguri di Natale. Gli dissi: ‘Comincia a prepararti, che magari salta fuori qualcosa’. Abbiamo trovato in breve l’accordo".
Un retroscena su Pirlo: "Ho pensato a riprenderlo, quando avevo capito che non avrebbe rinnovato con Berlusconi. Sarebbe stata una scelta mia, la squadra stava comunque già acquisendo una sua fisionomia. Perché non è tornato? Perché ci ho pensato, appunto. Un giocatore così lo prendi subito o ti sfugge via".
Sul modo in cui portava a termine un acquisto: "Ci voleva poco a trovare un accordo con me. Mi ricordo come presi Figo. Era venuto a trovarmi al mare, stavamo parlando al bar, su uno di quei tavolini di ferro che si mettono sempre fuori. Gli dico: ‘Vuoi venire?’. Lui: ‘Sì’. Allora prendo uno di quei fogli che si mettono sotto i pasticcini, scrivo la cifra, firmo e faccio firmare a lui, che si piega il biglietto e lo mette in tasca. ‘Vai da Ghelfi, il mio uomo di fiducia, digli che quella è la cifra e che devi firmare’. Detto, fatto".
Il calciomercato si fa anche in spiaggia: "Anche con Snejider abbiamo fatto così. Ero al mare con mio figlio che mi voleva presentare un suo amico gestore di un bar sulla spiaggia, a suo dire tifosissimo dell’Inter. Era vero. Mi disse: ‘Presidente, le manca un solo giocatore per rendere questa squadra imbattibile. È Sneijder. L’ho seguito per tutto l’anno, darebbe quella velocità che ci potrebbe far vincere la Champions’. Sembrava il più grande esperto di calcio, non potevo non ascoltarlo. Ho chiamato Branca e gli ho detto: ‘Stiamogli dietro'".
Ha mai pensato di tornare? "No. Quando decidi di metterti da parte, lo fai con ponderazione: capisci che hai fatto il tuo tempo e che la tua vita da presidente ti ha dato tantissimo. Restare per forza sulla poltrona allora fa sì che davvero le critiche abbiano ragione, perché vorrebbe dire che ti ritieni un intoccabile. È giusto lasciare spazio a chi ha idee diverse e vuole provarci. Thohirè una persona perbene, ha fatto quello che doveva e si è dimostrato capace di trovare una società valida a cui vendere. Zhang è giovanissimo, ha grandi doti imprenditoriali e dimostra buon senso: non è prepotente, ha fiducia nei suoi collaboratori ma poi li valuta. Credo molto nel suo lavoro, non vuole fare la figura del Pierino".
Sulle delusioni: "Se devo pensare alla delusione più grossa, quella vera, penso al 5 maggio. Non si può dare la colpa a Gresko: era un terzino in mezzo a tanti campioni. Ero talmente svuotato dal pareggio del primo tempo che nemmeno andai negli spogliatoi. I giocatori erano convinti, per calcoli assurdi, che tanto la Lazio si sarebbe arresa per non fare un piacere alla Roma. Tutte stupidaggini e spero siano state solo quelle. Mi ha fatto anche male uscire il primo anno in Coppa Uefa contro il Lugano: ho toccato per la prima volta la realtà del fallimento di un obiettivo, ti fa capire che non tutte le cose sono positive".
Sulle soddisfazioni: "Il Triplete ma anche l’anno della vittoria della Coppa Uefa. È stato un romanzo bellissimo, anche se culminato in campionato con quella tragedia calcistica di Torino (la vittoria per 1-0 della Juve con Del Piero che regalò lo Scudetto ai bianconeri con tante polemiche per alcune decisioni arbitrali, ndr). La squadra era simpatica e i giocatori avrebbero meritato di vincere molto: quella storia di campionato aveva dato un carattere fortissimo a tutti noi. E poi per me erano emozioni nuove: impari molto, non sai se le cose ti serviranno davvero perché il calcio non è mai uguale. Ma accumuli comunque esperienze".
Su Inter Campus: "Un progetto che segue mia figlia Carlotta, è una realtà consolidata in tutto il mondo e permette a bambini e bambine anche meno fortunati di crescere con un’educazione di base, partendo dai valori dello sport".
Avrebbe risposto all'arrivo in bianconero di Cristiano Ronaldo? "Non potrei dirlo perché sarebbe antipatico nei confronti di chi c’è ora ma… sì, credo che l’Inter avrebbe dato un segnale. Penso che tutti avremmo avuto l’idea che qualcosa da fare ci fosse, anche perché Ronaldo l’aveva preso proprio la Juve. Non so chi ci fosse in giro, ma almeno un tentativo per Messi l’avremmo fatto: sarebbe stata la rovina economica totale dell’Inter ma non si sa mai… Tra l’altro, loro hanno fatto un’ottima operazione: nessuno se lo aspettava, nessuno nemmeno ne sentiva l’esigenza. Andarlo a prendere è stato un gran bel regalo per i tifosi, proprio come il nostro Ronaldo, ai tempi".
Autore: Andrea Pontone / Twitter: @_AndreaPontone
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