Quando è arrivata l’ufficialità di Ivan Perisic come nuovo giocatore del Bayern Monaco, probabilmente più di un tifoso interista ha tirato un sospiro di sollievo per una lunga telenovela durata due anni che ha trovato la più scontata delle conclusioni. L’esterno croato torna in Germania, in cerca di una nuova sfida che voleva sin dai tempi del primo Spalletti, quando furono il tecnico di Certaldo e l’allora direttore Sabatini a impuntarsi per trattenerlo a Milano nonostante le feroci corti di Mourinho. All’epoca Perisic veniva da due ottime annate con la maglia dell’Inter, nonostante i risultati fossero venuti meno. E sembrava uno di quei giocatori su cui basare il nuovo ciclo, uno di quelli che per esperienza e capacità tecniche potevano raccogliere l’eredità della maglia nerazzurra. Così non è stato, qualcosa si è inceppato. Fino all’inevitabile finale, dopo la peggior stagione di Perisic all’Inter. Cos’è andato storto, nel suo percorso?
ARMA TATTICA - Perisic era l’ultimo tassello (insieme a Miranda) della ricostruzione dell’Inter targata 2015/16, quella del Mancini-bis. Quell’estate arrivarono dieci nuovi giocatori per ridisegnare la formazione nerazzurra ed è impossibile dimenticare la lungaggine della trattativa con cui Inter e Wolfsburg si sono accordate per far sbarcare Ivan a Milano. Perisic arrivava con la fama di grande atleta ma anche di calciatore duttile: Mancini lo utilizzava in un doppio ruolo, a seconda della fase della gara. Quando bisognava recuperare palla, Perisic si muoveva per le zone centrali del campo, quasi dietro le punte, per poi allargarsi e trasformare il 4312 in 433, dove soprattutto nei primi due anni era temutissimo per la sua capacità di puntare l’uomo e usare il piede destro per rientrare o tirare oppure il sinistro per arrivare sul fondo e crossare.
PRIME - Le migliori stagioni con la maglia dell’Inter di Perisic sono state quelle dell’anno travagliato dei quattro allenatori e la prima di Luciano Spalletti. In entrambe i casi, va in doppia doppia consecutiva di gol (11) e assist (11), divenendo il secondo terminale offensivo della squadra (dietro al mai amatissimo Mauro Icardi) oltre che uno degli idoli della tifoseria. In quelle due stagioni, al di là del fattore prettamente numerico con cui Perisic testimoniava la sua indispensabilità nelle sorti dell’Inter, c’era sempre la sensazione che se il croato riusciva a puntare il proprio marcatore diretto poteva nascere un’azione da gol immediata. Ha segnato gol importanti, come quello con cui - con Frank De Boer in panchina - lui e Mauro Icardi hanno ribaltato il gol di svantaggio alla Juventus in casa, la tripletta al Chievo nell’anno di Spalletti con cui l’Inter ha incredibilmente agganciato il primo posto in classifica o - ancora - la rete allo scadere nel derby con Pioli in panchina, quando l’Inter aveva cominciato una timida rincorsa alla Champions League. Momenti, sensazioni che hanno legato Perisic alla storia dell’Inter, ma di cui
CICLI - Se da un lato l’Inter ha trovato un esterno da 10 gol e 10 assist a prezzo di saldo, dall’altro Perisic non è mai riuscito completamente a distaccarsi dai suoi difetti più marcati: sin dai tempi del Borussia Dortmund si sapeva dei suoi cali di concentrazione per cui si trovava a sbagliare posizioni, passaggi o in alcuni casi a mancare nell’applicazioni difensiva che poi è stata la principale motivazione per cui Antonio Conte lo ha bocciato nella posizione di esterno nel 3-5-2 con cui l’ex tecnico del Chelsea ha impostato la nuova Inter 19/20. Dopo la conquista della Champions League all’ultima giornata contro la Lazio nella stagione 17/18 e il conseguente mondiale da protagonista con la Croazia, l’Inter si aspettava da Perisic il definitivo salto di qualità all’interno dello spogliatoio, vista l’insistenza con cui Spalletti lo proponeva nell’undici titolare e le responsabilità che dopo tre anni di Inter un giocatore del suo calibro doveva portarsi appresso.
Qualcosa si è inceppato nell’ultima stagione, per mancanza di motivazioni o semplicemente perché Perisic si è dimostrato un ottimo giocatore ma non quel tipo di leader che si può caricare sulle spalle la squadra per un lungo periodo di tempo. Il girone d’andata 18/19 è stato tribolato, incostante - anche se i due gol con cui aveva aperto l’anno contro Bologna e Torino sembravano far ben sperare. Poi una serie di prestazioni incolore e - a fine 2018 - Keita che lo scavalca nelle gerarchie di Spalletti sulla fascia. La richiesta di cessione a gennaio, i bisticci con Icardi e il sussulto d’orgoglio quando l’ex capitano dell’Inter è stato messo fuori rosa e Perisic ha giocato il suo miglior calcio sono emblematici di un rapporto logoro in cui la strada migliore era separarsi. Senza rimpianti, perché Ivan il Terribile è stato un giocatore importantissimo per l’Inter nelle sue stagioni più complicate e uno dei motivi d’interesse per cui si potevano guardare le partite della Beneamata. Semplicemente, il calcio è fatto di cicli e quello di Perisic all’Inter si è chiuso con un pizzico di ritardo.
Autore: Marco Lo Prato / Twitter: @marcoloprato
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