Il Guerin Sportivo, a firma Stefano Olivari, analizza così la prima uscita ufficiale di Roberto Mancini dopo il suo ritorno all'Inter. Una prestazione, quella nerazzurra, che ancora non può essere rivelatoria su quello che l'allenatore potrà fare:
L’ingaggio di Roberto Mancini da parte dell’Inter si ripagherà da solo, non per i risultati che dipenderanno da una diversa qualità media della squadra (traduzione: mettere sul piatto 30 milioni veri a giugno, qualcosa già a gennaio) o per il confronto con Mazzarri che rimane un ottimo allenatore e senz’altro più addentro ai meccanismi del calcio rispetto a giornalisti e tifosi, ma perché il pupillo di Paolo Mantovani ha risvegliato con la sola sua presenza un notevole entusiasmo non solo nel mondo nerazzurro ma anche in quello degli avversari. Diversamente due squadre al punto più basso del loro ultimo quarto di secolo non avrebbero riempito San Siro per un derby in cui ci si giocava il settimo posto, con almeno 15 dei 22 in campo che solo 4 anni fa non sarebbero riusciti nemmeno ad accedere alla panchina (e non solo perché ci stavano 7 giocatori invece degli odierni e assurdi 12). Tatticamente Mancini ha cambiato la difesa, passata a 4, rischiando come è ovvio di vedersi ogni tanto un attaccante solo davanti ad Handanovic (nel derby è successo soltanto con El Shaarawy, domenica contro la Roma degli esterni che tagliano sarà un’altra faccenda) ma dando equilibrio a tutto il resto, investendo su un Kovacic che è stato fra i peggiori in campo in entrambe le posizioni (trequartista e quarto di sinistra) in cui ha giocato. Meglio riposta la fiducia in Guarin, meno ordinato ma con più colpi, ma il contesto è lo stesso in cui si muoveva Mazzarri e quindi al momento su Mancini si possono fare soltanto discorsi mediatici anche se in questo senso il suo potere dipende dalla storia personale e non dall’azionariato dei vari media: se è tornato all’Inter dopo tre scudetti vinti, non sarà per arrivare nono, a meno che nei 4 milioni netti annui non sia compreso un indennizzo contro la caduta di immagine. Inzaghi la sua luna di miele con il pubblico del Milan non l’ha ancora finita, ma essendo lì da 5 mesi si giocava quindi molto di più, logica la paura folle che ha trasmesso alla sua squadra, che ha pareggiato negli episodi importanti ma ha subito il palleggio di un’Inter che non aveva ingaggiato per l’occasione Iniesta e Xavi. Fa quello che può, navigando a vista e cercando di non sconfessare le scelte di Galliani: diversamente Essien e Torres non sarebbero partiti titolari in una partita del genere. Le scelte davvero sue, come Rami sulla destra, si sono rivelate buone e quando rientrerà Montolivo l’Europa League sarà sicura. E quindi? Il terzo posto da preliminare in Champions League, che sia Galliani che Thohir ritengono imprescindibile per un certo tipo di mercato (non sarà sfuggito ai lettori più attenti il numero di giornalisti trasformatisi in alfieri del fair play finanziario, dopo decenni passati a invocare Pelé o Cruijff e che ancora in tempi recenti invitavano a raggirare l’UEFA con i tarocchi immobiliari alla Real Madrid o le sponsorizzazioni alla PSG), per le due squadre milanesi può essere giusto un sogno e soltanto se il Napoli si suiciderà come è accaduto con il Cagliari. Certo che a parlare di quinti posti si vende di meno, ma anche con l’inganno sistematico alla lunga si vende di meno.
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