C’è qualcosa nel dna di un giocatore che lo porta a splendere nelle faide urbane. Li chiamano uomini-derby: Marco Giampaolo e Antonio Conte stanotte si affideranno a loro. E La Gazzetta dello Sport oggi in edicola elegge i possibili interpreti del ruolo partendo da Suso. "Non è che ti suggerisca d’istinto l’immagine di un leone in una arena - si legge -. Eppure: 6 maggio 2016. Lo spagnolo è in esilio al Genoa, dopo due stagioni da ignorato in rossonero. Derby torrido a Marassi. In tre minuti ne sbatte un paio nella rete della Samp. Quella doppietta gli serve per rientrare alla base e a novembre è di nuovo derby, a San Siro: altra doppietta per portare due volte in vantaggio il Milan, poi raggiunto da Perisic al 90’. Alla vigilia di Inter-Milan del 15-10-17, Suso promette: «Se segno nel derby, torno a casa a piedi». Abitava dalle parti di Milanello. Bella camminata. Il giorno dopo segna ancora nel derby consacrato dalla tripletta di Icardi. Non risulta che abbia rispettato il voto. Di sicuro, questa notte, appena convergerà da destra per arcuare il sinistro sul secondo palo, ad Handanovic saliranno le pulsazioni".
Poi il discorso, restando sul fronte rossonero, si sposta su Piatek, che "da genoano, puntò la pistola contro la Samp. Dopo 9 gol nelle prime 7 partite, si era inceppato. Cinque partite a secco. Pum: gol su rigore per pareggiare la rete di Quagliarella e avvicinare ancora di più l’approdo al Milan. Domenica scorsa il Pistolero si è sbloccato ancora su rigore e ora sfida Lukaku davanti al saloon. A gennaio arrivò in rossonero anche Paquetà, dal Flamengo. Giocare a Rio de Janeiro vuole dire convivere continuamente con l’idea del derby. Per esempio, dopo l’accordo trovato con il Milan, Paquetà ne giocò uno contro la Fluminense (14-10-2018): 3-0. Era così allegro da risultare tra i migliori nel Flu-Fla. Non segnò, segnò invece un altro futuro milanista: Leo Duarte. Paquetà aveva fatto gol qualche partita prima, al Botafogo. Condannato al paragone con Kakà fin dalla prima ora, il brasiliano cerca il gol nel derby che Riki trovò al primo colpo (5-10-2003). Paquetà ha trascorso la vigilia sgomitando prima con Giampaolo sulla “brasilianità” delle sue giocate e poi col neo-arrivato Ante Rebic per trovare spazio in squadra. Il croato ha polveri da derby, se possiamo considerare derby Eintracht Francoforte-SV Darmastad 1898, separate da una trentina di chilometri di Germania. Al piccolo club, oggi in seconda divisione, segnò infatti il suo primo gol tedesco (5-2-17). Il suo allenatore di allora, Niko Kovac, oggi al Bayern Monaco, sentenziò: «Se il Mainz lo considera un derby, lo faremo anche noi». E così Rebic segnò due gol anche al Mainz (campionato 2017-18)" prosegue la rosea.
Si passa poi al parallelismo "sulla sacralità del derby Independiente-Racing Club de Avellaneda, secondo clasico di Argentina, invece non ci sono dubbi. E non si scherza. Troppo vicine, anime dello stesso barrio, e troppa storia alle spalle per non detestarsi. Come quella volta che i tifosi dell’Independiente seppellirono sette gatti neri al “Cilindro”, lo stadio dei nemici, e innescarono un periodo di maledizione. Lucas Biglia e il Toro Lautaro portano a San Siro la faida tra Los Diabolos Rojos (tifosi Indipendiente) e la Guardia Imperial (tifosi Racing), perché uno è cresciuto in una metà di Avellaneda e l’altro nell’altra. Biglia ha respirato derby anche a Roma, per quattro stagioni".
Nello scontro tra difensori, "Alessio Romagnoli è stato a lungo un derby romano ambulante, anche se non ne ha mai giocato uno in campo in Serie A. Nel senso che è entrato nella Roma con i calzoncini corti e ne è uscito a 20 anni, senza smettere di essere laziale e di farsi accompagnare dal papà a vedere l’idolo Nesta campione d’Italia. I tifosi giallorossi gli hanno scritto sui muri cose tipo: «Romagnoli laziale, presto il funerale». Lui, da milanista, ha segnato il rigore decisivo alla Lazio nella semifinale di Coppa Italia (28-2-18), sotto la curva dove lo portava papà. Quasi un rito di maturità. Oggi cerca un derby da capitano, anche per medicare la bocciatura di Mancini. Qualcosa di forte, tipo il gol all’83’ che poi chiamò il 2-2 di Zapata nel derby del 15-4-2017. Uomo derby non significa averne vinti tanti, ma conservare sotto la pelle tutti quelli combattuti. Cicatrici comprese. Per questo l’uomo derby dell’Inter è senza dubbio Diego Godin - evidenzia il quotidiano milanese -, l’ultimo arrivato, che ha speso nove anni sul ponte della sua nave pirata a combattere il sontuoso veliero del Real Madrid. La finale di Champions del 2014, a Lisbona, sembrava l’arrembaggio buono. Gol del Faraone al 36’ che resiste fino al 90’, quando Sergio Ramos incorna la beffa. Poi nei supplementari il Real dilaga con sfregio finale di CR7 (4-1). In agosto la piccola rivincita nella Supercoppa di Spagna, sollevata dall’Atletico. Il cannibale Cristiano la prende male e stende Godin con un cazzotto a fari spenti. Il Faraone ricambia nella semifinale di Champions ’17: manda lungo CR7 che ne segna 3 e approda a un’altra finale. Una battaglia infinita, come tutta la sua carriera. Godin ha spiegato: «Io non gioco per divertirmi, ma perché sento le responsabilità». Per questo, Godin è un uomo derby per costituzione. Come spiegano nei peggiori bar di Caracas: i derby non si giocano, si vincono.
Tra i nuovi debuttanti nella straittadina milanese spicca anche Romelu Lukaku. "Il 23-11-2013 aveva la maglia numero 17 dell’Everton, i capelli lunghi e segnò una doppietta al Liverpool. Il 4-10-2015 aveva il 10, i capelli corti e ne segnò un altro ai Reds. Non ha colpito nel derby di Manchester, ma era il centravanti titolare quando lo United andò a violare il salotto del City: da 0-2 a 3-2. Marcelo Brozovic, durante la militanza a Zagabria, ha giocato contro Dinamo, Nk e Lokomotiva, i suoi veri derby cittadini. Ma il «derby eterno», così lo chiamano in Croazia, è quello tra Dinamo Zagabria e Hajduk Spalato. Rende l’idea. Brozo l’ha giocato 10 volte su 11. L’unico non giocato è l’unico che la Dinamo non ha vinto. A rischio di indolenza, Epic s’accende nelle partite roventi. Il rischio è la misura della combustione. Nella prima sfida all’Hajduk era già a far la doccia al 65’, per doppio giallo".
Attenzione anche ad Antonio Candreva, uno "che ha i lineamenti dell’uomo più mite del mondo, ma ha i documenti in regola per il patentino di «uomo derby». Lazio-Roma 3-2, 11-11-2012: in una giornata di pioggia, l’esterno scarica una punizione da 30 metri nella porta del maldestro Goicoechea. Quando riassumerà la sua avventura laziale, lo definirà il gol che gli ha trasmesso più emozioni. I tifosi dell’Aquila ricordano con piacere anche un sombrero messo in testa a Dzeko in un derby vinto dalla Roma 2-0 (7-11-2015), diventato virale, perché un derby è anche una storia di beffe e non solo di gol. Infatti fatica a scolorire nel tempo il doppio sombrero messo in testa a Nedved dal Pendolino Cafu. Alla prima stagione da interista, Candreva ha timbrato subito: un primo gol nel derby della doppietta di Suso e un secondo al ritorno, finito con lo stesso risultato (2-2). Come vedete, maschera mite, ma stigmate da vero uomo derby. Dovrebbe partire dalla panca. Nel caso, sarebbe un jolly pesante per Conte a partita in corsa".
La Gazzetta chiude la sua ampia panoramica sui derby ponendo l'accento sull'imbattibilità di Milan Skriniar: lo slovacco non ha ancora perso un derby in Italia. "Ha vinto i due con la Samp della stagione 2016-17 e tre su quattro di quelli combattuti in nerazzurro, più un pareggio. Era sulla panchina doriana quando Suso segnò quella doppietta in 3 minuti. Se lo ricorda bene. Una ragione in più per saltargli addosso in pressing, quando convergerà dalla fascia meditando il sinistro a giro che Handanovic odia come il mal di denti. Sono questi gli uomini-derby di una stracittadina che nessuno può permettersi di perdere. Anche perché un derby che si può perdere non l’hanno ancora inventato".
Autore: Stefano Bertocchi / Twitter: @stebertz8
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