Tanti aneddoti nerazzurri per Alvaro Recoba, protagonista di una lunga diretta Instagram con il canale Mario_Inter_YouTube. Ecco le principali dichiarazioni del Chino, in collegamento dal suo Uruguay: “Sono qui dal 2009, ho continuato a giocare ma io son di qua. Uno vuole tornare sempre dove nasce. Ho avuto la fortuna di conoscere il mondo, ma alla fine vuoi tornare a casa”.
Che rapporto hai con Milano?
“Vengo spesso, ora un po’ meno. Ci siamo stati con mia moglie a novembre, ho ancora la casa vicino a Como. La differenza che sentiamo di più è il cibo: in Italia ti abitui a mangiare certe cose, a me piacciono i gamberi crudi e qui non li mangio. Quando torno in Italia ne mangio a quintali (ride, ndr). In Italia si mangia da Dio ovunque. Due anni fa son stato alla ‘Bobo Summer Cup’ a Marina di Ragusa, ho mangiato dei gamberi… che spettacolo”.
Fisicamente sei in forma.
“Sono più magro ora che quando giocavo. Mi mantengo in forma, dopo che smetti perdi la massa muscolare però il peso è anche genetica. Non faccio troppo allenamento, ma mi tengo bene”.
Interviene Moriero, che saluta: ricordi la sua rovesciata?
“Ricordo, quelli erano bei tempi (sorride, ndr)".
Cosa ti ha spinto a venire all’Inter? Che sensazioni hai provato?
“I ricordi prima di arrivare in Italia erano gli uruguaiani che avevano giocato li, uno su tutti Ruben Sosa che era uno dei miei idoli. Uno quando è bambino immagina di arrivare in una grande squadra, ma non di arrivare così lontano. Il calcio che contava lo vedevi molto lontano. Ho avuto la possibilità di vedere i miei idoli come Ruben Sosa. Sei mesi prima di arrivare all’Inter avevo fatto benissimo con il Nacional, poi il mio procuratore mi ha parlato di due possibilità: Inter e Juventus. Ero un ragazzino, avevo 20 anni. Non ti accorgi di dove vai, non lo sai. Il calciatore fa una carriera, i fenomeni di adesso non sapevano di arrivare così lontano. Quando arrivo all’Inter mi trovo in un mondo completamente diverso, io e mia moglie eravamo due ragazzini. Avevo 20 anni ma avevo una responsabilità anche con i tifosi: tutti dipendono da quello che farai in campo, se il lunedì sono contenti o tristi. Una grande responsabilità a 20 anni. Ho giocato con Ronaldo, Ibra, Baggio, Veron, Zanetti e mi mancano. Se mi avessero detto di fare questa carriera all’Inter per tanti anni non me lo sarei mai immaginato. Anzi, è andato meglio di quanto immaginavo a 4 anni”.
Inter-Brescia: hai mai realizzato di aver oscurato l’esordio di Ronaldo con una doppietta?
“Per il mio modo di essere non ho mai pensato di aver fregato Ronnie, eravamo compagni. Ero felice perché per arrivare in Italia ho fatto sacrifici, non sono nato dove avevo tutto: c’erano difficoltà in famiglia. Poi ti trovi a giocare il calcio e io l’ho vissuto alla stessa maniera, felice e aiutando i compagni. Ero felice quando altri facevano gol e in quella partita ero felice perché ero all’Inter, con 70mila, 80mila che vengono a vedere la partita a San Siro. Eravamo tutti felici per l’arrivo di Ronnie, poi ho avuto la possibilità di tirare da 30 metri all’incrocio. Il lunedì dopo siamo andati al Castello Sforzesco per fare delle foto per La Gazzetta: non pensavo ai gol, ero felice perché la mia famiglia mi aveva visto e perché il calcio mi stava dando felicità. Non pensavo di aver fatto meglio di Ronaldo, non ho mai avuto quel desiderio con nessun giocatore. Ho giocato per loro e per divertire la gente, senza altri fini. Il calcio di punizione? Non ero sicuro di far gol, non lo sei mai. Ti racconto una cosa carina: faccio due gol all’incrocio, tutti dicono ‘questo è un Fenomeno’. A 2’ dalla fine della partita c’è un’altra punizione, Ronnie prende il palo. Io ero andato vicino alla palla e Ronnie, che è divertente, mi ha detto ‘Chino calci tu o calcio io?’ E alla fine ha calciato lui. In quella partita non aveva giocato male, aveva sfiorato il gol e penso sia stata l’unica partita in cui Moriero mi ha pulito gli scarpini (ride, ndr). E io non capivo cosa mi chiedesse. Mi diceva ‘Mettimi le scarpe sulle ginocchia’ e io non capivo. Poi mi ha messo il piede nel suo ginocchio e mi ha strofinato lo scarpino. Sono momenti di felicità”.
Che rapporto hai con i tuoi ex compagni?
“Ronnie non l’ho più sentito, non per un motivo particolare. Io non sono mai stato ai suoi livelli: lui è un giocatore, un mega giocatore. Non posso andare dietro lui a chiamarlo, ogni tanto ci siamo sentiti per messaggio ma non posso andare dietro per vedere se mi parla. Se ci dovessimo rivedere ci daremo un abbraccio. Con Vieri c’è un rapporto diverso, con Zanetti e Almeyda sono molto amico. Pupi lo sento una volta all’anno, ma gli voglio bene. Almeyda è un mio fratello. Sento anche Moriero, Ventola, Di Biagio, Frey, Toldo, Crespo. Li sento e quando li vedo sono felicissimo, ma ognuno fa la sua vita, tranne Bobo che fa di tutto. Io allenatore o dirigente? Ho smesso nel 2014/15, ho fatto un po’ di tutto ma non ho fatto niente. Sono un pensionato giovane. Ho fatto il calciatore, adesso ho portato due ragazzi in Germania e uno lo volevo portare all’Inter, ora è in Turchia. Ho iniziato il corso da ds, a dicembre farò il patentino da allenatore. Voglio capire dove vedermi nel calcio. Dopo 20 anni dietro il pallone, ora che ho la possibilità di scegliere, cerco di capire questo”.
Quale dei tanti gol realizzati con l’Inter ritieni il più bello o importante?
“Il primo che ho fatto contro il Brescia mi sembra uno dei migliori. Un gol può essere bello, me ne son piaciuti tanti come quello contro la Lazio a Roma. Ma il primo, dopo che lo riguardi… era da lontano, la palla è partita forte. Poi è difficile scegliere. Il gol con l’Empoli? Il problema è che tre minuti prima ci avevo provato, ma con una palla più morbida. Il portiere aveva fiducia, è uscito al dischetto. Lui ha pensato al cross, pensava di uscire in preda, invece ho tirato una palla tesa, dritta e lui è stato sorpassato dalla traiettoria del pallone”.
Il gol da calcio d’angolo era voluto?
“Come fai a saperlo? La verità è che quello è stato il primo, poi in carriera ne ho fatto altri sei. Non era così casuale (ride, ndr). Noi avevamo uno come Di Biagio che anticipava sempre tutti sul primo palo quando calciavo, capiva dove andava la palla. È una cosa in cui è difficile allenarti, nei calci d’angolo cerchi di migliorarti”.
Il 3-2 in rimonta con la Samp e l’esultanza di rabbia dopo il gol.
“Eravamo 1-0, sono entrato sul quel punteggio. Avevamo avuto occasioni, ma non girava. Arriva il 2-0 Samp, poi ho preso un palo: lì era finita, quella è la verità. Poi però capitano queste partite che devi per forza andare a vincere, magari resti messo male in difesa ma ci provi. Poi ha segnato Martins, abbiamo avuto altre occasioni e continuavamo ad andare in avanti. Ad un certo punto casino in area, Oba fa una rovesciata e arriva il 2-2 di Vieri, di ignoranza. Poi Pupi la dà a Karagounis, cross, Deki (Stankovic, ndr) ha un attimo di lucidità, me la lascia e si sposta: io ho tirato una sassata e quando lì fai il 3-2 non sai come festeggiare. A me è successo in Uruguay di fare un gol al 95’ per vincere un derby: è lo stesso. Con la Samp ho iniziato a correre, ma non sai cosa fare. Ho fatto uno scatto sotto la Curva fino all’altro calcio d’angolo, poi ci siamo fermati tutti. Una partita da ricordare perché non era semplice fare tre gol in pochi minuti”.
Il 5 maggio 2002: partita persa dall’Inter o vinta dalla Lazio?
“Ti dico quello che ho vissuto io. Ci son state mille cazzate, come che prima della partita altri avevano fatto altri risultati per favori qualcuno e altre cose. Noi siamo andati a Roma, loro lottavano per l’Europa. Siamo partiti alla grande, abbiamo fatto gol e stavamo giocando bene. Poi è arrivato il pareggio, facciamo il 2-1 e potevamo farne altri. Poi c’è stata una giocata sfortunata sul 2-2, un errore. Ci stavamo giocando lo scudetto. Colpa di Gresko? No, è colpa di tutti quelli che erano in campo. Non è mai colpa di uno. Non ho mai dato le colpe, io ho sbagliato rigori perché mi son preso la responsabiltà di calciare. Per quello sbagliato contro il Rosenborg mi assumo la responsabilità. Tornando al 5 maggio, il 3-2 è stato un colpo duro. Lì abbiamo capito che non era semplice, poi è finita sul 4-2”.
Cos’ha detto Simeone a fine partita? Ha segnato e poi ha anche pianto.
“Non mi ricordo, dico la verità. L’altro giorno mi hanno chiesto se uno nel calcio ha momenti belli o brutti. Questo momento brutto del calcio conta come dieci buoni, perché ti marca per altre cose che hai fatto. Del casino con la Juve dico che loro hanno vinto quel campionato perché meritavano. In quella partita eravamo 11 contro 11, se facevano più gol della Lazio avremmo vinto. Poi mi sono dispiaciuto perché negli ultimi 30’ non siamo riusciti a fare bene come in tutta la stagione”.
Massimo Moratti all’epoca dice “Recoba non è un semplice giocatore, è il calcio”. È vero? Moratti stravedeva per te.
“Io mi son fatto voler bene, non solo da lui ma da tutti. Non andavo a cercare lui tutto il giorno, ero un ragazzo che faceva la sua vita, stava con sua moglie. Lui aveva questa passione e io l’ho chiamato 50 volte di più quando sono andato via all’Inter rispetto a quando ci giocavo. C’era un feeling cresciuto vedendo un ragazzo che vedeva il calcio come lui voleva che fosse, con allegria. Ero una persona famosa, ma ero lo stesso di sempre”.
Poi interviene proprio l’ex patron nerazzurro… palesemente fake:
"Dal principio poteva essere credibile, poi proprio no (ride, ndr). Quando posso venire in Italia e Massimo sa che sto qui mi chiama e ci vediamo, ogni tanto lo chiamo. A me fa piacere parlare con lui, vederlo e fare due chiacchiere. Una volta l’ho incontrato e dietro di lui c’era una mia maglia, è una persona che mi diceva sempre ‘tu non vai da nessuna parte’. Ho un bellissimo rapporto, mi ha fatto felice, senza andare a cercare niente”.
C’era qualche altro top club europeo che ti voleva?
“Nel 2001, mi sembra, era uscito che potessi andare al Barcellona. Moratti era molto amico del presidente, ma ha detto subito di no, dopo due secondi”.
Cosa manca all’Inter per tornare grande?
“Il problema, e parlo del calcio italiano in generale, e che sembrava dovesse restare per sempre al top. Poi è successo che altri Paesi hanno investito su se stessi, basta vedere gli stadi. Ora in Italia hanno iniziato a sistemarli. Se 10 anni fa i calciatori top sono andati via, ci saranno dei motivi. Se oggi mi chiedi dove andare a giocare, non vado in Italia. La Premier è meglio, e io non sto parlando da esperto. Ma l’Italia non è più il centro del calcio mondiale. Non vedo un Totti, non vedo un Del Piero, non vedo un Materazzi, non vedo un Vieri, un Pirlo. L’Italia deve capire cosa ha fatto di male. Oggi c’è un giocatore in Italia che forse ha portato l’immagine giusta che è Cristiano Ronaldo. Prima ce n’erano 5/6, o due per squadra. Non parlo solo di soldi, servono progetti che convincano i giocatori. Non so le soluzioni, ma bisogna abbassare la testa e vedere cosa è stato fatto negli ultimi anni per iniziare la discesa, con il rispetto degli altri Paesi. Magari sto dicendo cazzate (sorride, ndr), ma è il mio punto di vista”.
Oggi si è parlato di Inter-Cavani.
“Magari, magari. No? In questo periodo però stiamo vivendo una situazione delicata, parlare del calcio attuale e di chi arriverà o no mi sembrano un po’ di cazzate. In questo momento ci sono cose molto più importanti. Ognuno di noi deve stare in casa, poi si vedrà. Ora in Uruguay ci siamo resi conto che il calcio non è così importante come lo vogliamo far vedere. Quando vivi situazioni drammatiche il calcio rimane dietro come importanza, molto indietro”.
Autore: Stefano Bertocchi / Twitter: @stebertz8
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