Il noumeno degli ottavi di finale non è più una chimera. Una grande Inter esalta la sua vena artistica ed espugna il campo di Praga regalando ai propri tifosi una serata unica, leggendaria, indimenticabile. L'atmosfera contro lo Slavia è magica: gara scoppiettante, con epilogo fantasmagorico. Lautaro e Lukaku decidono l'incontro: tre punti d'oro, che Antonio Conte festeggia con lacrime di gioia. Da aggiungere c'è poco altro: martedì 10 dicembre 2019, Inter-Barcellona. Un'eventuale vittoria implicherebbe il passaggio del turno: ecco perché un traguardo che a lungo pareva onirico diviene ora tangibile, sebbene a patto che i pentacampeones (il club con le cinque coppe delle grandi orecchie in bacheca) vengano sconfitti a San Siro, permettendo all'Internazionale di ritornare nella cerchia delle sedici regine della manifestazione calcistica per eccellenza. Forse anche la più spietata, tant'è che non fa sconti a nessuno. Quanto ai nerazzurri, è semplice: dipende soltanto da loro stessi. "Prepareremo l'incontro nel migliore dei modi": parola di Diego Godin, che sa bene (basta sfogliare il suo curriculum) come si sconfiggono i blaugrana.
Il drappello meneghino - percosso dalle assenze - si presenta al Sinobo Stadium con più di qualche fante in prima linea. L'unica certezza a centrocampo è Marcelo Brozovic, ossatura logico-razionale della squadra: al suo fianco Borja Valero (ghiotta opportunità per l'ispanico) e Matias Vecino, incaricati rispettivamente di far valere intelletto e passione in campo. La difesa è la solita (una diga, insormontabile), gli esterni sgroppano lungo la fascia e lì davanti, semplicemente, i due goleador si limitano a segnare. A raffica. Apre le danze il Toro, che beneficia di una percussione favolosa del suo amico e compagno di reparto. Lukaku gli stende il tappeto rosso sul Ponte Carlo: Lautaro si presta soltanto a percorrerlo, attraversando il Moldava con una certa fierezza. Gol, gioia, grinta, classica esultanza per fotografi e tifosi. Pochi minuti più tardi il favore viene ricambiato: due a zero, anzi no; calcio di rigore per i cechi, perché un minuto e mezzo prima (addirittura) si era verificato un contatto in area. Handanovic, frastornato, non para: viene spiazzato. Si rifarà nella seconda frazione di gioco: un colpo di reni che tiene in vita i suoi. Personalità da capitano.
Un plauso ai ragazzi di Praga, gente dai sani princìpi e dalla coscienza pulita. Onesti, genuini, vogliosi di giocare al calcio. Oppure a scacchi, ma in movimento. Lo stratega è Trpišovský, un Garcia boemo con deformazione cruijffiana: la palla al centro del villaggio. Ad maiora, semper. Fase di possesso melliflua (si era già intravisto qualcosina sul prato del Meazza), pedine sparse di prima vista a macchia di leopardo ma in realtà sempre ciascuna al posto più congeniale per lo sviluppo della transizione offensiva. Umili, mai smargiassi, i padroni di casa sbrogliano la loro antitesi all'altezza della trequarti di campo per sintetizzare l'azione "a modo loro": servendosi d'incantevoli triangolazioni nello stretto o, se va male, con un passaggio verticale ben calibrato. Gli ospiti osservano questo cielo di Van Gogh con una buona dose di stupore (non d'invidia, bensì di sorpresa ammirazione), per poi organizzarsi come soltanto una squadra italiana sa fare. È un peccato per i cechi che l'Internazionale, per tradizione, sappia rimboccarsi le maniche nel momento del bisogno. È così che lo Slavia non passa: Godin fa il caudillo, De Vrij il tulipano volante; Skriniar fa valere l'orgoglio slovacco in terra boema. E quando hai la pasta, servono pochi ingredienti per impreziosire il piatto.
Non è un mistero, e tutti lo sappiamo, che in fondo d'amore viviamo. Il trasporto passionale per i sostenitori nerazzurri è coinvolgente al grado estremo: novanta minuti di fibrillazione; un'eternità, ma anche una devozione. Essere interisti è esattamente questo: adirarsi per il capovolgimento di fronte che causa il pari, spasimare dannatamente perché la palla non entra... ma anche gioire, insieme a Lautaro Martinez e Romelu Lukaku, quando i due gemelli del gol esultano sotto il settore ospiti a margine di un'impresa memorabile. Il diez argentino, raccomandato a Zanetti da Milito, arricchisce il suo curriculum con una commendevole prestazione: qualche sviolinata di troppo, ma che giocatore. E poi c'è il numero nove, che da bambino non ha mai visto una partita di Champions League perché la famiglia non poteva permettersi la televisione: viene da commuoversi ammirandolo mentre corre verso la gloria eterna, siglando la marcatura del 2-1 che apre le danze ai felici pianti nerazzurri. Una rete destinata a permanere negli almanacchi. Poi, proprio a volerlo canonizzare, l'assist che dispensa con il collo esterno per lo stesso Lautaro (nell'azione del 3-1 che pone l'accento sulla vittoria) merita la più prestigiosa delle medaglie. Se esiste il premio Puskas per il miglior gol, che si attribuisca al belga un riconoscimento intitolato a Schiaffino. Il prima possibile.
Spal, Roma: poi il Barcellona. Tra ostacoli, infortuni, recuperi, motivazioni e allenamenti, l'Inter di Antonio Conte viaggia avanti per la propria strada. Con il massimo della professionalità, della concentrazione, dell'attaccamento alla maglia. In attesa della partita della morte. Tutto è possibile, come canta Tormento: che sia la volta buona per dimostrarlo a San Siro, stadio che di rimonte epiche - dal canto suo - se ne intende piuttosto bene.
VIDEO - SLAVIA-INTER, TRAMONTANA ESULTA CON UNA BANDIERA NERAZZURRA IN STUDIO
Autore: Andrea Pontone / Twitter: @_AndreaPontone
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