“Una settimana, un giorno, solamente un’ora, a volte vale una vita intera”, cantava Edoardo Bennato nel 1973. Parole in musica che tornano buone per l’Inter che a cavallo di aprile e maggio si gioca tutto in due partite, il tempo concessole dal Dio del calcio per sovvertire il proprio destino dopo i sette giorni che hanno sconvolto una stagione che prima dei tre ko di fila contemplava la parola ‘Triplete’. Il famoso percorso con Simone Inzaghi in panchina, partito nella turbolenta estate del 2021, è stato tortuoso, senza scorciatoie, persino incidentato. Ma ha permesso anche di assistere a panorami mozzafiato come quello di stasera a Barcellona. Certo, non c’è l’epica del Camp Nou, che attualmente è un cantiere aperto come la Sagrada Familia, e nemmeno quel clima ostile che nel 2010 era stato creato ad hoc dai catalani dopo il match d’andata vinto 3-1 dai nerazzurri. La partita della ‘remuntada’ mai completata che diventò ‘la sconfitta più bella della mia carriera’ nella definizione di José Mourinho. Ma quella è un'altra storia: venendo al presente, il primo round della semifinale di Champions League si gioca allo stadio olimpico ‘Lluís Companys’, sulla collina di Montjuïc, metafora perfetta per descrivere il momento in salita dei campioni d’Italia che, a eccezione dell’infortunato Benjamin Pavard, si schierano con l’once de gala, compreso il recuperato Marcus Thuram, la cui condizioni fisiche hanno movimentato la vigilia. Nessuna sorpresa, invece, dall’altra parte: senza l’infortunato Robert Lewandowski, Hansi Flick si affida ancora a Ferran Torres, già decisivo sabato scorso nella vittoria in finale di Copa del Rey con gli arcinemici del Real Madrid. Il famoso ‘falso nove’, lo spazio come centravanti di guardioliana memoria, un concetto che può essere esteso anche alla difesa, visti i metri di campo che si lasciano alle spalle Cubarsi e compagni tenendo la linea altissima. Filosofia che fa vedere subito i suoi limiti dopo neanche trenta secondi, quando proprio Tikus, con un colpo di tacco alla Crespo, gira in porta il cross di Denzel Dumfries punendo l’allegra retroguardia di casa con il gol più veloce segnato in una semifinale di Champions League. Colpito a freddo, il Barça prova a reagire con l’intraprendenza di Lamine Yamal, in campo dopo aver rischiato di dare forfait all'ultimo minuto per problemino all’inguine accusato durante il warm up. Episodi e dettagli che cambiano subito il copione che qualcuno si era già affrettato a scrivere domenica sera. Uno a zero per i nerazzurri, che al minuto 11' tremano sul tiro a colpo sicuro di Ferran Torres, libero di calciare nel cuore dell'area grazie al movimento di Dani Olmo a portare fuori Francesco Acerbi: palla a lato di un niente. Sette giri d'orologio dopo, è ancora lo spagnolo ad accarezzare l'idea del pari: la sua conclusione, da posizione defilata, fischia non lontano dalla porta difesa da Yann Sommer, fuori causa per colpa della visuale coperta. Corner non sfruttato, corner subito: l'Inter, di puro cinismo, mette a referto il 2-0 al 20' con Dumfries, l'altro giocatore recuperato, che gira in porta alle spalle di Wojciech Szczesny una torre preziosa di Acerbi. Il raddoppio dura poco perché il Barcellona non cambia il suo modo di giocare neanche sul -2 e, soprattutto, perché ha un fenomeno generazionale in rosa: al 24', Yamal si traveste da Lionel Messi, dribbla mezza Inter e trova il gol che accorcia le distanze appoggiando il suo mancino in buca d'angolo giocando di sponda col palo. Il 19 si prende sulle spalle tutto il Barcellona e poco dopo va a tanto così da un gol di un'onnipotenza calcistica incredibile: solo i guantoni di Sommer e la traversa gli negano il 2-2. E' il momento di maggior sofferenza dell'Inter, costretta da un avversario scatenato a ritirarsi nella sua trequarti con un blocco bassissimo: le combinazioni strette ai bordi dell'area portano Dani Olmo a concludere centralmente prima della mezzora. Le rare volte in cui l'Inter prova a uscire con la palla costruendo dal basso, subisce la riaggressione famelica del Barcellona che produce sempre un pericolo: il recupero palla di Yamal (sì, avete letto bene) su Bastoni, apre le porte a un altro tiro di Dani Olmo che sporca ancora i guanti di Sommer. Il gol è nell'aria, e infatti al 38' arriva puntuale: al terzo tentativo, Ferran Torres appoggia in rete il più facile dei gol chiudendo la triangolazione di pura tecnica tra Pedri e Raphinha. Conquistato il pari, però, il Barcellona perde il secondo terzino titolare per un problema fisico: Jules Koundé lascia il campo a Eric Garcia. L'allarme infortuni scatta anche in casa nerazzurra ed è di quelli che perforano i timpani: dopo un cambio di direzione, Lautaro Martinez si ferma per un guaio muscolare ma finisce il primo tempo stringendo i denti pur di non far sprecare uno slot per le sostituzioni a Inzaghi.
SECONDO TEMPO -
La ripresa comincia in parità anche per quanto riguarda i cambi: nell'Inter Mehdi Taremi prende il posto di Lautaro Martinez, il Barcellona, invece, sostituisce Gerard Martin con Ronald Araujo. Cambia poco a livello tattico, anzi: al 49', si ripete una scesa già vista nei primi minuti di match nella metà campo del Barcellona, che vacilla sul cross di Bisseck che attraversa pericolosamente tutta l'area prima che Dimarco lo alzi incredibilmente sopra la traversa da posizione privilegiata. A sua discolpa, il tiro del 32 è uscito dal piede destro. Mancato il tris col terzo tiro, l'Inter torna ad arroccarsi in difesa aggiungendo al 55' Carlos Augusto per uno stremato Dimarco: la consegna dalla panchina per il brasiliano è scontata, andare sulle tracce di Yamal. Il giro palla ipnotico culé manda fuori giri Calhanoglu, che abbatte Pedri e si prende il primo cartellino giallo del match. Il Barcellona, però, non riesce a trasformare il possesso schiacciante in superiorità nel punteggio, che cambia ma in favore dell'Inter al 64': Dumfries, ancora lui, prende l'ascensore in area e salta sulla testa di Dani Olmo, non proprio un marcatore da contraerea, per il 3-2. Neanche il tempo di esultare per il nuovo sorpasso che il Barcellona segna il 3-3: lo schema da calcio d'angolo, porta Raphinha a sparare dal limite, con la palla che sbatte sulla traversa e poi sulla nuca di Sommer prima di superare beffarda la linea di porta. I colpi di scena non sono finiti, anche perché dalle panchine entra altro materiale pirotecnico: Fermin Lopez tra i padroni di casa e Davide Frattesi per gli ospiti. L'esultanza arriva di lì a poco, ma non per il 4-3: tutto lo stadio urla per il recupero decisivo di Cubarsí sull'ennesimo strappo di Thuram, che non sarà in forma splendente ma quando c'è cambia completamente volto alla squadra. Il poker nerazzurro effettivamente arriva al 76', ma Henrikh Mkhitaryan viene pizzicato in offside al momento del tocco vincente. La bandierina si alza, il VAR poco dopo conferma: l'armeno ha mezzo scarpino oltre. Centimetri che cambiano le prospettive su un pareggio spettacolare, a cui è difficile dare un senso logico per tutto quello che può contenere. All'81esimo, escono i due migliori in campo nell'Inter, piegati in due dalla fatica: Thuram e Dumfries fanno spazio a Piotr Zielinski e Matteo Darmian. Subito dopo arrivano le contromosse di Flick: Gavi e Christensen sono le forze fresche scelte per il rush finale. Rush finale che vede riapparire come un prestigiatore Yamal, che va a tanto così da un gol mai visto allo scoccare dell'88esimo (traversa). Sulla strana traiettoria disegnata dal classe 2007 non può intervenire Sommer, che deve dire di no a Raphinha poco più tardi. E' l'ultima emozione di un match che è stato una gioia per gli occhi per tutti i tifosi del mondo. 'Il pareggio più bello della carriera di Simone Inzaghi', parafrasando José Mourinho. Il giudizio è rimandato a San Siro, tra sei giorni, il tempo di fare un bilancio su infortunati, meriti, demeriti, punti deboli e punti di forza.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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