Quando i risultati stentano ad arrivare, in discussione ci finiscono proprio tutti. Non solo allenatore, giocatori e dirigenti, sul banco degli imputati in casa Inter ci è finito anche lo staff medico, vista l'innumerevole serie di infortuni. E a pagare potrebbe essere Franco Combi, medico sociale dell'Inter dal giugno del 2000. Un'indiscrezione del Corriere dello Sport ha indicato il dott. Daniele Casalini come suo probabile successore. Casalini ha lavorato all'Inter per tantissimi anni come medico della Primavera stringendo rapporti importanti un po' con tutti gli addetti ai lavori. Nell'aprile del 2008 si è dimesso dall'incarico, ma ha comunque mantenuto i suoi buoni rapporti. Adesso collabora come consulente ortopedico per il Manchester City di Roberto Mancini (tecnico con cui ha stretto un bel rapporto d'amicizia). Lo abbiamo intervistato in esclusiva analizzando con lui diversi temi: dagli infortuni alla ricerca dei responsabili, dall'organizzazione degli staff medici in Italia alle voci che lo vogliono all'Inter.
Quanto incide l'avere diversi impegni ravvicinati in tutta la stagione?
"Dal punto di vista strettamente medico è un'autentica sciagura. Io sono abbastanza vecchio perché ho 52 anni e ho iniziato a lavorare nel mondo del calcio quando i calendari erano meno fitti. Prima c'era il tempo per fare un'adeguata preparazione. Adesso quando si va in ritiro, pronti via, dopo tre giorni c'è l'amichevole con il Real Madrid. Una volta c'erano prima 15 giorni di lavoro e poi c'era l'amichevole con la rappresentativa locale dei taglialegna e c'era molto più termpo per impostare un'adeguata preparazione. Poi soprattutto c'erano degli intervalli tra un impegno agonistico e l'altro che permettevano non solo recupero degli infortuni ma anche una ripresa della preparazione. Il lavoro di preparatori atletici consiste semplicemente nel fare dei recuperi tra una gara e l'altra, ma il vero lavoro di preparatore atletico non si riesce più ad impostare. Questo ovviamente ha ricadute pesanti sulla salute. Quelle che fronteggiamo noi sono patologie da sovraccarico, di patologie traumatiche ce ne son poche fortunatamente. Ma nell'arco della stagione i traumi veri e propri sono patologie da stress. Non ci sono santi, le nostre strutture sono fatte per sopportare un certo carico di lavoro. Se si eccede, qualcosa si rompe prima o poi".
Prendendo in esempio l'Inter, ci sono stati diversi traumi in stagione. Secondo lei ci sarebbe stato un modo per prevenirli o si è trattato solo di sfortuna?
"Il trauma per definizione direi che è qualcosa di abbastanza imprevedibile. Nel senso che la grossa distorsione sportiva che procura una rottura legamentosa è una cosa dovuta alla causalità del gioco, lo scontro più o meno violento. Quello che mi spaventa, sono proprio le patologie da sovraccarico, lo stress delle nostre strutture. Io farei la firma per avere a fine stagione solo patologie da sovraccarico. perché il trauma vero incide poco nell'economia degli infortuni di una stagione. Il grosso guaio sono i sovraccarichi, i tantissimi impegni ravvicinati e poi le patologie croniche che quando si verificano sono difficili da inquadrare, da curare e da riabilitare. Poi è chiaro che in una grossa società di tipo agonistico come l'Inter, le aspettative sono notevoli e se un recupero anziché dieci giorni dura dodici ha sbagliato, bisogna trovare il colpevole o il responsabile. Io quando ho lavorato all'Inter ho avuto la fortuna di lavorare con allenatori sempre molto attenti, intelligenti e comprensivi con i quali si stabiliva un rapporto di condivisione dei rischi che ci ha evitato di avere dei grossi attriti. Perciò capisco che alcuni colleghi sono sottoposti a grandi pressioni. La colpa non è solo del medico, per cui vorrei spezzare una lancia a favore, poi è chiaro se tu commetti un errore di inquadramento diagnostico o di impostazione della terapia, sei responsabile del tuo lavoro. Però questi calendari folli non aiutano nessuno".
Secondo lei, come vanno divise le responsabilità tra staff medico e staff atletico?
"Questa è una bella domanda. In una società in cui lo staff medico è organizzato come Dio comanda ci dovrebbe essere un responsabile unico, che sarebbe la figura del medico e poi a cascata le responsabilità vanno anche sugli altri. Il problema è quando ci sono preparatori atletici che magari in buona fede fanno più di quello che dovrebbero e quindi alterano un pochino questi equilibri. In questo momento collaboro come consulente ortopedico con una società inglese di Premier League (il Manchester City, ndr) strutturalmente ben organizzate in cui ognuno rispetta le gerarchie e si rema nella stessa direzione. Ma basta che qualcuno vada controcorrente che portano a delle faide interminabili. Da questo punto di vista il calcio inglese è organizzato molto meglio di quello italiano".
Che ricordo ha della sua esperienza all'Inter?
"Bellissimo. Dovrei fare una premessa: io sono purtroppo tifoso interista ammalato. Dico purtroppo perché in certe circostanze avrei voluto essere più distaccato, purtroppo io ancora oggi sono uno che soffre per l'Inter ahimé. E' una di quelle malattie da cui non si guarisce. Prima avevo una frequenza più assidua, lavoravo ad Appiano Gentile, adesso da cinque anni non sto più in quell'ambiente e quindi la vivo in maniera un po' più distaccata. Ma piango e gioisco ancora come quando ero ragazzino. Ho un ricordo eccezionale di quel periodo perché per me, giovane medico 31enne, essere chiamato dall'allora responsabile dello staff medico, se non fossi stato seduto su una sedia stramazzavo al suolo dall'emozione. Era una cosa troppo grande per me in quel momento. Poi ho passato un periodo lungo perché ho lavorato 17 anni lì. I primi 15 da incorniciare, dove ho incontrato persone speciali che frequento tutt'ora. Esperienze bellissime in cui abbiamo vinto tanto con la Primavera dell'Inter. Questo ha contribuito a rendere l'esperienza più piacevole. Balotelli? Ho avuto la fortuna di lavorare con lui ed ho avuto modo anche di incontrarlo brevemente in Inghilterra, perché ho iniziato a collaborare col Manchester proprio mentre lui stava per tornare in Italia. L'ho frequentato al di là dell'ambito sportivo. La cosa bella è che quando questi giocatori hanno un problema di salute si rivolgono sempre al loro vecchio medico. Nei miei 17 anni di Inter ne ricordo con piacere 15, gli ultimi due un po' meno perché ci sono state delle vicende personali che hanno fatto passare un po' quell'armonia bella che c'era prima. La giudico nel complesso un'esperienza straordinaria".
Lei lavora a stretto contatto con Roberto Mancini. Ricordiamo un po' tutti quella sua famosa uscita in conferenza stampa nei confronti dello staff medico. Cosa ha portato a quell'esplosione?
"Una domanda del genere probabilmente, fatta a lui oggi, non conoscerebbe grande risposta. Era in un momento particolarmente agitato. Lui nonostante dia questa impressione particolarmente supponente è una persona patologicamente timida. A quell'epoca sono successe tante cose. Io con lui avevo un rapporto occasionale in cui gestivo situazioni relative alla prima squadra. Operai Mancini al menisco nel 2007. Da lì nacque quell'amicizia che si porta avanti ancora oggi".
In chiusura, che effetto le fa leggere il suo nome sui giornali per l'ipotetico dopo Combi?
"Non avevo aperto il giornale, ma mi sono arrivati una cinquantina di messaggi da amici e conoscenti. Fa piacere perché stiamo parlando di un interista vero, il cui nome viene accostato all'Inter vera. Non che la Primavera non fosse l'Inter vera. Anzi, in quel periodo guardavo con più interesse ai risultato della Primavera che a quelli della prima squadra. Però chiaramente da interista queste voci mi fanno piacere".
Mantiene i contatti con la società?
"Mi sono dimesso quasi 5 anni fa, era il 2 aprile 2008. Potrei fare un elenco alfabetico tra giocatori e dirigenti con cui anche in questi giorni continuo a vedermi e frequentarmi. E' quasi quotidianità sentire qualche addetto ai lavori. Posso dire di aver mantenuto un buon rapporto con tutti".
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