E alla fine arriva l'equilibrio: dopo la fin troppo facile partita col Genoa e quella quasi impossibile col Barcellona, l'Inter va a sfidare l'Atalanta per riscoprire il sapore della "normalità". Quella comunque difficile di un campo che a definire minato ci pensano direttamente i numeri: da Bergamo, infatti, i nerazzurri sono tornati a Milano con la vittoria in tasca una solo volta (nel febbraio 2015 con Mancini alla guida) nelle ultime nove occasioni.

Aggiungiamo una rivalità e un clima quasi da derby, un allenatore, Gasperini, che quando vede Inter ha in mente solo la V di vendetta, una squadra, l'Atalanta, che dopo un avvio di stagione incerto ha infilato tre successi consecutivi e nonostante l'ennesimo saccheggio di talenti causato dal mercato estivo sta cercando, ancora una volta, di aggrapparsi al suo sistema di gioco, alla sua filosofia, al suo calcio e alla sua identità. Tutti aspetti grazie ai quali negli ultimi due-tre anni sono arrivati, meritati, applausi e soddisfazioni anche nei territori d'Europa.

Ma si diceva della "normalità". O dell'equilibrio. In fondo l'Atalanta non è né lo sfilacciato e arrendevole Genoa di una settimana fa che dopo 19 minuti era praticamente già uscito dalla partita, né il mostruoso Barcellona che, sempre a San Siro, si è fatto espressione di un livello calcistico che per l'Inter resta ancora, al momento, irraggiungibile. Anche se, per lo meno, non totalmente inaffrontabile ed è già stato qualcosa.

Anche perché avere una difesa che regge le cannonate, un cuore e una testa che ti permettono di rimettere in piedi ciò che sembrava irrimediabilmente perso (del resto non far esultare e non sentire il boato del Meazza in una serata così sarebbe stato un peccato mortale) può far perdonare l'infinita sofferenza e inferiorità tecnica e tattica contro il Barcellona senza Messi. Pietà, se lo avessero avuto. Nel frattempo, però, l'Inter ha fatto esattamente il massimo che è in grado di fare a questo punto della stagione, del percorso, del suo progetto. Ed è tutto migliorabile, specialmente se si impara a gestire la normalità.

Come ad esempio quella di una sfida, a Wembley, a fine novembre, che può mandare Spalletti in Paradiso, a patto di non perdere, di non farsi male da sola. Lì dove la sfumatura di normalità finisce per significare "alla portata" perché se è vero che Il Tottenham (che lo scorso anno ha perso la doppia sfida agli ottavi con la Juve ma sul piano del gioco e delle occasioni ha messo all'angolo Allegri) resta superiore all'Inter è anche vero che la classifica attuale di Champions dice altro e che su quello stesso campo il PSV lo stava strappando, il pari, fino a un autogol a un soffio dal 90'. Pari che per l'Inter significherebbe qualificazione agli ottavi.

Normalità vuol dire mantenere concentrazioni e motivazioni contro chiunque e, paradossalmente, soprattutto quando il favorito finisci per essere tu e la partita tocca a te condurla. Normalità vuol dire resettare l'enorme sforzo fisico e mentale causato dall'eccezionalità di certe gare ed essere in grado di sopportarne uno nuovo trovando le motivazioni nell'ordinarietà delle partite che seguono. E' il modo per diventare straordinari. E rimanere credibili a certi livelli. Lo dimostra la Juve da sette anni.

Se chiedete a un qualunque interista cosa teme di più della sua squadra, quasi certamente vi risponderà: la pazzia contro le medio-piccole, la capacità di inciamparsi sui suoi stessi passi, di non reggere nel tempo il peso di favorita. Ma vi risponderà anche di aspettarsi grandi imprese, partite folli, ribaltate o vinte secondo quella che assomiglierebbe più a una sceneggiatura da film che al finale di una partita. Per questo, ora, per rimanere in alto e per diventare davvero una grande squadra, servirebbe un po' di normalità. Non si viaggia sempre a cento allora, non ci si ritrova sempre davanti il Barcellona.

E' passando attraverso partite normali che si può rimanere lì, aggrappati a un treno, guidato da Allegri e Ancelotti, che per ora si può solo cercare di non far allontanare troppo. Il campionato è lungo, a fare la differenza saranno i punti strappati con difficoltà, gli 1-0 difesi per rifiatare e consumare poche energie: non si vive solo di goleade, rimonte o boati al 90' anche se poi sono proprio queste a cambiare l'umore e la consapevolezza della squadra così come l'inerzia  e la spinta della stagione. Senza il 2-1 sul Tottenham, del resto, staremmo tutti facendo discorsi diversi. Perché sono gli episodi a fare la differenza e a spalancare scenari nuovi, a rendere straordinario qualcosa che poi si può mantenere con la normale continuità. Fino all'impresa successiva. "Ma l'impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale" cantava Lucio Dalla. E per l'Inter la normalità, forse, sarebbe davvero un'impresa eccezionale. Però devi vincere con le partite con Atalanta e Frosinone, prima di poter dare un senso speciale a quelle con Roma e Juventus.

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Sezione: Editoriale / Data: Dom 11 novembre 2018 alle 00:00
Autore: Giulia Bassi / Twitter: @giulay85
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