"Da sette anni l'Inter non supera il girone di Champions: arrivare agli ottavi sarebbe un'impresa storica". Questa considerazione firmata Beppe Marotta nel pre-partita del match di Inter-Barcellona rappresenta l'unità di misura per ogni tipo di analisi attorno all'eliminazione subita martedì sera dalla squadra di Antonio Conte. Arrivata, come l'anno scorso con Spalletti al timone, a giocarsi il passaggio del turno all'ultima giornata, pur dopo essersi costruita in questa stagione il vantaggio di far dipendere il destino europeo unicamente dal proprio risultato. Un diritto guadagnato anche, se non soprattutto, grazie alla composizione del calendario delle sei partite del gruppo F. A partire dal punto conquistato con lo Slavia Praga, quarta forza del girone, a San Siro nel match d'esordio da subito catalogabile come passo falso. Soprattutto nella misura in cui è maturato l'1-1, col pari in pieno recupero di Barella dopo una gara con forti crisi identitarie a livello di gioco, e alla luce della X a reti bianche di cui il Borussia si è dovuto accontentare contro il Barcellona (Ter Stegen fenomenale quella sera, con tanto di rigore parato a Reus).

Accettabile, nell'economia di un raggruppamento di ferro, la sconfitta del Camp Nou, autentico fortino dal quale raramente si esce con qualcosa in mano. Caso strano è che quel 2-1 trasuda un sacco di rimpianti, per una serie di motivi: il più evidente sono i 60' autoritari con cui l'Inter ha messo sotto - come non accadeva da tempo a un'italiana – Messi e compagni per 60', scattando sull'1-0 col gol flash di Lautaro e accarezzando addirittura l'idea del raddoppio nelle ripresa sul contestato rigore non concesso a Sensi. Che ha cambiato completamente le prospettive della gara, assieme all'ingresso in campo di Vidal: da lì in poi è stato forcing blaugrana e inevitabile ribaltone griffato Suarez.

Si arriva, dunque, al terzo esame di maturità, già praticamente impossibile da fallire. L'andata con il Borussia Dortmund, che ha in tasca una gara di vantaggio e teoricamente il doppio risultato, ma non ha la consapevolezza costruita dai nerazzurri nella trasferta contro i mostri catalani. E infatti il canovaccio in campo rispecchia queste sensazioni: i tedeschi si snaturano mettendosi a specchio con un 3-5-2 inusuale, l'Inter – che sa interpretare molto meglio quel modulo – ringrazia e passa all'incasso con Lautaro e Candreva. Due a zero e nuovo scenario che si apre sugli ottavi di finale.

Situazione capovolta al Westfalestadion, dove è il Bvb che si gioca la gara da dentro o fuori: con un risultato diverso dall'1 in schedina, infatti, la squadra di Favre è praticamente condannata al terzo o, peggio, quarto posto. L'approccio dei teutonici è tutt'altro che arrembante, nei primi minuti la carta d'identità dei gialloneri non è quella di una squadra che ha l'obbligo di imporre il suo ritmo. E che non è una strategia lo si capisce dopo una manciata di minuti, quando Lautaro colpisce al cuore Burki per l'1-0. Il primo tempo in terra tedesca entusiasma a tal punto da sembrare la naturale prosecuzione dei 90 minuti milanesi, con la fortunata coincidenza del risultato: il 2-0 viene realizzato da Vecino al 40' a sublimazione di un'azione che incorona il 3-5-2 come modulo efficace se ben interpretato – surprise, surprise – anche in Europa. Skriniar fa uscire palla pulita al suo play, Brozovic, che fa valere le sue abilità di dribblatore fino a trovare l'appoggio a centrocampo per Lautaro, che spalle alle porta riceve e disegna a memoria per il laterale Candreva che si sgancia coi tempi giusti sul lato opposto. Stoppa e mette di prima e rimorchio per il tiro imparabile di Vecino. Ma il colpo di scena è dietro l'angolo o, più semplicemente, l'Inter non riesce più a nascondere difetti e limiti come fatto prima. Fatto sta che al rientro in campo dagli spogliatoi, le api pungono con un Hakimi che pialla letteralmente il malcapitato Biraghi, controfigura di Asamoah anche nelle scene in cui dovrebbe essere il ghanese a resistere ai colpi più dolorosi. Arriva l'1-1 del laterale marocchino, prodromo di una rimonta che attende solo di essere compiuta. Al di là degli episodi, si capisce subito che l'Inter è in balia degli avversari e non ha le armi per controbattere. Anzi, sotto pressione, finisce per suicidarsi con un elementare fallo laterale che apre la porta al 2-2 di Brandt e manda in mondovisione la brutta figura della fase difensiva. Perfettamente a braccetto con uno scadimento della fase offensiva che non può reggersi sulle sole spalle larghe di Lautaro: Lukaku, dopo il giro a vuoto dell'andata che aveva costretto Conte a richiamarlo in panchina per lanciare Esposito, scompare anche al ritorno. Assente ingiustificato in 3 delle prime 4 apparizioni, visto che al Camp Nou non è sceso in campo per un guaio muscolare. Ma non criticato dal suo allenatore e primo estimatore, Antonio Conte, che dopo aver denunciato alcune lacune in rosa ha ben pensato di focalizzarsi sui due dei giocatori meno colpevoli della situazione: Sensi e Barella. Il primo, più che ottimo al Camp Nou e poi sempre out per infortunio salvo il cammeo di Dortmund, e il secondo decisivo per evitare la figuraccia all'esordio e sempre tra i migliori nonostante la scarsa esperienza internazionale. "Stiamo parlando di un gruppo di giocatori che, a parte Godin, non ha vinto niente. Ci sono anche situazioni difficili da gestire. A chi chiediamo? A Barella, che abbiamo preso dal Cagliari? A Sensi, arrivato dal Sassuolo?", le parole di Conte.

Che cambia decisamente faccia dopo il blitz di Praga contro lo Slavia: con le solite defezioni in mezzo, arriva la prestazione di coppia di Lukaku e Lautaro più importante della stagione che vale il 3-1. E neanche la dura legge del gol ancor più cruda ai tempi del Var, che toglie un gol per dare un rigore ai cechi, può fermare la voglia dei due di travolgere gli avversari. Voglia irrobustita dalla sconfitta preventivabile del Dortmund a Barcellona che rimette l'Inter in situazione di apparente vantaggio.

L'epilogo è la parte più imprevedibile della storia, ma forse anche la più intuibile leggendo il percorso. Nella sfida in casa al Barça B, l'Inter arriva con i soliti uomini contati, sfiniti e indeboliti da un pari in campionato che è stato accolto forse ignorando in maniera superficiale la difficoltà di fare gol. Condizione senza la quale è molto dura vincere, che è esattamente quello che serve all'Inter per volare agli ottavi. A meno che il Borussia non faccia il suo dovere. Ma in realtà la notifica del gol di Sancho arriva puntuale sugli schermi di molti dei telefonini presenti a San Siro e dice che è bene per Handanovic e compagni pensare di battere il Barcellona. Che anestetizza la partita, rimane in vita perché graziato in due circostanze, e piazza la zampata con Carles Perez, uno dei tanti giovani che vuole mettersi in mostra. Il sipario non cala in anticipo come l'anno prima quando Lozano portò in vantaggio il Psv, anche perché il Borussia – folle in piena regola – si fa raggiungere da Lukaku. Al 45' Inter qualificata, ma nessuno lo dice ad alta voce. Soprattutto perché la squadra rientra in campo non caricata dall'adrenalina del gol del belga, ma si sgonfia piano piano come se avesse saputo di aver incassato il 2-1 da Brandt, ancora lui. I giocatori non possono guardare coi loro occhi la super partita di Burki, le occasioni monumentali sprecate dallo Slavia, ma contano increduli le volte in cui la bandierina viene alzata dal guardalinee per annullare i gol di Lautaro (2) e Lukaku (1). Tutto conduce verso l'ineluttabilità dell'eliminazione nerazzurri, a partire dai rischi inevitabili che si prende Conte mettendo tre elementi offensivi in più per trovare il gol del sorpasso. Ottenendo l'effetto opposto: gol di Ansu Fati, il più giovane nella storia della Champions. Un gol di un 17enne che, caso vuole, manda i titoli di coda sulla neonata creatura contiana, troppo fragile come il suo tecnico in Europa. "Con gli ottavi continueremmo l'esperienza in Champions, tanti di noi non ne hanno giocate tante. Io per primo", aveva detto Conte prima del match. Sicuramente qualcuna in più dell'Atalanta, appena a sei nel corso della sua storia ultracentenaria. Quanto basta per entrare nel G16 europeo con appena 7 punti fatti. Già, 7, gli stessi che non sono bastati all'Inter dopo 7 anni di digiuno e 7 mesi di lavoro con Conte. Viene da dire, con un gioco di parole: chissà se il prossimo anno, l'ottavo da quello con l'OM, sarà quello buono per qualificarsi agli ottavi di Champions. 

Sezione: Editoriale / Data: Gio 12 dicembre 2019 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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