Forse, nel calcio del 2025, è arrivato il momento di estendere a tutta la stagione calcistica la massima che José Mourinho utilizzò per fotografare la Champions League come ‘la competizione dei dettagli’ per la sua crudeltà e bellezza. Sì, perché il nuovo format ha imposto ai top club di ripensare il vecchio paradigma che prevedeva una prima parte di annata più soft in Coppa in termini di impegno psico-fisico. Prima della rivoluzione, partita lo scorso agosto, c’erano meno partite e meno avversari, il tutto diluito in un calendario che permetteva un turnover più ragionato per preparare il doppio impegno. La vera Champions iniziava a febbraio-marzo, con le partite a eliminazione diretta, mentre i gironi, a eccezione di alcuni rari casi, erano pro forma da espletare nel giro di quattro giornate per le big, che al massimo lottavano per il primato, che poi comunque non garantiva matematicamente un miglior incrocio agli ottavi.
Ora la League Phase ha regalato diverse sorprese, costringendo tante nobili del calcio a passare dalla forche caudine dei playoff. Per esempio, Real Madrid-Manchester City, grande classica degli ultimi anni da cui usciva la favorita alla vittoria finale, è diventata clamorosamente un doppio scontro per stabilire l’eliminazione più rumorosa. Come se non bastasse, sempre in maniera del tutto imprevedibile ma allo stesso tempo meritata, hanno salutato il torneo Milan, Atalanta e Juve, comunque capaci di belle imprese nel loro cammino continentale. Non bastevoli per guadagnarsi un posto nelle fantastiche otto, al termine di uno strano mini-campionato, da tutti contro tutti, con avversarie random, in cui basta un gol per modificare tutto. Con questa struttura è impossibile capire con oggettività la bontà di questo o quell’altro percorso, ma è d'obbligo fare paragoni visto che tutte le 36 squadre sono inserite nella stessa classifica. I 19 punti dell’Inter valgono di meno o di più di quelli dell’Arsenal? Non esiste una risposta univoca, al massimo delle teorie. C’è chi potrebbe sottolineare che i nerazzurri hanno battuto i Gunners nello scontro diretto; chi, al contrario, potrebbe sostenere che gli inglesi hanno fatto meglio degli italiani nelle altre sette giornate. Fatto sta che, come in ogni competizione ‘breve’, il premio va per la maggior parte delle volte a chi lo merita, che non coincide per forza di cose alla più forte. Chiedere alle tre squadre italiane, estromesse per aver interpretato male i momenti e gestito ancora peggio gli episodi che possono capitare in una doppia sfida da dentro o fuori. La Dea, penalizzata a Bruges con un rigore inventato fischiato in favore dei belgi, è stata messa nella condizione di dover rimontare e, quindi, di impostare un match del tutto diverso da quello che avrebbe studiato in caso di 1-1. Poi il gol a freddo nel ritorno, diverse occasioni mancate, e il cinismo a punirla in maniera spietata. Il Milan, tradito da una papera del suo capitano Mike Maignan in Olanda, ha aggiustato le cose col Feyenoord, a San Siro, dopo pochi secondi, salvo poi farsi male da solo con la doppia ammonizione comminata a Theo Hernandez. In inferiorità numerica per 40’, il Diavolo è andato ko sull’unico tiro concesso nell’intera gara. In ultimo, la Vecchia Signora che, pur partendo con il vantaggio di un gol maturato nei primi 90', ha cominciato a vacillare in difesa, complice l'infortunio di Veiga, l'ennesimo in stagione, incassando tre gol in 120' dal PSV Eindhoven.
Dettagli ed episodi da cui l’Inter si è voluta sottrarre, sia per evitare inutili fatiche in una stagione già massacrante dal punto di vista fisico sia per scongiurare un’uscita di scena prematura impossibile da escludere a priori. Pensate ora a un’Inter impegnata nei playoff, nel bel mezzo di una lotta scudetto punto a punto col Napoli, con un Marcus Thuram a mezzo servizio e, in generale, con la condizione di alcuni titolarissimi non proprio ai massimi livelli. Il rischio ci sarebbe stato, soprattutto vedendo lo score dei campioni d’Italia dopo quella straordinaria prova di forza con il Monaco, nell’ultima giornata della 'Fase Campionato', che spinse Henrikh Mkhitaryan a pronunciare l’espressione, ormai famigerata, degli ‘ingiocabili’. Due sconfitte, un pari e una vittoria dopo il pass strappato non sono proprio i sintomi di uno stato di forma brillante. La riprova non c’è, scenario scartato con enorme piacere da una squadra che ha fatto di tutto per godersi il meritato riposo. E non inganni il ko dopo la 'settimana pulita' di domenica scorsa contro la Juve, reduce dalle stanchezze post-PSV, perché nel primo tempo la differenza di energia si è vista eccome in favore di Lautaro e compagni. Piuttosto non si è capito perché esistano due Inter nella stessa partita, ormai è una situazione che ripete non così infrequentemente; nessuno ha spiegato il motivo per cui, se la dinamica cambia, la formazione di Simone Inzaghi sembra perdere il filo di un gioco che è unico nel panorama europeo. Non è tanto una questione di ricambi, tutti ben al di sotto del valore dei titolari, quanto l’impossibilità di replicare determinati meccanismi. Succede anche a chi li sa a memoria, se non è al 100% della condizione fisica. L’Inter ha un gioco dispendioso: o risolve la pratica nei primi 65-70’ oppure è difficile che abbia la meglio. Una notizia pericolosa in senso generale, a meno che in quei minuti fuori dal suo controllo l'Inter cominci a curare meglio i famosi dettagli.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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