Luigi De Siervo, amministratore delegato della Lega Serie A, ha definito qualche giorno fa il campionato italiano "il più affascinante perché negli ultimi anni c'è sempre stato un avvicendamento nella conquista dello scudetto, potenzialmente con quattro vincitori diversi nelle ultime quattro stagioni". Una dichiarazione sicuramente di parte, visto il ruolo occupato dal dirigente toscano, ma che fonda i suoi presupposti, dopo i nove anni di monarchia assoluta juventina, su un numero in particolare: il nostro movimento ha mandato ben tre rappresentanti ai quarti di finale di Champions League, sei se si considerano anche le altre due Coppe. 'Calcio is back', lo slogan utilizzato in via Rosellini per annunciare il Rinascimento della Serie A, "è la riprova che il nostro campionato è tornato ai vertici del calcio europeo", ha puntualizzato De Siervo.
L'equazione, però, non è così ovvia come vuol farci credere De Siervo, per questo occorre fare dei distinguo: se da una parte non stupisce il percorso del Napoli fuori dai confini nazionali, dopo aver ammazzato la corsa al tricolore praticamente a gennaio, dall'altra, per fare l'esempio più eclatante, stona la Juve retrocessa in Europa League, per di più solo grazie alla miglior differenza reti rispetto alla cenerentola Maccabi Haifa. I bianconeri sono un dato statistico che, però, vale meno nelle considerazioni della 'forza' del nostro campionato, che peraltro – penalizzazione a parte – non li ha mai visti come protagonisti nella lotta che conta. Giusto sottolineare le buone campagne continentali di Fiorentina e Roma, quest'ultima in evoluzione dopo il successo in Conference League della passata stagione. E, infine, ci sono i 'casi' di Inter e Milan, le ultime due compagini a portare il tricolore sul petto, che stanno facendo fatica a strappare il pass per la prossima Champions ma parallelamente scrivono il copione a due mani per provare a mettere in scena vent'anni dopo il remake dell'euroderby 2003. Quando eravamo re non c'erano Real o Barcellona che tenessero, oggi bisogna benedire le mani di Kluivert e Altintop che a Nyon hanno disegnato il migliore dei tabelloni possibili sulla strada per Istanbul. Mentre le favorite Real, Manchester City e Bayern Monaco si danno battaglia incrociando i loro destini, la squadra di Inzaghi deve preoccuparsi di essere migliore di un'altra portoghese, il Benfica capolista, dopo aver eliminato il Porto. Nel primo round ci è riuscita agevolmente, anche suscitando lo stupore di gran parte della critica, più concentrata a leggere le statistiche delle Aguias che a valutarne la reale pericolosità (si è parlato soprattutto di arbitri, mai di tattica prima e dopo la partita del Da Luz, almeno in Italia). Sì, Joao Mario e compagni hanno battuto la Juve (pure il Monza ci è riuscito due volte, se è per questo), non hanno perso col PSG (altra squadra uscita mestamente dalla competizione senza lasciare traccia), ma non c'era abbinamento migliore. La faccia di Javier Zanetti disse tutto al momento dei sorteggi, un'espressione decisamente diversa rispetto a quella diventata un meme dopo che l'Inter capitò nel girone di ferro con Bayern e Barcellona. Ecco, il Barça, probabilmente la squadra contro cui l'Inter è riuscita a far cambiare i giudizi sulla sua stagione. C'è un prima e un dopo quel doppio confronto con i catalani, padroni incontrastati della Liga, a proposito dell'indicatore deserviano di competitività di un torneo non sempre affidabile, con 13 punti in più di quel Real che forse ritornerà in finale e nel frattempo ne ha picchiati 4 al Camp Nou in Coppa del Re agli arcirivali di sempre.
La verità è che cerchiamo un parametro inequivocabile che non esiste per definire il valore di un tal squadra, o meglio dire rosa, dato che il campionato è completamente diverso da una competizione a eliminazione diretta come la Champions. Prova ne è, più che mai quest'anno, che nel G-8 della Champions le uniche tre superstiti che sono prime nei rispettivi tornei hanno perso il match d'andata, due malamente (Bayern 3-0 vs City e il Benfica 2-0 vs Inter), l'altra, il Napoli, pur con l'alibi gigantesco dell'assenza di Osimhen, in due scontri diretti con il Milan giocati in dieci giorni ha registrato un passivo di 5-0. Quindi non stupisce sentire Spalletti che, per rivendicare la bontà del suo lavoro, sposta l'attenzione dal ko europeo subito per mano dei rossoneri alle vicende della Serie A: "I venti punti di vantaggio che abbiamo sull'Inter, che sicuramente andrà in semifinale, sono segno che ci sono state tante vittorie e tanti atteggiamenti positivi. Mettere dietro squadre come il Milan è sintomo di forza, continuità e carattere". Discorso sacrosanto, perché paradossalmente le pressioni sui campioni d'Italia in pectore in ambito europeo sono cresciute in maniera direttamente proporzionale al ritmo record tenuto in campionato. Motivo per cui l'eventuale uscita di scena verrebbe vissuta dai media come una colpa dei partenopei per non essere stati all'altezza delle aspettative create in un'altra competizione. Il discorso opposto che si fa sull'Inter, vissuta come una inspiegabile sorpresa in ambito continentale viste le continue delusioni in campionato. Manca il termine di paragone dopo l'abdicazione al trono della Juve, questo rischia di portare a credere che abbiano tutti ragione rispetto al discorso degli obiettivi stagionali. Certo, alla fine dei giochi arriveranno i verdetti: a quel punto, c'è chi si specchierà sicuramente in un trofeo prestigioso come lo scudetto e chi, mentre sogna scenari di gloria europei, dovrà fare i conti con la realtà del quarto posto per non rovinarsi il futuro.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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