L'Inter è in Champions League. All'ultimo respiro come un anno fa, segnando il gol decisivo all'81' come un anno fa, col batticuore come un anno fa. E meritatamente come un anno fa. Perché va bene tutto, ma non si può negare il merito sportivo sul rettangolo di gioco. L'accanimento preventivo fa breccia ed è moda: si ingigantiscono i difetti e si rimpiccioliscono i meriti, fino a renderli invisibili. E invece, questi meriti, ci sono eccome.

Luciano Spalletti aveva ereditato una squadra tormentata, bistrattata e quasi senza senso. L'ha risollevata e le ha riconsegnato dignità. Soprattutto, l'ha resa tale: una squadra vera. Adesso l'Inter lo è. Con pregi e difetti, come tutte. Ma lo è. E si ha molto chiara la visione generale, un fatto che aiuta a migliorarla. E questo lo diciamo oggi, con il quarto posto in ghiaccio. Ma è un discorso che sarebbe stato valido anche con l'Europa League, ovviamente con 63 milioni di sorrisi in meno (gli euro che pioveranno nelle casse della società tra Uefa e sponsor per il solo accesso alla massima competizione europea).

Spalletti, in maniera sacrosanta, rivendica il suo lavoro. Ed è quasi costretto a farlo, visto che nessun altro lo fa. Come detto, Spalletti aveva preso un'Inter allo sbando e l'ha rimessa sulla corretta via, andando oltre il dovuto l'anno passato e confermandosi nella stagione appena terminata. Un biennio costellato di problemi, casi, polemiche, errori gestionali e di mercato, ai quali il tecnico di Certaldo ha posto rimedio. Talvolta non azzeccando la ricetta, ma spesso sì. E questa proporzione ha fatto tutta la differenza del mondo, se è vero che nel 2019/2020, dopo un'era geologica, il club sarà fuori dal settlement agreement e in Champions League, abbinamento che fa quasi commuovere.

Eppure, proprio ora che arriva il bello, Spalletti è costretto a salutare. E non per suo volere. Decisione giusta? Forse sì, perché magari per tanti motivi era diventato inopportuno andare avanti con lui dopo le varie fratture. O forse no, poiché ragionevolmente si era guadagnato l'occasione di gestire un calciomercato libero dai legacci della Uefa e di costruire una squadra rispondente davvero alle sue esigenze, senza toppe o adattamenti. Un discorso che rimanda la memoria all'avvicendamento tra Zaccheroni e Mancini e, soprattutto, a quello tra Mancini e Mourinho. Ma è il calcio, e il buon Luciano sa bene che va così per tutti.

Palla ad Antonio Conte, dunque, che avrà l'onere e l'onore di raccogliere un'eredità non di poco conto. In pochi sarebbero riusciti a rendere mansueto un cavallo imbizzarrito come quest'Inter, avvelenato dentro e fuori. E Spalletti ci è riuscito, anche se non a tutti fa piacere riconoscerlo. L'ex c.t. dovrà andare oltre: tornare a riempire la bacheca nerazzurra. Non sarà semplice perché, in quanto ex Juventus, gli si chiederà un surplus di impegno. Soprattutto, gli si chiederà di dimostrare di sapersi calare davvero nell'interismo. Dovrà essere credibile nel ruolo. Un qualcosa riconosciuto a pochissimi allenatori: Spalletti è l'ultimo socio di questo club ristretto. Ed è già storia.

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Sezione: Editoriale / Data: Mar 28 maggio 2019 alle 00:00
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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