Probabilmente, è in corso una chiamata dal destino. O semplicemente, è il pianeta Eupalla che in un impeto di generosità ha deciso di dare all’Inter una possibilità che sembrava bella che svanita solo qualche giorno fa dopo quell’incredibile tracollo di Firenze e che ora è di nuovo lì, all’orizzonte: quella del clamoroso sorpasso al vertice e del ritorno in solitaria al primo posto della classifica di Serie A. Questo perché il Napoli di Antonio Conte ha visto incepparsi quel meccanismo meraviglioso che lo guidava fino a nemmeno troppo tempo fa, perché il più pazzesco dei gollonzi che ha fruttato il momentaneo 1-2 all’Olimpico contro la Lazio probabilmente, in altri momenti, sarebbe bastato per portare a casa la vittoria e invece stavolta è valso solo un punto, per il terzo pareggio nelle ultime tre partite. Un ritmo che pare avere ridimensionato anche le proiezioni del tecnico partenopeo che parla più di qualificazione all’Europa che di titolo, come a voler raffreddare un po’ i bollenti spiriti di una piazza.
Rimane il fatto che questa sera, l’Inter ha la grandissima occasione di mettere la freccia e riprendersi d’autorità il primo posto, rendendo quindi ancora più incandescente la lotta per lo Scudetto in vista dell’evento che probabilmente fermerà l’intero Paese tanto e forse più di quanto è riuscito a fare in questi giorni il Festival di Sanremo. L’occasione c’è, ma bisogna subito mettere le cose in chiaro: non sarà per nulla facile. Perché, se non bastasse il fatto che parliamo di Juventus-Inter, i motivi sono tanti: all’Allianz Stadium, casa della Juventus, storicamente non è mai stata facile per i nerazzurri; perché i bianconeri hanno tutta l’intenzione di confermare quel minimo di continuità di successi trovato di recente; perché dalla loro avranno un pubblico prevedibilmente caldo che ha preferito esserci più questa sera che martedì in occasione del playoff di Champions League col PSV Eindhoven. E poi, adesso la Juve può dire di aver trovato un trascinatore lì davanti, quel Randal Kolo Muani che in poche settimane è riuscito lì dove altri in casa juventina hanno fallito dopo anni di tentativi, ovvero a tramutarsi nel finalizzatore implacabile che a nove squadre su dieci serve come il pane.
Sarà indubbiamente l’ex PSG il pericolo pubblico numero uno per la squadra nerazzurra, un elemento sul quale bisognerà stare molto attenti in difesa. Ecco, appunto, difesa: questa è stata la parola d’ordine, in un certo senso, della conferenza stampa tenuta da Simone Inzaghi per presentare il match. Concetto di difesa partito da quello che è l’obiettivo della sua squadra, ovvero difendere lo Scudetto cucito sul petto, anche se quest’anno la corsa è ben lontana dall’assumere i contorni trionfali del cammino dello scorso campionato. Ma gradualmente, il concetto si è insinuato in altri anfratti fino a diventare una difesa solida e rocciosa di tutto l’ambiente Inter, del lavoro suo, dei giocatori e di tutto lo staff che devono sempre fare i conti con fattori esogeni dei quali si farebbe indubbiamente volentieri a meno. Il tema, inevitabilmente, è quello delle polemiche arbitrali sorte dopo un turno decisamente da dimenticare per l’intera classe arbitrale. Ma ciò che fa più rumore è un corner inesistente, che ha l’unica colpa di aver scaturito l’azione che ha portato al vantaggio nerazzurro contro la Fiorentina a San Siro, peraltro per un’autorete.
Lo stesso presidente dell’AIA Antonio Zappi ha ricordato che senza quella deviazione di Marin Pongracic sul colpo di testa di Lautaro Martinez, probabilmente si sarebbe derubricato tutto a errore veniale. E invece, apriti cielo e nuovo tentativo di alzare una bufera al quale però stavolta Inzaghi ha deciso di rispondere per le rime: “Si sta parlando ancora oggi del corner assegnato a noi con la palla uscita e mi viene in mente Leverkusen dove ci viene assegnato un corner contro al 90' su fuorigioco. Perdiamo quella partita e non si è detto niente quando quella partita ci ha fatto giocare l'ultima partita per qualificarci. E ci ha fatto arrivare dietro in classifica nel girone, danneggiandoci anche economicamente. Per l'Inter si fanno trasmissioni e si parla per giorni e giorni, al contrario non se ne parla quasi. Senza parlare di arbitri o allenatori, perché gli errori ci saranno sempre. Volevo solo difendere il lavoro mio, dello staff e i giocatori". In poche, semplici parole, Inzaghi ha detto quello che era giusto dire e che nessuno o quasi ha mai avuto la voglia o la prudenza di sottolineare. Forse perché non fa la giusta audience sottolineare quando i torti pendono da una certa parte…
Roberto Mancini fu l’ultimo prima di Simone Inzaghi a tenersi la panchina dell’Inter per quattro stagioni consecutive, e oltretutto la quarta fu per lui l’ultima prima di avventurarsi in nuove esperienze, in un’annata dove all’Inter accadde davvero di tutto, l’anno del duello fino all’ultimo turno di campionato contro la Roma deciso dalla doppietta di Zlatan Ibrahimovic a Parma, contraddistinto dallo sfogo post-sconfitta col Liverpool da parte del tecnico jesino ma anche e soprattutto attacchi di ogni genere e numero. Oggi non siamo magari a quei picchi però è innegabile che Inzaghi in questo quadriennio ne ha dovute sentire un po’ di tutti i tipi, specie quando le cose hanno iniziato a girare meno bene del solito. Messo all’indice alla minima occasione negativa, anche a causa, secondo qualcuno, di quello che viene chiamato ‘fuoco amico’, si è poi ritrovato anche ad affrontare accuse nei confronti della società stessa, che a tratti hanno assunto anche i toni di una filippica che poco aveva di giornalismo televisivo e tanto di chiacchiera da bar al secondo giro di scopone scientifico istituzionalizzata.
E Inzaghi sempre lì, sempre inamovibile, sempre pronto alla parata e risposta. Anzi, in questo esercizio si può dire che sia decisamente migliorato negli anni dopo alcune uscite iniziali non propriamente convincenti. Del resto, l’Inter è una società che volente o nolente ti forgia anche nel carattere e nella dialettica con i quali far fronte alle avversità in campo e fuori (anche se forse l’istituzione di una figura che possa aiutare i tecnici a non dover affrontare queste tematiche che esulano dal loro lavoro sarebbe cosa opportuna). Ci è passato lui come ci sono passati i vari Antonio Conte, Luciano Spalletti e via a ritroso fino a José Mourinho, il maestro della dialettica pungente legata al calcio.
Magari non avrà il carisma, la personalità, lo spirito indomito dello Special One, ma ormai Inzaghi un suo profilo importante è riuscito a costruirselo. E se ‘Io non sono pirla’ rimane una vetta inavvicinabile, magari un giorno sentiremo Inzaghi pronunciare nel dialetto della sua Piacenza: ‘Me a sòn mìga una testa badèza’. Meno chic, forse, ma più incisivo. E poi, che male c’è a essere provinciali?
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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