Cala il sipario sulla lotta Scudetto, e il finale è quello che da 6 giorni tutti ormai si aspettavano. Scontatissimo. Vince il Napoli, onore ai nuovi campioni d'Italia. Nessuna sorpresa, timidamente auspicata dal popolo nerazzurro con la consapevolezza che ormai c'era ben poco da fare. Il Cagliari fa esattamente la sua parte in questa rappresentazione teatrale, viste le premesse e al di là di dichiarazioni belliche dalla Sardegna non aveva alcun senso logico pretendere che fossero i sardi a rimettere i peccati nerazzurri, rischiando di ritrovarsi in una situazione 'scomoda'. Perché l'Inter in questo GP ha avuto la sua occasione prima dell'ultima curva di effettuare il sorpasso, ma non l'ha sfruttata. E si potrà discutere per giorni, mesi, forse anni sui motivi che hanno portato a questo epilogo, ma oggi non c'è tempo.
Perché questo è il momento del Napoli, della festa, di una vittoria storica trattandosi del quarto Scudetto dall'anno di fondazione della squadra. Uno Scudetto meritato perché in questo torneo conta fare più punti delle avversarie e la matematica non mente. Giusto che venga celebrato a dovere, a prescindere da certe situazioni 'organizzative' poco simpatiche, dal recupero di Inter-Roma, alla disputa dell'ultima giornata il venerdì, alla richiesta di vietare la trasferta ai tifosi sardi e all'imbarazzo sullo stadio che avrebbe ospitato l'eventuale spareggio Scudetto, in barba a regolamenti scritti e accettati da tutti. Quanto basta a fugare una volta per tutte, e non solo per quanto avviene a Lissone tra 'bussate' e audio desaparecidos, la fantomatica Marotta League. Perché episodi alla mano il peso politico dell'Inter non è poi così significativo come in tanti, troppi vogliono far credere, distogliendo l'attenzione dai veri giochi di potere.
Non c'è tempo anche perché ora il pensiero può finalmente rivolgersi all'Allianz Arena di Monaco di Baviera, senza più fastidiosi impegni che si inframezzano. Simone Inzaghi ha saggiamente affidato l'ultima di campionato al Sinigaglia a molte delle seconde linee per evitare rischi inutili, consapevole anche lui che sperare in un secondo aiuto altrui dopo Parma sarebbe stato pretestuoso. La squadra ha fatto il proprio dovere e vinto in scioltezza la sua partita contro un ottimo avversario, il Como, che di certo, almeno fino all'espulsione di Reina (buona vita), ha provato a dare fastidio onorando un campionato molto positivo, con un decimo posto da applausi e tante buone notizie nel bilancio finale. Tra l'altro, per ben 22 minuti i nerazzurri sono stati virtualmente campioni d'Italia, tra il colpo di testa di De Vrij e la girata, 792 chilometri più a sud, di McTominay che ha soffocato gli ingenui entusiasmi degli interisti.
"Quando si chiude una porta, si apre un portone". Ora è il momento di affidarsi a questo aforisma, attribuito ad Alexander Graham Bell, per affrontare i prossimi sette giorni con ottimismo, provando ad archiviare rapidamente una delusione che si concretizza definitivamente ieri ma nasce molto prima, con la marea di punti gettati al vento nel corso di questo campionato. Troppi, per sperare che l'unica rivale per il tuo obiettivo possa rimanere inerme a osservarti. Il portone è quello dell'Allianz Arena e la speranza è che venga spalancato ai sogni di gloria dell'Inter, che è attesa da un confronto a dir poco impegnativo ma in un contesto da sogno. La finale di Champions League, mica pizza e fichi. E stavolta, rispetto al 2023, i nerazzurri non arrivano da cenerentola, ma con la spinta del merito di aver lasciato a casa squadre come il Bayern e il Barcellona. Il rammarico per non aver vinto un campionato assolutamente alla portata di questo gruppo deve lasciare spazio, se non addirittura dare forza, al desiderio di qualcosa di più grande.
Perché se Antonio Conte, esaltando il suo 'miracolo' (che miracolo non è...) prova a minimizzare l'altrui percorso europeo, è perché sa benissimo che una vittoria dell'Inter il prossimo 31 maggio eclisserebbe senza mezzi termini la sua gloria personale. Ma francamente, non è un problema nostro.
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