Sono passati quattro anni e un giorno da quella notte magica, dal quel 22 maggio 2010, quando a Madrid il Capitano dell'Inter Javier Zanetti alzava al cielo la terza Coppa dei Campioni della storia nerazzurra, 45 anni dopo l'era della Grande Inter. Sembra ieri per qualcuno, un secolo per altri. Ma per tutti i tifosi nerazzurri sono ricordi nitidi, ognuno conserva nella memoria immagini ed emozioni, a partire dalla marcia di avvicinamento a quel sogno, sino al raggiungimento del sogno stesso.  Al fischio finale della battaglia del Camp Nou contro il Barcellona più forte di sempre, ma costretto alla resa di fronte a quei ragazzacci guidati dal grande Josè Mourinho, partì la corsa al biglietto per la finale a cui nessuno avrebbe voluto mancare.

Naturalmente non tutti riuscirono nell'impresa, i meno fortunati costruirono mentalmente il loro "Bernabeu" nelle case, nelle piazze, facendo tesoro dei racconti di padri e nonni che hanno tramandato loro la passione per l'Inter che negli anni 60 era la Squadra europea per antonomasia. Sarti; Burgnich, Facchetti; Bedin, Guarneri, Picchi; Jair, Mazzola, Peirò, Suarez, Corso. Più che una formazione, uno scioglilingua, divenuto  patrimonio dell'Italia intera quanto il tifo contro quasi non esisteva.  Dopo 45 anni la Coppa dei Campioni si chiama Champions League, cambiate già da parecchio le modalità di accesso, inseriti gironi di qualificazione prima dell'eliminazione diretta, ma il Trofeo è quello. Più imponente di quello mostrato da Armando Picchi per due anni di seguito, (1964 e 1965), con le grandi orecchie ancora più grandi. Ma sempre bellissimo e regale.

Dicevamo di chi fu impossibilitato a gioire dal vivo, impossibile non ricordare invece le migliaia di persone che invasero Madrid. Ultras, tifosi normali, giovani, meno giovani, anziani. Questi ultimi sapevano che effetto avrebbe fatto e li si guardava cuoriosi, come se avessero potuto svelare chissà quale segreto. La mia finale iniziò due giorni prima. Salii sull'aereo per la Spagna giovedì 20 maggio, ufficialmente da giornalista con il compito di raccontare quell'evento, ma con il cuore e la testa da tifoso in subbuglio. Nel trolley trovava spazio una maglia bianca vintage con striscie diagonali nerazzurre. Quella vista spesso nelle trasferte europee dei mitici anni 60. Tessuto un pò pesante, a Madrid si sfioravano i 30 gradi, ma avevo deciso che quella sera l'avrei dovuta indossare. Il venerdì, giorno di vigilia, arrivavarono le prime avanguardie del tifo, quello nerazzurro sembrava già in maggioranza rispetto a quello bavarese.

Noi della stampa, con il Santiago Bernabeu alle spalle, impegnati al mattino in una lunga fila per entrare in possesso del sospirato accredito. Mi chiamano, toccava a me, un simpatico signore scatta la foto da inserire sul badge e mi ringrazia calorosamente. Gli chiesi il motivo. Era tifosissimo del Real Madrid e gioiva per la vittoria della mia Inter contro l'odiato Barcellona. Nel pomeriggio ero presente alla rifinitura della Squadra al campo di allenamento del Real. Il clima sembrava sereno, Josè scherzava con  i ragazzi. Poi nel ventre del Bernabeu la conferenza stampa ufficiale, oltre al Mister, presenti anche Zanetti, Cambiasso e Sneijder. Avevano la faccia giusta e paradossalmente questo aumentava la mia tensione. La mattina del grande giorno, Madrid era uno spettacolo. Sole, caldo, gioia, paura, speranza. Le ore non passavano mai, al “Barajas” continuavano ad atterrare i charter della passione, benedetta la Fan- Zone allestita per l'occasione dove si poteva mangiare e bere, in attesa dei gol di Milito.

Tornai in hotel, indossai la maglia come mi ero ripromesso e salii sulla metropolitana, direzione stadio, stracolma di tifosi dell'Inter. I cori erano imponenti, io cercavo di mantenere un finto ed ipocrita aplomb. Il resto lo sapete. Il Bayern Monaco si dovette inchinare all'Inter sotto i colpi del Principe. Esultai senza ritegno e piansi. In piedi vicino a me faceva servizio il signore tifoso del Real Madrid, si quello della foto al centro accrediti. Mi guardava, ridendo come un pazzo.  L'Inter era campione d'Europa, Mourinho come Herrera, Massimo Moratti come papà Angelo, Zanetti come Picchi. Alzala Capitano, alzala. E stavolta è stato ancora più bello, perché esiste il tifo contro e mezza Italia ha pianto, ma non di gioia. Sono passati quattro anni e un giorno. Ma è stato bello ricordare certe emozioni. In attesa di riviverle.

Sezione: Editoriale / Data: Ven 23 maggio 2014 alle 00:00
Autore: Maurizio Pizzoferrato
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