Stevan Jovetic, alla fine, è diventato nerazzurro. Alla fine, eh sì, perché il montenegrino ha avuto spesso in questi anni abboccamenti con il club milanese, fin da quando - era il luglio 2007 - giovanissimo giocò un'amichevole con il suo Partizan contro la squadra che era sempre di Mancini e si mise in mostra. Lo ricorda lui stesso in un'intervista esclusiva alla Gazzetta dello Sport. "Dall’altra parte c’erano Stankovic, Balotelli, Ibra. E io presi un palo: il giorno dopo mi dissero che l’Inter si era interessata a me", fa l'attuale numero 10 interista, già idolo del popolo nerazzurro dopo il destro liftato che al 93' ha abbattuto la resistenza dell'Atalanta domenica scorsa. "La cosa che più mi è rimasta impressa? Tutti impazziti, io pure, ma soprattutto tutti quei tifosi che sembravano venirmi ad abbracciare, ogni secondo sempre di più. Me li sono quasi visti addosso".
L’esperienza acquisita fino ad oggi, soprattutto in Inghilterra, quanto l’ha cambiata?
"Sono maturato un bel po’ in questi anni, ho dato forza alla mia mentalità, ho imparato tanto dai campioni che ho trovato al City, ho imparato anche dagli errori e dalle cose fatte bene, caratterialmente mi sono scoperto più tranquillo e davanti alla porta più sicuro. E’ vero: anni fa, a Firenze, dissi che sarei dovuto diventare più freddo davanti nelle occasioni da gol. Si cresce, si trova fiducia".
Si è visto contro l’Atalanta. Contro il Carpi, visto che non ci sarà Icardi, è pronto a fare il finto centravanti come a Firenze quando segnò 2 gol al Liverpool?
"Là davanti posso e sono disposto a fare di tutto, ogni ruolo. Se poi mi chiede qual è la mia posizione ideale, beh, è quella con due punte e in cui io sono la seconda con vista-porta, con un compagno vicino insomma".
Mancini che avrà chiamato anche lei, quest’estate: quando esattamente?
"Era giugno credo: io ero al mare in Montenegro, lui pure direi. Dopo di lui, mi telefonò Ausilio: entrambi mi spiegarono tutto ciò che avevano in testa, i progetti, per l’Inter e per me. Chiuse le chiamate ci misi un secondo a decidere: l’Inter era roba per me. E in questo momento so di essere nella squadra top della mia carriera, perché non c’è dubbio che sia una delle più forti e importanti d’Europa".
Inter che le sta dietro da tempo: la prima volta vera quando fu?
"A parte quelle voci del 2007, che probabilmente erano più interessamenti che altro, credo che le prime situazioni concrete si siano verificate 2-3 anni fa. Anche ai tempi di Firenze direi. Insomma, dell’Inter ciclicamente ho sentito parlare diverse volte".
Ecco: ma a Manchester cosa non è andato veramente?
"Intanto mi faccia ringraziare i tifosi, il club, tutti. Tranne Pellegrini? Ma no, ma no: zero polemiche. Se lo incontro lo saluto, certo, perché anche questa esperienza mi è servita. Perché non giocavo? Non lo so, in fondo non me l’ha mai spiegato. Un giorno andai da lui chiedendogli di farmi giocare 3-4 gare consecutive. Non è successo, amen. Non giocavo nemmeno la partita successiva alla quale avevo segnato, quindi...".
Quel che è successo è che per molti lei era infortunato.
"Ecco, chiariamo questa storia. Che non mi fa incazzare né infastidire troppo, ma va chiarita. Ho avuto dei problemi a Manchester, non posso negarlo. Ma non giocavo nemmeno quando stavo bene. Anzi, benissimo. Detto che dovete presentarmi un giocatore che non ha mai avuto infortuni durante l’anno, sembra ormai diventata una moda dire che Jovetic s’infortuna sempre. Se succede, capita come a tutti. Quindi basta con questa storia. Ora direi di essere al settanta-ottanta per cento di forma".
Che è poi la quota-scudetto per l’Inter?
"Alt, fermi tutti. Quella parola non va pronunciata oltre al fatto che le candidate sono Juve e Roma e poi ci siamo noi, Napoli, Fiorentina, Milan e Lazio. Terzo posto sì, quello si può dire: perché la forza per raggiungerlo l’abbiamo".
L’altro giorno, alla presentazione, ha fatto sorridere un po’ tutti: ha chiesto rinforzi.
"Sì, è stata una considerazione leggendo i giornali (ride, ndr). Se ho già chiamato il mio amico Ljajic? Ho letto, ma non l’ho chiamato no".
Si avvicina Perisic.
"Forte, fortissimo. Comunque rinforzare significa anche far diventare fortissima una squadra che è già forte…".
Giusto. Il segreto, oltre al mercato?
"Un grande allenatore, che c’è, e la fame: e mi pare che qui ci sia, a vagonate. In chi già c’era e anche nei nuovi, che hanno una gran voglia di fare".
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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