Avete mai visto una tifoseria fischiare a gran voce l'inno della Champions League? No, perché a Barcellona - a volte - accade (anche) questo. Evidentemente in Catalogna non hanno ancora superato il tracollo di Anfield Road: Valverde in primis, che sullo 0-1 passeggia a bordocampo come Napoleone a Sant'Elena. Antonio Conte spazza via le voci riguardanti un atteggiamento catenacciaro della sua squadra, applicando un misto di guardiolismo e calcio totale. Contismo in evoluzione, insomma. La tigna, però, è sempre quella, tipica del ragazzo cresciuto in via Parini. Che a bordocampo si sbraccia in continuazione: ai suoi ragazzi chiede di ripartire dal basso, capovolgere rapidamente il fronte, cambiare continuamente gioco. Ne esce fuori una prestazione gagliarda: risultato macchiato da un arbitraggio discutibile, con il tecnico nerazzurro che invoca rispetto ("c'è scritto sulle vostre maglie") quando lo sloveno Skomina osa addirittura ammonirlo.

La prova che i meneghini offrono è qualcosa di sontuoso: molti tifosi rivedono il senso di appartenenza alla maglia che per troppi anni (per non dire un decennio esatto) è venuto spesso a mancare. Quel ch'è certo è che, soprattutto nel primo tempo, vi sia stata una dose di interismo piuttosto abbondante. Una sensazione che non si può spiegare: soltanto vivere. Attraverso un misto di passione ed orgoglio. "A volte essere legati a questi colori è un dovere", per parafrasare il buon Giacinto. Con quale metafora si può rappresentare la storia dell'Internazionale, se non come un'eterna sfida tra Davide e Golia? I giocatori della Beneamata, nel fortino del Camp Nou, si spingono ben oltre i propri limiti. Quando uno come Nicolò Barella, ad esempio, in una gara del genere viene ammonito dopo soli 5' di gioco, nessuno si aspetta che finisca la partita in campo e lo faccia esibendo uno stile di gioco all'altezza del palcoscenico. Ma la determinazione dei sardi non ha limiti (un certo Gigi Riva, interista da bambino, sarà senz'altro contento).

Barcellona-Inter vuol dire doppi ex, e anche di lusso: Helenio Herrera, Coutinho, Rafinha, Ibrahimovic, Figo, Eto'o, Thiago Motta e... Luis Suarez. Proprio il suo omonimo, nato 52 anni dopo e circa 10.000 chilometri più a sud, castiga i nerazzurri: due gol d'autore (uno più bello dell'altro) vanificano gli strenui tentativi compiuti dalla formazione ospite. Molti sono, comunque sia, i motivi per cui la bandiera nerazzurra può sventolare più alta che mai: Lautaro Martinez, atteso per l'esame di maturità più importante della sua carriera, ha risposto presente mostrando tutta la sua ferocia in mezzo al campo e freddezza negli ultimi metri. Molto bene anche la sua "spalla", Alexis Sanchez, abile a svariare sulla trequarti muovendosi nel modo giusto in entrambe la fasi. Bravi i centrocampisti a fare da frangiflutti e verticalizzare in direzione delle punte; gli esterni tengono la posizione con autorevolezza e la linea a tre non lascia spazio agli attaccanti avversari. L'Inter di errori ne commette pochi, anzi: se i padroni di casa vincono, devono molto (se non tutto) al proprio centravanti ed a quel mostro di Marc-André ter Stegen.

La carriera di Lionel Messi è la dimostrazione lampante del fatto che i compagni di squadra, spesso e volentieri, possono essere croce o delizia. Se da una parte l'argentino fa comunella di paese con Luis Suarez (tra chiacchiere, mate e dialoghi nel riscaldamento), dall'altra non si passa mai la palla con Antoine Griezmann. L'ex Atlético abbandona il campo nella ripresa (non improbabile che la Pulce abbia chiesto nell'intervallo la testa del francese), lasciando il posto al frizzantino Dembélé: è lui a dare, nel frangente finale, l'ampiezza necessaria alla compagine blaugrana. Che il piccolo Diavolo originario della Loira, se costretto ad agire fuori posizione, non riesce a garantire. Ecco perché Antonio Candreva ben figura sulla corsia di competenza, tra sgroppate in avanti e continui ripieghi all'indietro. Concede poco agli avversari, così come tutto il resto della squadra: linee strette, ripartenze veloci, spirito di gruppo. L'incarnazione di un insieme di ragazzi che difendono e attaccano sempre compatti e riconoscenti gli uni verso gli altri.

Non sarà facile ripartire, in vista dell'imminente sfida contro la Juventus. Stimolante, senz'ombra di dubbio, sfidare il mercoledì Leo Messi e la domenica Cristiano Ronaldo; ma resta l'amaro in bocca per aver dato tutto e, nonostante ciò, non essere riusciti neanche a pareggiare. Un'inettitudine che Umberto Saba avrebbe immerso con il suo inchiostro. L'obiettivo, d'altro canto, per quest'annata sportiva è quasi unico: agguantare lo Scudetto, dopo ben dieci anni di astinenza dalla coccarda tricolore. In alcuni reparti il livello di qualità non è eccelso, inutile negarlo, ma Antonio Conte sta compiendo miracoli (e ci sono undici milioni di motivi per cui il suo percorso è in linea con le aspettative). Quando la squadra sarà più rodata e i meccanismi maggiormente oliati, si potrà pensare in grande. Quanto all'esperienza del Camp Nou, conviene farne tesoro. Essere tristi è un diritto; essere orgogliosi, un dovere.

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Sezione: Copertina / Data: Gio 03 ottobre 2019 alle 18:08
Autore: Andrea Pontone / Twitter: @_AndreaPontone
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