"Non ho grande memoria, non ricordo tutto. Ma ho molti libri sull’Inter". A parlare a La Gazzetta dello Sport è Aristide Guarneri, stopper della Grande Inter che ripercorre gran parte della sua carriera partendo dall'esordio in Serie A: "Contro la Spal, abbiamo vinto 8-0 con 5 gol di Angelillo. Dall’altra parte c’era il mio amico Saul Malatrasi che ha poi vinto, oltre alle coppe, anche una Intercontinentale con noi e una con il Milan".

E a gol come siamo messi?
"Pochi. Con il Mago Herrera non potevo superare la metà campo. Proibito, si marcava a uomo e basta. L’unico autorizzato della difesa a salire era Cipe Facchetti. Ma in Nazionale segno a Jascin. Dico: Jascin. Herrera mi dava la carica: 'Aristide, tu puoi fare todo quello che te pare, hai segnato a Jascin. Tu puoi giocare dappertutto'".

Com’era il Mago?
"Non tirava ad indovinare. Era bravissimo, preparatissimo, intelligentissimo, il più grande in assoluto. Parlava inglese, francese, spagnolo, italiano e arabo. Leggeva centinaia di giornali, conosceva tutti i giocatori stranieri. Veramente. Sì, era anche furbo. Ma soprattutto professionista. Ha cambiato la vita a tutti".

In che senso?
"Prima, in allenamento, si facevano molti giri di campo senza pallone. Ce n’erano pochi: una decina, tre nuovi bianchi e neri, tre usati e quattro sformati, spelacchiati perché avevano preso la pioggia. Correvamo tutti a prendere quelli buoni. Una gara. Poi è arrivato Don Helenio e ha portato il professionismo. Prima seduta ad Appiano Gentile, trenta palloni nuovi di zecca, più di uno a testa e subito la partitella. Ah, che meraviglia".

Ha cambiato anche il mondo di fare calcio?
"Sicuro. I suoi metodi, le sue frasi, i suoi slogan ci hanno completamente trasformato. L’Inter è diventata Grande perché aveva sì grandi giocatori, ma soprattutto un allenatore fenomeno. Helenio Herrera era astuto, istrione, motivatore. Incontravi il Real Madrid e a Burgnich diceva: “Tarcisio, non preoccuparti di Gento: è vero, è velocissimo, ma solo nei primi minuti, poi piano piano lo prendi”. Quando abbiamo affrontato il Real a Vienna, nel 1964, mi ha detto: “Attento a Puskas, quello al posto dei piedi ha le mani. Anticipo, anticipo”. O a Tagnin: “Tu segui Di Stefano. E se lui va in bagno, ci vai anche tu. Capito?”. Chiudeva gli spogliatoi, ci faceva allenare dentro, preparava la partita, non voleva che nessuno ci vedesse. In campionato, nelle finali di coppa, anche nelle amichevoli".

Difendeva i giocatori. Sempre? 
"Sì, davanti a tutti. Anche se qualche volta avevamo torto. Noi in campo cambiavamo la marcatura, anche nelle finali, senza avvisarlo. Picchi diceva: “Tu vai qua, tu spostati, tu sali”. Ed Herrera in panchina diceva: 'Bene, bene'".

Lei ha fatto tre finali. 
"Due vinte e una persa. Dopo aver conquistato la seconda, con il Benfica a San Siro, nella stagione successiva siamo stati eliminati dal Real Madrid in semifinale. Uno a zero per loro all’andata, uno a uno a San Siro. Io non ho giocato, ero infortunato".

E quella con il Celtic nel 1967? Eravate veramente stanchi?
"Un po’, roba normale. A Lisbona abbiamo perso anche perché ci mancavo i tre stranieri: Jair, Peirò e Suarez, giocatori importantissimi. Le grandi sfide devi giocarle con i grandi campioni. Ho sofferto molto per quella partita".

E soffrirà anche per l’Inter di Inzaghi?
"Speriamo poco. Il Psg è forte, fortissimo, ha il miglior portiere del mondo, Donnarumma è il nuovo Jascin. Ma anche l’Inter è una grandissima squadra. Sono arrivate lì, sono le migliori. Se i giocatori stanno bene, se non soffrono come nelle ultime di campionato, ce la giochiamo alla pari. Favoriti? Sfavoriti? Cinquanta/cinquanta. È una finale. Bisogna averle fatte, per capire cosa sono le finali".

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Sezione: Rassegna / Data: Dom 25 maggio 2025 alle 10:51
Autore: Stefano Bertocchi / Twitter: @stebertz8
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