Continuano le interviste del Corriere dello Sport ai protagonisti di Calciopoli. A distanza di 10 anni esatti dallo scandalo che sconvolse il calcio italiano, parla l'ex arbitro Paolo Bertini, anche lui coinvolto e poi dichiarato innocente. "La mia vita, una parte della mia vita, è stata spazzata via. Lo sapevo anche dieci anni fa che ero innocente, ma ora è stato certificato pure dalla giustizia, tutta insieme, quella sportiva e quella penale. Bene, chi mi restituisce quello che ho perso?", si domanda Bertini. 
 
Si sarà dato una spiegazione...
"No e non ho trovato aiuto neanche dalle carte. Calciopoli nasce perché la Juventus e i dirigenti della Juventus dovevano essere il Diavolo ed invece l’unica partita diciamo così “certificata”, per la quale viene condannato un solo arbitro (De Santis, ndr) è Lecce-Parma, con la quale la Juventus non c’entra nulla. Mah...". 
 
Perché rinunciare alla prescrizione? 
"Perché ero innocente. Perché vivo ad Arezzo, un paese più che una città, dove ci si conosce tutti. Lavoravo in banca, l’ho fatto per 26 anni, gestivo i soldi della gente, pensate potesse essere facile continuare a farlo con quelle accuse? L’ho fatto per la mia famiglia, quante ne ha dovute sopportare mia moglie Daniela. E mio figlio Tommaso, che aveva 8 anni e che, rispetto a Elena che ne aveva tre, era più vulnerabile. A scuola di che volete si parli, a quell’età, se non di calcio? Per fortuna sapeva bene chi era il suo papà". 
 
Due flash di quel periodo, era tutto contro. 
"Essere in una piccola città è anche un vantaggio. In tanti mi sono stati vicini. A cominciare dal sindaco di allora, Giuseppe Fanfani, nipote dell’Onorevole. “Paolo, conosco te e il tu’ babbo, sono convinto che si risolverà. Tieni duro!” mi disse. E poi il capo della Mobile di Arezzo, che in piena bufera intercettazioni, mi chiamò proprio al telefono: “Ti conosco, non hai mai fatto quello di cui ti accusano". 
 
Detta così, però, Calciopoli sembra un’invenzione... 
"C’era una serie di rapporti, magari sconvenienti, ma c’erano e lo sapevano tutti. Perché con il sorteggio, con due designatori voluti da squadre diverse, era necessario tenere i canali di comunicazione aperti, ce lo disse direttamente il presidente Carraro. Io parlavo con i miei designatori tre, quattro volte a settimana. Eppure su 171mila telefonate ce ne fosse stata una.... E poi, vista la leggerezza con la quale parlavano di certe cose, possibile non parlavano anche del resto?". 
 

Sezione: News / Data: Mer 20 aprile 2016 alle 10:10 / Fonte: Corriere dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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