No, non è andata bene sabato: Inter-Roma si è risolto ancora una volta a favore dei giallorossi, capaci ancora una volta di espugnare San Siro consolidando così il loro primato in classifica. Troppo forte questa squadra rigenerata dalla cura di Rudi Garcia? Può anche essere questa la chiave di lettura, di certo chi parla di punizione esagerata non ha tutti i torti per gli uomini di Walter Mazzarri, anche se ormai è inutile tornare a piangere sul latte versato. Il dato statistico di rilievo è che la Roma ha ottenuto la sua terza vittoria consecutiva nella San Siro nerazzurra, due in campionato e uno in Coppa Italia nella scorsa stagione, cosa che non le era mai riuscita nella sua storia di quasi novanta anni. Con l’ultimo successo nerazzurro che risale alla gestione Leonardo, con quel rocambolesco 5-3 del febbraio 2011.
Il Meazza, quindi, quando l’Inter gioca in casa è da due anni terreno di conquista della Roma, avversaria contro la quale i nerazzurri hanno sempre lottato duro, ma con la quale sono riusciti a togliersi negli anni non poche soddisfazioni e scrivere pagine importanti della propria storia. I ricordi più recenti arrivano magari a quel gol strepitoso di Javier Zanetti col quale l’Inter di Mancini pareggiò una partita che sembrava persa nel 2008, rete che valse mezzo scudetto; oppure alla clamorosa rimonta in Supercoppa nel 2006, da 0-3 a 4-3; andando ancora più a ritroso, poi, come dimenticare quella rovesciata capolavoro di Youri Djorkaeff la cui esecuzione divenne emblema della campagna abbonamenti dell’anno successivo, il primo dell’era Ronaldo?
Ma se c’è un’Inter-Roma che nel cuore dei tifosi interisti è rimasto più degli altri, soprattutto tra quelli più datati, allora la mente non può che tornare fino ad una giornata di fine aprile di un anno particolare, il 1980. In quella giornata, si scrisse una favola, e dentro questa favola un’altra favola ancora: la favola è quella dell’Inter di Eugenio Bersellini, che con una formazione composta perlopiù da giovani elementi come Alessandro Altobelli, Evaristo Beccalossi, Gabriele Oriali, Giuseppe Baresi, gente che sarebbe cresciuta e avrebbe sempre vissuto con l’Inter nel cuore, riuscì a dominare un campionato segnato da tristi vicende; la storia dentro la favola è quella dell’eroe per un giorno, del bomber che non ti aspetti, di quello cui non affideresti mai il tiro della vittoria perché non è nelle sue corde e invece quel giorno trova l’ispirazione e decide di scrivere la storia.
Roberto Mozzini da Sustinente, provincia di Mantova, era uno dei classici ‘gregari’, arrivato quell’anno dal Torino col quale vinse un campionato nel 1976 per dare una mano alla difesa nel ruolo, come si chiamava un tempo, di stopper. Non esattamente uno col vizio del gol, tutt’altro: un lavoratore oscuro, che proteggeva il libero Bini, non coi piedi educati del rapace d’area. Eppure quel giorno, Mozzini decise di ribellarsi alla ‘vita da mediano’, anzi, ‘da stopper’. E accadde nel momento più importante di quell’annata: quando l’Inter ospitava la Roma cercando quel punto che avrebbe voluto dire respingere definitivamente l’assalto della Juventus e conquistare il 12esimo scudetto. Sembrava una strada in discesa, ma non è così: perché la Roma non ci pensava proprio a fare lo sparring-partner, anzi passò in vantaggio con Pruzzo e tornò nuovamente avanti prima del 45esimo con Ramon Turone (che l’anno dopo diventerà protagonista, suo malgrado, di uno degli episodi arbitrali più chiacchierati della storia del nostro calcio), dopo il pari di Lele Oriali. Intanto, la Juve dilagava contro il Perugia, solo l’anno prima vice-campione d’Italia dietro il Milan di Nils Liedholm senza perdere una partita e poi protagonista di un torneo anonimo. Il verdetto pareva destinato a essere rimandato, ma, a due minuti dal 90esimo, qualcuno la “saettò”.
Enrico Ameri, storica voce di “Tutto il calcio minuto per minuto”, usò proprio quel verbo: saettare. Perché all’improvviso, a due minuti dal 90esimo, Roberto Mozzini raccolse una respinta corta della difesa romanista e con rasoterra implacabile trafisse Franco Tancredi trovando il 2-2 che vuol dire scudetto. Proprio lui, il difensore vecchio stampo, diventa eroe per un giorno, permettendo all’Inter di tagliare il traguardo a braccia alzate, conquistando uno scudetto meritato per il gioco espresso, ma anche per il contesto in cui quel titolo arrivò. Il 1980 sarebbe stato l’anno dello scandalo del Totonero, scoppiato quando un commerciante di frutta, Massimo Cruciani, presentò un esposto alla Procura della Repubblica di Roma, sostenendo di essere stato truffato, in quanto indotto da alcuni giocatori della Lazio coi quali venne in contatto grazie a un ristoratore, Alvaro Trinca, a scommettere su alcune partite di Serie A che erano state combinate. Però alcuni risultati concordati non si erano verificati, con Cruciani che ci rimise somme ingenti. Scattarono le indagini, e il 23 marzo 1980 l’Italia, che qualche mese dopo avrebbe dovuto ospitare il primo Europeo con fase finale a sede unica, vide dai propri teleschermi un’immagine sconvolgente: le forze dell’ordine dentro gli spogliatoi degli stadi di calcio, per arrestare alcuni giocatori e presidenti. Seguirono processi, sentenze e successive assoluzioni, e verdetti sportivi pesantissimi, tra squalifiche e penalizzazioni. Uno su tutti: la retrocessione del Milan in Serie B.
Roberto Mozzini sarebbe rimasto all’Inter un’altra stagione, per poi passare al Bologna e chiudere la carriera tra Fano e Rondinella Marzocco Firenze. Dopo quella storica rete, ne segnò solo altre due, una in rossoblu e due coi granata marchigiani. Ma indubbiamente, quel gol è rimasto vivo nella mente di lui e di tutti i tifosi nerazzurri: un gol improvviso, inaspettato, bellissimo. Che consegnò all’Inter uno scudetto meritato, sudato, pulito. Bellissimo.
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