Quando è arrivato in Italia, Joao Mario aveva la nomea di essere un giocatore duttile, dotato di una buona tecnica individuale e di un’intelligenza calcistica sopraffina. Nell’estate del 2016 aveva appena trionfato con il Portogallo agli Europei di Francia, indossando la maglia numero 10: ha agito principalmente da esterno nel 4-4-2 di Fernando Santos, fungendo da giocatore associativo che si accentrava e giocava tra le linee. La cifra pagata da Suning per farlo arrivare a Milano ha fatto il resto: 40 milioni di euro allo Sporting Lisbona, il secondo acquisto più caro della storia nerazzurra dietro solo a Bobo Vieri. La sua prima stagione coincide con uno dei periodi più tetri degli ultimi anni, ovvero quando si avvicendano sulla panchina dell’Inter De Boer, Pioli e Vecchi, per un mesto settimo posto finale. Joao Mario si alterna tra il ruolo di centrocampista centrale e trequartista, senza mai trovare le sue zolle e, soprattutto, senza mai entrare in confidenza con un’ambiente che si aspetta tantissimo da lui così come da Gabriel Barbosa, promessa non mantenuta di quella disastrosa campagna acquisti. La stagione si conclude con una nota polemica: durante Lazio-Inter, J. Mario e Gabigol abbandonano polemicamente la panchina prima della fine della partita e verranno multati e non convocati per l’ultima gara, a San Siro contro l’Udinese.

L’ARRIVO DI SPALLETTI - Il cambio di allenatore può rappresentare un nuovo inizio, nonostante per Spalletti il trequartista (ruolo cui Joao Mario viene designato) abbia caratteristiche diverse, guarda caso tutte sintetizzate nella figura di Radja Nainggolan. Ma il mercato subisce le frenate che sappiamo, quindi l’ex tecnico della Roma deve adattarsi al materiale a disposizione. E se J. Mario all’inizio vede il campo con continuità, con l’avvicinarsi della finestra di mercato il suo minutaglie cala costantemente, fino all’inevitabile cessione in prestito. Al West Ham gioca sempre, in una squadra che lotta per salvarsi. David Moyes lo schiera dietro la prima punta in un 3-4-2-1, ma il caos organizzativo che è l’undici degli Hammers non contribuisce al riassestamento di Joao Mario, sempre più spaesato in mezzo al campo.

PAROLE IMPORTANTI - Le dichiarazioni con cui annuncia di non voler più tornare all’Inter le abbiamo sentite tutti, così come ogni tifoso è consapevole delle difficoltà che ha fatto la società a trovare un acquirente per lo scontento giocatore portoghese. Così, Joao Mario rimane a Milano e a Spalletti tocca il duro lavoro di reintegrarlo nel gruppo. Fin dal primo momento, specifica che Joao non è fuori squadra, ma si allenerà con il gruppo e, se lo farà bene, avrà la sua chance per giocare. Parole banali, ma che tracciano una strada ben delineata, un binario di redenzione che il numero 15 vuole percorrere fino in fondo. In questo senso vanno lette le sue dichiarazioni sul trasformare i fischi in applausi, che raccontano di una coscienza non indifferente e della volontà di provare a voltare pagina, per il bene di tutti. 


TATTICISMI - L’Inter disegnata da Luciano Spalletti ha fatto il resto. Senza più il primo passo di Rafinha e la fonte di gioco Cancelo, c’era da inventarsi un modo nuovo per risalire il campo e rifornire le bocche da fuoco in attacco. Fin dalla pre-season, Spalletti ha lavorato su di un possesso palla basilare, con i difensori centrali che dialogano tra di loro e salgono con la palla sfruttando sponde e movimenti dei centrocampisti e dei terzini. Inoltre, per consolidare la fase di possesso, Spalletti ha effettuato un microscopico ma sostanziale aggiustamento alla formazione interista: l’uomo dietro a Icardi, nel 4-2-3-1, deve calibrare i suoi movimenti in concerto con la mezzala d’inserimento (leggasi: Vecino o Gagliardini) per trasformare lo schieramento in un fluido 4-3-3 che garantisce maggior copertura a centrocampo e la possibilità, per i due esterni (sempre a piedi invertiti) di tagliare al centro, scambiarsi di posizione e sfruttare il lavoro lontano dalla palla dell’attaccante. Una soluzione diversa dal solito, in cui Joao Mario si è calato alla perfezione grazie alle doti di cui parlavamo in apertura: è importante per lui poter giocare “di sponda”, posizionandosi spalle alla porta e restituendo con un tocco semplice il pallone al compagno, per poi lanciarsi tra le linee, il suo habitat naturale.

Un’altra caratteristica spesso sottovalutata di Joao Mario è la sua capacità di creare triangoli di gioco che rendono più semplice la costruzione del gioco. In questo caso, il suo posizionamento permette a Dalbert di creare una sovrapposizione potenzialmente mortifera per la difesa del Genoa, che è colta di sorpresa dal suo movimento ad uscire e perde totalmente le distanze. Con una soluzione semplice, il banco salta e Dalbert può crossare in mezzo. 

 

Grazie all’arrivo di Skriniar e De Vrij e all’affermazione di Brozovic come regista, si è risolto uno dei più grandi dubbi che accompagnavano Joao Mario: lui non è un creatore, bensì un facilitatore del gioco. Con la costruzione che parte dal basso, per lui è più semplice inserirsi nella manovra e adottare piccoli aggiustamenti che rendono più fluido il suo sviluppo, come il caso visto poco fa. Non stiamo parlando di un giocatore che può fare la differenza sempre e comunque, ma di un centrocampista duttile e intrigante dal punto di vista tecnico, che ha incominciato a fare la differenza e, se troverà continuità, potrebbe tornare utilissimo nell'affermazione dell'Inter tra l'elite della Serie A. 

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Sezione: In Primo Piano / Data: Ven 09 novembre 2018 alle 15:53
Autore: Marco Lo Prato / Twitter: @marcoloprato
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