E il cerchio si è chiuso. Quasi come 18 anni fa, quando andò in scena la prima partita di quella che all’epoca fu la nuova era nerazzurra. Non nel risultato, anche se in buona sostanza ci è mancato poco, perché il gol scacciapensieri è arrivato proprio allo scoccare del novantesimo altrimenti sarebbe stato 1-0 anche in questa circostanza; forse nel gioco, perché l’Inter vista ieri contro il Livorno è stata sostanzialmente una delle meno brillanti di questo campionato, presa da qualche tensione di troppo e chiusa anche abilmente dalla trappola difensiva impostata dal tecnico amaranto Davide Nicola. Ma tant’è, i nerazzurri incamerano anche questi tre punti e arrivano alla sosta col sorriso sulle labbra, rilanciandosi in orbita Champions League in attesa di sapere il risultato tra Juventus e Napoli ed arrivando ad eguagliare il record di 29 gol che fu delle squadre di Gigi Simoni e José Mourinho. Ma soprattutto, saluta la fine di un’epoca, quella di Massimo Moratti proprietario del pacchetto di maggioranza, e l’inizio di una second life, termine che suona strano se pensiamo che parliamo di un signore di 40 anni, ma che diventa dolcissimo se accostato al nome di Javier Zanetti.
KRYPTON-TERRA, SOLA ANDATA – Subire un infortunio così grave, ad una certa età, per 99 casi su 100 vuol dire salutare la carriera agonistica. Ma qui non stiamo parlando di un atleta normale, perché Javier Zanetti non può essere definito normale. Massimo Moratti, negli ultimi giorni in maniera scherzosa ha affermato che Pupi arriva da Krypton, ma visto quanto avvenuto ieri forse qualche indagine sarebbe legittima. Perché Zanetti, acclamato sin dalla lettura delle formazioni e soprattutto al momento dell’ingresso in campo, si prende dieci minuti per far capire che il tempo, per lui, sembra non passare mai. Emblematico quanto accade al novantesimo: prende palla, saluta Schiattarella, si invola in area, inquadra Kovacic al quale dà il compito di servire a Nagatomo il cioccolatino del 2-0. Già, proprio lui, Nagatomo, il giapponese che si è inventato l’omaggio più bello per il capitano, l’inchino dopo un gol. Impossibile non riproporlo anche in questa circostanza, per consolidare il principio: il tempo si è fermato, Zanetti è ancora l’uomo d’acciaio che a Palermo ha solo lasciato un discorso in sospeso. E alla fine del match, Cambiasso gli riconsegna la fascia di capitano. Tutto magicamente come prima.
LA STECCA DI STECCIO – Una partita che tutto sommato non ha offerto grandi spunti, anzi: l’Inter non è stata sfavillante come altre volte, tutt’altro. L’impressione era quella di una squadra un po’ contratta, sulle gambe, non in grado di trovare l’apriscatole per fare breccia nell’attenta retroguardia labronica. Serviva forse un guizzo, un’occasione. E quell’occasione, alla fine, è arrivata, anche se in maniera molto fortuita e soprattutto con un protagonista non voluto forse nemmeno da buona parte della tifoseria interista. Abbiamo detto un gran bene di Francesco Bardi, sempre: è la gemma del futuro nerazzurro, un portiere di sicuro valore e di affidamento già adesso, come ha dimostrato in più circostanze. E per questo, forse, vedere quel pallone crossato da Jonathan scappargli via così goffamente causa una fitta al cuore: non meritava, il ragazzo, una prima a San Siro, quella che può essere la sua futura casa, segnata da questo pessimo incidente di percorso. Dopo, Bardi si è comportato anche dignitosamente, come in occasione della respinta su Ricardo Alvarez prima della fine del primo tempo, ma quell’erroraccio pesa troppo nell’economia dell’incontro. A Steccio possiamo solo dire di farsi coraggio: perché San Siro potrà in futuro regalargli momenti molto più belli.
C’E’ SOLO UN PRESIDENTE – L’errore di Bardi pesa perché spezza una partita molto brutta fino a quel momento, dove l’unica emozione vera, si può dire, è arrivata non dal campo, ma dagli spalti. Un lungo, commosso applauso ha accolto la lenzuolata con la quale la Curva Nord ha voluto salutare e ringraziare, in maniera comunque asciutta e commossa al punto giusto, Massimo Moratti per quanto fatto in questi 18 anni all’Inter. Forse non c’è commento migliore che riproporre quanto scritto dai tifosi organizzati nerazzurri, e immaginare di unirsi ancora adesso all’applauso che ha accolto il messaggio, epilogo di un’era storica: "Le gioie più grandi le sofferenze più imbarazzanti. 18 anni di gestione racchiuse in quelle 12 domande. Spesso la abbiamo attaccata, ma mai abbandonata... Nonostante tutto qualcosa ci accomuna, l'amore per l'Inter, innegabile... L'essere troppo tifoso che a volte è deleterio. Ora attendiamo curiosi... Ma intanto grazie di tutto Presidente, se lo merita. In fondo le abbiamo voluto bene". Il tutto, accompagnato da quel coro struggente: “C’è solo un presidente”. Solo applausi. Tanti. Giusti.
NE BRILLA SOLO UNO – C’era effettivamente grande attesa per vedere i tanti ragazzi della cantera dell’Inter militanti nelle fila del Livorno, quasi una sorta di formazione B nerazzurra. C’era voglia di capire i progressi fatti sin qui agli ordini di Davide Nicola da questi quattro ragazzi (escluso Luca Siligardi, la cui proprietà è stata mollata dell’Inter). A conti fatti, l’unico promosso è stato Ibrahima Mbaye: il senegalese ha mostrato grande dinamismo, capacità di proporsi, e ha ingaggiato un lungo duello con Nagatomo sulla corsia sinistra. Per il resto, detto di Bardi, male Alfred Duncan, che ancora non ha corretto il difetto atavico della troppa irruenza rischiando anche il rosso e uscendo dopo appena un tempo; al suo posto, Marco Benassi, volitivo ma evanescente. Insomma, di strada da fare ce n’è ancora parecchia, stando a quanto visto ieri…
IL DIFETTO DI RIGORE – Ventinove gol fatti, come solo due Inter del passato erano arrivate a fare a questo punto del campionato. Ventinove gol ancora più pesanti perché al netto di calci di rigore, che al dodicesimo turno vedono ancora la squadra nerazzurra ancora ad una malinconica quota zero. Anche ieri, grandi dubbi sulla decisione dell’arbitro Peruzzo di non sanzionare Luci per il fallo su Rodrigo Palacio, un intervento apparso a tutti degno della massima punizione. Si deve ancora fare i conti con questo dato in difetto, ma un’Inter che pur non brillando riesce a portare a casa tre punti fondamentali può anche permettersi di non pensarci più di tanto…
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