Batti e ribatti. Oramai va sempre così: la Juve vince, l'Inter risponde e resta a meno uno dai bianconeri. Certo, il rammarico per quella sconfitta del Meazza riemerge ogni volta. Ma inutile è rimuginare sugli errori del proprio trascorso. L'unica garanzia per il fallimento, infatti, è quello di smettere di provarci. Chi l'ha detto, in ogni caso, che il sogno Scudetto per la squadra di Antonio Conte sia svanito? Perdere sei punti di scarto in una sola gara non fa bene al morale (e questo è ovvio), ma se in panchina hai "quello là" puoi restare tranquillo sul fatto che il tuo club onorerà il campionato fino alla fine. L'uomo che sposta una montagna si qualifica in quanto colui che comincia a portare via piccole pietre. Torino, Spal, Roma, Fiorentina, Genoa: vincerle tutte e cinque, per poi andarsela a giocare al San Paolo di Napoli contro i padroni di casa partenopei. L'imperativo, in casa nerazzurra, era - ed è tuttora - uno solo. Una partita è andata. Senza alti e bassi, stavolta, ma con uniformità di prestazione: due reti che ammazzano la gara nel primo tempo; matura amministrazione nella ripresa, con il tris che si qualifica come una lieta ciliegina sulla torta.

I ragazzi in maglia verde Tiffany, mentre Gabriel Barbosa - il figliolo mai diventato prodigo - sale sul trono del Sudamerica siglando doppietta decisiva in finale di Copa Libertadores, allo Stadio Olimpico 'Grande Torino' si rivelano abili nel leggere lo spartito della gara; di conseguenza, lo interpretano nel modo giusto. Facendo ricorso spesso e volentieri ai lanci lunghi (per destabilizzare la difesa locale) ed alle classiche spazzate vecchio stile, onde evitare inutili rogne a causa di palle ingenuamente concesse in regalo agli avversari (si palesano le prime avvisaglie natalizie, ma c'è ancora del tempo per esser gentili). Il campo è pesante - talvolta addirittura fangoso - e questo lo s'intuisce già quando, nel riscaldamento, i tesserati della formazione meneghina appoggiano per la prima volta i tacchetti sul rettangolo di gioco: qualche pozzanghera in più del dovuto, un po' troppe le zolle che balzano per aria. Il Torino, tra malumori interni alla tifoseria e mancanza di continuità a livello di risultati, può far affidamento sulla sua unica certezza: il Gallo Andrea Belotti. Ma il centravanti della Nazionale, al 7' di gioco, è costretto ad alzare bandiera bianca. Combina tutto in maniera autonoma, il capitano dei granata: per arpionare un pallone impossibile salta addosso a Skriniar, commette fallo e pone una chiosa alla sua caduta sbattendo vertiginosamente l'anca per terra. Nulla da fare, è necessario il cambio: al suo posto entra Zaza e non è, per niente, la stessa cosa.

Lautaro Martinez sblocca il parziale con un destro chirurgico, eseguito a margine di un contropiede magistrale: passaggio millimetrico di Vecino (che usa la testa, nel senso intrinseco, come solo lui sa fare), con il Toro che s'incunea tra due omoni granata, si allunga il pallone e sprinta inseguendo il drappo rosso del gol. Da solo davanti a Sirigu, è tutto troppo facile: tiro a compasso, palo-gol e vantaggio nerazzurro. Sembra di rivedere il primo Sergio Aguero: se n'è accorto anche Messi, che con lui si trova bene in Nazionale argentina e tutto sommato lo vorrebbe con sé al Camp Nou. Ma a Milano nessuno è fesso. Al FourFourTwo, nel frattempo, il pub meneghino ha un ospite d'eccezione: è Steven Zhang, presidente della Beneamata. Suo padre in Oriente fattura i miliardi, eppure lui - tra tutti i posti del mondo in cui potrebbe essere - sceglie di assistere alla partita in compagnia dei più ingenui tifosi interisti. "No crazy, no more": Antonio Conte glielo disse, a fine maggio, a margine della sua presentazione ufficiale (via social) in quanto nuovo allenatore del Biscione. Eccola la regolarità: il 2-0 arriva per mezzo di uno schema delizioso provato direttamente da corner, che premia Stefan de Vrij richiamando la memoria alla marcatura dello stesso olandese contro la Spagna nel 2014. Nella ripresa, una zampata decisiva di Romelu Lukaku e il risultato è in cassaforte: lo spazio concesso ad alcune seconde linee (Dimarco, Borja Valero) e un po' di riposo per alcuni big sono altri due ingredienti utili per rendere squisita la serata.

Se ti chiami Inter, d'altro canto, non puoi mai ritenerti appagata. La luna gira storta per Nicolò Barella, che tentando di sfoggiare un colpo di tacco si fa male alla rotula (distacco di un frammento cartilagineo): sarà necessaria l'operazione; ergo, ci rivediamo nel 2020. Il sardo si aggiunge alla lunga lista di infortunati (è il sesto dopo Sanchez, Asamoah, Sensi, Gagliardini, Politano). Altra nota dolente della trasferta piemontese, le troppe ammonizioni rimediate, anche per l'estrema rigidezza mostrata dal direttore di gara. Il deficit principale, però, è quello che la maggior parte dei giornalisti tenta di segnalare ad Antonio Conte nella conferenza post-gara: l'Inter procede ad un ritmo assatanato, ma questo non basta affinché sia capolista (due ore prima, infatti, la Juve ha vinto a Bergamo). Stizzito, il tecnico risponde: "Senza di noi, avreste già chiuso libri e quaderni ed il campionato sarebbe già stato assegnato. Noi ci sudiamo i tre punti, come se li suda di volta in volta chi ci sta davanti. Io sono orgoglioso di questi ragazzi: continuiamo così, pensiamo soltanto a noi stessi". Non manca una frecciatina quasi esplicita nei confronti del Napoli, lasciando intendere che "squadre che lavorano da più tempo con lo stesso allenatore" siano molto indietro rispetto ai nerazzurri. I quali, adesso, si candidano seriamente al titolo. Quasi certamente servirà andare a vincere all'Allianz Stadium, nella gara di ritorno, soltanto dopo aver continuato a macinare punti con questa intensità. Ma nulla è impossibile. Chi la dura la vince. Perseverare è umano: diabolico è arrendersi.

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Sezione: In Primo Piano / Data: Dom 24 novembre 2019 alle 20:46
Autore: Andrea Pontone / Twitter: @_AndreaPontone
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