Antonio Conte all’Inter, nel segno della rivoluzione. Nel momento stesso in cui l’ex Ct della Nazionale è stato annunciato una serie di ingranaggi hanno cominciato a vorticare forsennatamente nella società interista perché l’arrivo di uno dei migliori allenatori al mondo alza inevitabilmente l’asticella del gioco e, sì, anche dei risultati. L’Inter si è data tre anni per vincere e l’obiettivo dell’anno prossimo appare già chiaro: recuperare i dieci punti di distanza dal Napoli e soprattutto creare un solco con le altre inseguitrici della Champions League. Con in testa il bersaglio grosso ovvero spodestare la Juventus del titolo di Campione d’Italia.
L’IDENTIKIT - Negli ultimi anni, la fama che ha preceduto Conte è l’essere un allenatore dogmatico, un allenatore che fa della difesa a tre il suo cardine tattico. In realtà, soprattutto nelle prime battute della sua carriera, il tecnico salentino ha avuto modo di sperimentare molto e di proporre un calcio vivace e offensivo, collimato con le sue esperienze a Bari e Siena. Il famigerato 4-2-4 non era altro che una proposta di gioco posizionale cucita addosso ai suoi migliori giocatori. Quand’è arrivato alla Juventus, Conte non si è discostato molto dalle sue idee e ha infarcito la rosa di esterni per fare dei bianconeri una squadra moderna e votata all’attacco. L’idea di Conte era costruire un modello di gioco flessibile che prevedesse un possesso palla continuo e dei cambi di gioco efficaci, con tagli in verticale e in diagonale da parte degli esterni, secondo schemi provati e riprovati a memoria. Il punto di contatto con l’Inter di Spalletti, perlomeno nella prima metà di stagione 18/19, è il modo di difendere che Conte ha portato alla Juve: riaggressione veloce, pressing costante sul portatore di palla e schermo a centrocampo sulle linee di passaggio. L’Inter di Spalletti ha fatto del pressing offensivo la sua arma migliore, alternando momenti di baricentro altissimo ad altri in cui si rintanava nella propria metà campo.
Le idee di Conte si sono adattate a due fattori, nei suoi primi anni alla Juventus: l’esplosione di Arturo Vidal ha reso l’allenatore propenso a schierare il cileno da titolare al fianco di Pirlo e Marchisio e Re Artù (l’anno scorso vicinissimo a vestire la maglia dell’Inter) ha ripagato con un lavoro splendido sul portatore di palla e soprattutto segnando una caterva di gol in attacco, certificandosi la miglior scoperta della Serie A. Dopo poche giornate, il 4-2-4 diventa 4-3-3. A novembre, Conte opera la seconda rivoluzione contro il 3-4-3 del Napoli di Mazzarri: per fermare le avanzate offensive di WM schiera per la prima volta la difesa a tre che diverrà uno dei suoi marchi di fabbrica. La gara finisce 3-3 e poi Conte torna al classico 4-3-3. È interessante notare come schieri la difesa a tre contro squadre con cui deve fare la partita, per cementificare il possesso palla e avere un controllo totale con il doppio regista (Bonucci e Pirlo) e un attaccante mobile spalle alla porta che serve i tagli e gli inserimenti dei centrocampisti e/o delle ali. Il 4-3-3 verrà alternato al 3-5-2 per il resto della stagione e di lì in avanti, sarà utilizzato di più in Europa, dove la dimensione della Juventus non è ancora quella dominante della Serie A.
La rottura con la Juventus pare avvenga proprio perché il tecnico salentino aveva chiesto i giocatori adatti per poter alternare il doppio modulo, preferendo la difesa a quattro in Europa e la difesa a tre in Italia. Per lui la campagna acquisti non era stata impostata a dovere, di conseguenza lasciò la squadra a ritiro incominciato dando di fatto vita al ciclo di cinque scudetti consecutivi di Allegri. Con l’Italia, per questione di praticità e poco tempo a disposizione confermò il blocco juventino (la cosiddetta BBC) che di fatto portò l’Italia a un calcio di rigore di un Europeo in cui Conte annichilì prima il Belgio e poi la Spagna per arrendersi alla Germania campione del Mondo.
Al Chelsea, iniziò con la difesa a quattro ma la svolta avvenne quando sistemò la retroguardia (che subiva troppi gol) a tre dietro, liberando Luiz dai compiti di copertura e lasciandolo libero di impostare, prendendosi rischi in verticale. Sia alla Juventus sia al Chelsea, Conte ha vinto il campionato al primo tentativo e al tempo stesso ha iniziato ad avere piccoli battibecchi con la dirigenza che in entrambi i casi hanno portato a un’interruzione brusca del rapporto lavorativo. Conte è un allenatore che sa come si vince e sa adattarsi al contesto per farlo. Dalle sue prime dichiarazioni, in quest’esperienza a Milano il tecnico salentino vuole portare una summa di tutte le sue avventure precedenti: un gioco corale, dominante, per imprimere il proprio ritmo sulla partita ed evitare di lasciare troppi punti per strada, soprattutto contro le piccole. In Champions League, dalla terza fascia, si vedrà.
COSA C’È - In tutte le sue esperienze, Conte ha avuto alcuni punti fissi nelle sue formazioni. Un centrale che imposta (Bonucci, David Luiz), un centrocampista che fa filtro e che sa accelerare i tempi di gioco (Pirlo, Matic) e una punta associativa che potesse giocare spalle alla porta (Llorente, Pellé, Diego Costa). Ha poi condotto la difesa a tre sulle doti fisiche di Chiellini e d’anticipo di Barzagli, mentre a centrocampo ha sempre avuto bisogno di incursori come Marchisio e Vidal o Pogba. Sugli esterni ci sono uomini di fatica, anche se è stato bravo a indottrinare il talento di Hazard e renderlo funzionale al suo sistema di gioco. Ha rivitalizzato la carriera di Moses e costruito impalcature di gioco partendo dai punti di forza dei suoi giocatori. A una prima occhiata, l’Inter ha in rosa alcuni dei giocatori di cui Conte ha bisogno: Skriniar, ma soprattutto de Vrij sono due centrali che sanno impostare. L’olandese ha sventagliato per tutto l’anno, partecipando anche alla manovra. L’aggiunta di Godin non può che migliorare un reparto che ha tenuto a galla la stagione, anche se per le loro caratteristiche è inverosimile vederli giocare spesso tutti e tre insieme.
A centrocampo, Brozovic risponde ai desiderata di Conte, mentre per quanto riguarda gli incursori è lecito aspettarsi qualcosa in più rispetto a quanto in rosa finora. Almeno uno fra Gagliardini e Vecino dovrebbe salutare, mentre Nainggolan - anche per questioni di bilancio - sembra destinato a giocarsi tutto nel suo secondo anno con la maglia dell’Inter. Barella potrebbe essere il fit ideale in un centrocampo con Nainggolan e Brozovic, in attesa di un possibile mister X che alzi ulteriormente l’asticella. In attacco il vero rompicapo: sugli esterni Perisic potrebbe rimanere ed essere rivitalizzato dalla difesa a tre, come Candreva (che Conte ha schierato titolare a Euro 16). Asamoah dovrebbe ricoprire nuovamente il ruolo che ha avuto con l’ex coach della Juve, mentre D’Ambrosio è più verosimile vederlo in una difesa a tre che in fascia. Di conseguenza, manca un nome alla lista.
Per quanto riguarda la prima punta, il fatto che si parli di Dzeko e Lukaku (e non l’uno in contrapposizione con l’altro) lascia intendere che Conte vuole tre attaccanti in rosa, contando ovviamente Lautaro Martinez. Martinez e Dzeko hanno caratteristiche simili e per l’argentino il fatto di avere un attaccante importante come il (futuro ex?) Roma potrebbe essere stimolante e allo stesso tempo tranquillizzante, per la sua crescita. Lukaku è sempre stato un pallino di Conte che due anni fa lo contese allo United di Mourinho, virando poi su Morata. Il rebus è Icardi che sembra anni luce lontano dal prototipo di 9 per Conte e ancor più distante dalla galassia Inter: pare volere solo la Juventus, se non potrà rimanere in nerazzurro. Qual è il finale del thriller? Quel che è certo è che ad Appiano Gentile sono iniziate le manovre grosse per dare a Conte quel di cui ha bisogno per competere, già dall’anno prossimo. Finalmente con le idee chiare e un ancor più chiaro obiettivo. No Pazza, no more. Balliamo?
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Autore: Marco Lo Prato / Twitter: @marcoloprato
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