Le verità di Samuel Eto'o a I Signori del Calcio. Alla trasmissione di Sky, il camerunense dell'Inter ha raccontato tutto se stesso, in una bella intervista che Inter.it propone: "Da quando ho avuto la possibilità di lavorare - racconta Eto'o -, la possibilità di guadagnare per mangiare, a quando non lavoravo e vivevo con quel poco che mi davano i miei genitori, ho sempre cercato di condividere tutto con tutti. Sempre. Ho sempre condiviso tutto con tutti da quando sono nato: poi è arrivato un momento in cui bisognava dare forma alle idee e allora pensammo a come potevamo farlo e ci venne l'idea di creare questa fondazione. In generale proviamo a portare il sorriso in tutto il mondo, perché le necessità ci sono in ogni zona del mondo. Però, per fortuna o sfortuna, in alcune parti del mondo ci sono bambini che sono nati con più necessità di altri, e il Camerun si trova in quella parte del mondo in cui i bambini hanno molto bisogno... E per fortuna io sono nato lì. Se non fossi nato in quel paese meraviglioso, non avrei potuto conoscere tutte queste cose belle della vita, anche quelle cose che sono state dure, da cui però sono riuscito a trarre il meglio. Sono nato lì. E quando nasci in un paese in cui mangiare è un lusso, andare in ospedale è un lusso, capisci velocemente molte cose. Provo con tutto me stesso, con la voglia e con l'aiuto di tutti a portare un sorriso, che di solito è gratis, però lì sembra costi molto".

Eto'o ha le idee chiare: tra le cose che non farebbe mai, nonostante l'amore per il suo Paese, c'è l'entrare un giorno in politica e spiega perché: "Io non ho mai pensato di entrare in politica, e spero che Dio mi tolga la forza se un giorno mi venga in mente di fare il politico, perché non credo che potrei avere tanta forza di sopportare tante cose come loro, perché quando ho visto qualcosa che non mi è piaciuto ho provato a dire la mia e soprattutto mi sono messo al lavoro per migliorarla. Se ho i mezzi per cambiare le cose, ci provo: se no cerco la soluzione per cambiare. Non ho mai pensato di fare il politico perché non sempre ho creduto nei politici, nonostante li rispetti molto: è incredibile quello che fanno e tutto ciò che riescono a sopportare, nel bene e nel male. Noi vediamo sempre il male, però la verità è che non mi piacerebbe stare al loro posto perché hanno sempre le pressioni della parte che non è contenta e dell'altra che è contenta ma che vuole un miglioramento. La verità è che non mi ci vedo. A me basta che un bambino sia contento, che un bambino domani sogni di avere una vita migliore".

Mentre non gli interessa essere considerato un "Signore del Calcio", ma solo giocare a calcio: "Io non mi vedrò mai così, mi vedrò solo come un ragazzo che sognava di diventare un calciatore, e Dio ha voluto che avessi tanta fortuna nella vita, tanto che oggi quando mi guardo indietro dico 'ho una carriera abbastanza piena', perché ho avuto molti successi, però il mio sogno continua a essere quello del ragazzo che è andato via dal proprio paese col sogno di diventare un giocatore di calcio e che i miei genitori mi potessero vedere in televisione. Quando penso a dove gioco oggi dico 'Dio mio, c'è molta differenza tra dove giocavo in Camerun e gli stadi in cui gioco oggi'. Giuseppe Meazza per me era un sogno, il Camp Nou era un sogno, però grazie a Dio ho potuto giocare in quasi tutti gli stadi del mondo, e ho anche vinto su quasi tutti i campi del mondo. Poi, per scherzare e ricordare quei bei tempi in cui volevamo solo e sempre giocare, quando sono in Camerun torno a giocare in quelle strade in cui giocavo da piccolo, e quindi quel ricordo è sempre vivo dentro di me. Se penso a un'immagine che cambiò radicalmente la mia vita mi viene in mente quella della Mercedes del mio presidente che entrò in un quartiere abbastanza difficile, che però è il migliore del mondo, che si chiama New Bell, da dove vengo io. È il posto più bello del mondo, tra noi poveri tentavamo di aiutarci per il mangiare, per aiutare una famiglia a guarire un malato... e credo che è il miglior ricordo, la miglior foto della mia vita, perché mi permise da un giorno all'altro di dormire in un aereo, svegliarmi dall'altra parte del mondo ed allenarmi con i miei idoli, Raul come Clarence Seedorf, Redondo, Pedrag Mijatovic, Davor Suker: nella mia stanzetta a New Bell avevo i loro poster e dicevo 'chissà se potrò mai giocare a quei livelli?'... e quella Mercedes mi cambiò la vita. La cambiò radicalmente".

Eto'o, che ora è un mito, sorride parlando di quelli che sono stati i suoi di miti: "Ricordo quando al Mondiale giocai con Roberto Baggio, dicevo 'non può essere che sto giocando con Roberto Baggio nello stesso campo di calcio!'. Nonostante io fossi già nel Real Madrid, Roberto era, è, un mito, è un Dio. Nel calcio ha fatto cose che pochi giocatori hanno fatto. Ed io ero lì a giocare contro di lui ed il mio unico pensiero era, quando sarebbe finita la partita, correre da lui e chiedergli la maglietta. E quando gliela chiesi nel tunnel, lui non ci pensò un attimo, se la tolse e me la diede! Io ero il bambino più felice, ero il più giovane del Mondiale, avevo ottenuto la maglietta del miglior giocatore del mondo in quel momento, cos'altro avrei potuto fare? Corsi nello spogliatoio e chiamai mio padre: 'Ho la maglietta di Roberto Baggio!'. E mio padre era contento, non credo che mio padre sapesse chi era Roberto Baggio, però attraverso la mia felicità lui sentiva che si trattava di qualcuno importante. E poi chi mi ha fatto sognare è stato Roger Milla. Senza dubbio Roger per l'Africa è stato colui che ha dato la forza a tutti quei bambini di sognare. Se tu credi nel tuo sogno puoi. Io ho creduto nel mio sogno e oggi abbiamo visto che se credi in un sogno, lavorando per avere le opportunità di realizzare il proprio sogno, è anche possibile che si realizzi. Ed eccoci qua. Io spero che il mio sogno e tutta la mia carriera serviranno come esempio ad altri bambini affinché facciano ancora meglio di noi".

"A un certo punto al Real mi etichettarono come il ribelle del calcio, però nessuno di quei giornalisti era nella mia posizione, non vivevano quello che stavo vivendo io. Soffrivo, come di recente ha detto parlando di sè uno dei migliori giocatori di tutti i tempi, Ronaldo: disse che ridevano di lui per il suo peso ma nessuno sapeva che ci soffriva. Io soffrivo molto. Ero nel Real Madrid, il mio sogno era già realtà e l'unica cosa di cui avevo bisogno era di giocare, perché sapevo già che cosa significava giocare a calcio... e non mi facevano giocare. Ci fu un momento in cui mi obbligarono ad andare in un altro club, senza sapere io cosa ne pensassi, senza sapere cosa io volessi, mi dicevano 'o vai lì, o niente'. E allora dissi di no, perché sapevo che sarebbe stato difficile, perché in realtà il club in cui mi avrebbero mandato non mi voleva, il Deportivo. E l'unica cosa che volevo io era andare al Maiorca, perché lì avevo avuto un'esperienza molto positiva, non solo per ciò che riguarda il calcio, ma anche perché quando sono a Maiorca vado al supermercato e la cassiera mi dice 'ehi negretto! Sei tornato! Come stai? Bene?' e io adoro questo atteggiamento da persona normale. Quindi dissi 'vado solo al Maiorca se il Real Madrid non vuole darmi opportunità' e mi misi a difendere ciò che era giusto e ciò che era mio. E fu un po' una battaglia tra Davide e Golia, e alla fine riuscii, grazie al presidente del Maiorca di quei tempi Mateo Alemany, ad andare al Maiorca. E poi sappiamo già come andò a finire. Perché il Maiorca vinceva sempre con il Real Madrid, ogni volta che andavamo a Madrid erano 3 punti fissi, la squadra migliore con i migliori giocatori del mondo, Figo, Zizou... era qualcosa di incredibile! E tutto questo ebbe fine con un bellissimo ricordo, vincere la Coppa del Re con il Maiorca fu come vincere la Champions League con il Barcellona, incredibile!".

Incredibile, già, come la carriera di Eto'o, costellata di persone cui non smetterà di essere riconoscente: tre su tutte, Luis Aragones, Fabio Capello e José Mourinho: "Quando sono arrivato a Madrid Capello era l'allenatore del Real e mi diceva sempre 'mi ricordi Weah'. Un giorno arrivò e mi disse 'devi allenarti, fare doppia seduta, perché non calci bene'. Io mi allenavo la mattina e poi il pomeriggio andavo solo per calciare, calciare, calciare... Mi dicevo 'che roba è?!', ma oggi gli posso dire solo grazie. Se non avessi seguito i suoi consigli, non avrei segnato tanti gol oggi, come ho fatto nella mia carriera. Poi incontrai un signore, Luis Aragones, che per me, a parte i miei genitori, è Dio, è un Dio nella mia vita, perché Luis mi voleva bene, non solo come giocatore ma come un figlio. E quando ami un figlio, ci sono giorni in cui ti arrabbi con lui, lo rimproveri, però un'ora dopo gli mostri di nuovo il tuo amore. È ciò che Luis faceva. Un giorno mi disse: 'vuoi essere un giocatore che domina nel Barcellona o un giocatore che domina per sempre nel Maiorca?'. Io allora avevo 18/19 anni, ero già il capitano del Maiorca, la mia squadra del cuore, ma nel Maiorca non avevo pressioni, e giocare con la pressione è diverso. Solo pochi giocatori possono dire che nella loro carriera hanno giocato sotto pressione e hanno dominato questa pressione. E così decisi di andare al Barcellona. E poi l'Inter: ricordo il giorno in cui ho firmato per l'Inter, perché io già avevo un accordo non scritto con un'altra squadra, ero quasi tesserato. Ero in Camerun e ho ricevuto prima un messaggio, da un numero che non conoscevo, firmato Marco Materazzi. C'era scritto: 'Sei il miglior attaccante del mondo, questa è una grande famiglia, per favore mi piacerebbe che venissi nella nostra famiglia perché sei il migliore, sarà un piacere per me giocare con te'. Ho pensato fosse uno scherzo. Ho chiamo Albertini e gli ho detto 'abuelo (nonno), una persona mi ha mandato un messaggio e si è firmato Marco Materazzi', mi dice 'che numero è?', gli do il numero e mi dice 'è il numero di Marco'. Quindi gli rispondo e gli dico 'è un piacere mio giocare con te'. Dopo 5 minuti sono al telefono con Mourinho e mi dice 'sai che ho sempre provato a tesserarti, ora ne ho l'opportunità. Vieni qui e vinciamo insieme. Ti ho prenotato il numero 9'. Gli dico 'ok mister'. E poi in 5 minuti mi ha chiamato il 'papà di tutti', il signor Moratti... quando mi chiamò il presidente e iniziò a parlarmi in francese, rimasi bloccato. Tutto quello che avevo capito di quello che mi diceva questo signore era che avevo l'opportunità di vivere queste cose stando nella sua famiglia, perché l'Inter è la sua famiglia. Io dissi solo 'presidente, non ci sono problemi. Vengo lì'. Poi Branca fece un ottimo lavoro... Venni qui e appena arrivato incontrai una persona che già conoscevo, nonostante fosse stato mio avversario: Mourinho. Iniziammo a lavorare e ci fu un momento un po' difficile, perché io non ero più abituato a stare in panchina. Credo di esserci andato per un mese, però per rispetto ai miei compagni non potevo reagire e cercavo lo stesso di dare il massimo. Poi a Udine mi arrabbiai molto con José, parlai con lui e gli dissi 'José, ho molto rispetto di te, ho molto rispetto dei miei compagni, però non sono un giocatore qualunque, non sono un ragazzino di 15 anni che va in panchina ed è contento di starci. Non ho più quell'età e devi darmi delle spiegazione sul perché sto in panchina, perché non sono più un bambino. Credo che accetterò sempre una tua decisione, però con una spiegazione. Così saremo tutti più tranquilli'. E José mi disse 'molto bene, sono contento che tu sia venuto e che abbiamo parlato', e alla fine lì, mentre stavo attraversando la porta, vidi che chiamava Branca e gli diceva 'adesso ho Samuel!'. E con quella partita è cambiato tutto radicalmente, lui mi ha detto di giocare in un ruolo che ero l'unico a poter fare per la mia esperienza, per come vedo il calcio, e che se io l'avessi fatto avremmo potuto vincere la Champions. Io l'ho guardato e ho detto 'chi non vorrebbe vincere la Champions!', nonostante io avessi già fatto quest'esperienza. Ho detto 'ok', e poi credo che conosciamo tutti lo stupendo finale che si è visto a Madrid".

C'è una frase, pronunciata in passato da Samuel Eto'o, che continua ancora oggi a fare scalpore: 'Correrò come un negro per guadagnare come un bianco'. Samuel commenta: "Quando dissi quella frase - racconta Eto'o -, dissi solo quello che la società pensa sempre e nessuno può dire a voce alta. Avevo l'opportunità di dimostrare che, nonostante fossi africano, in condizioni di uguaglianza avrei potuto essere uno dei migliori. Non so se l'ho dimostrato a Barcellona, però so di aver lavorato bene. Ricordo quando a fine primo tempo di Barcellona-Arsenal, finale di Champions, nel 2006 a Parigi, i miei compagni erano tutti distrutti, fui l'ultimo a entrare nello spogliato e presi la parola. 'Una finale si gioca una volta nella vita per molte persone, una finale è una partita che difficilmente si ripete, una finale è il lavoro di tutto un anno, vale la pena dare tutto ciò che abbiamo e non dire, alla fine della partita, 'oh, se avessi saputo', perché il 'oh, se avessi saputo' non vale'. A quel punto, il secondo tempo fu tutto del Barcellona. E alla fine vincemmo e i miei compagni mi dissero 'grazie!', ma io avevo solo resuscitato quello che avevano dentro, che non era altro che quello che valevano in realtà, perché lo avevano dimostrato per tutta la stagione. Una volta all'Inter, quando José mi passo la parola, feci lo stesso discorso: 'Siamo qui per rappresentare un paese, siamo qui per rappresentare la nostra famiglia, siamo qui perché siamo i migliori, perché abbiamo dato il meglio. Ma tutto quello che abbiamo fatto finora non avrà molto senso, perché ci metteranno sempre o come primi tra i perdenti o come primi tra i vincitori, e io preferisco essere primo tra i vincitori. E sono sicuro che qui, se ognuno dà il meglio di se stesso, possiamo vincere. Perché la finale si gioca con i piedi, ma soprattutto con la testa. Se credi di poter vincere una finale, la vinci. Chi ha un'esitazione, nella vita, non arriva mai'. Dissi queste cose ai miei compagni, li ringraziai per come mi avevano accolto all'Inter, e gli dissi 'ad ogni modo, non c'è molto da dire in una finale. Ci sono molte persone che hanno viaggiato fin qui per venire a vederci, forza! Vinciamo e diamogli questa soddisfazione! Piangeremo tutti a fine partita, perché sono sicuro che vinceremo'. E così entrammo in campo e vincemmo! E la cosa più bella è stata vedere la gente piangere di felicità".

Eto'o parla poi della sua posizione in campo, oggi come ieri, sottolineando come "nel Barcellona non c'erano e non ci sono posizioni fisse, questa è la mentalità del Barcellona. Non avevamo posizioni fisse in campo, giocavamo... sapevamo che c'erano i centrocampisti, i difensori e gli attaccanti, ma quando iniziava la partita giravamo tutti. Si poteva vedermi difendere come un terzino, come un centrale... però giravamo. Giravamo e non c'erano posizioni fisse. Oggi, giocando nell'Inter e nel calcio italiano, che è molto diverso da quello spagnolo, provo spesso a cambiare la mia posizione. Contro la Fiorentina ho giocato più a destra, e mi ha fatto piacere fare l'assist a Pazzini che ha segnato. Ho giocato molto a sinistra, e molte squadre mi aspettano a sinistra. E a volte gioco al centro. In ogni partita provo a creare un problema tattico alla squadra avversaria".

"Credo poi - aggiunge il camerunese - che non possiamo essere forti senza l'aiuto dei nostri compagni, credo che possiamo essere forti solo se pensiamo che i nostri compagni ci fanno essere i migliori. Io non faccio parte di quella cultura che dice che la squadra dipende da 4 giocatori, no. La squadra dipende da 20 e passa giocatori, perché il comportamento di una riserva è importante quanto quello di un titolare. E spesso nelle squadre ce ne si dimentica. E se siamo riusciti a rimontare fino ad ora è anche perché la squadra è fatta da tutti... perché la stagione l'avevamo iniziata bene, poi c'è stato un momento in cui abbiamo avuto molti problemi, molti infortuni e i nostri sostituti ci hanno aiutato a mantenere un certo livello. Non era il livello più alto che l'Inter aveva saputo esprimere, ma ci hanno aiutato a stare lì. E questo è ciò che ci ha permesso di stare lì dove siamo oggi. E non posso che dire loro grazie".

"Non mi focalizzo solo sullo scudetto - spiega poi Eto'o parlando degli obiettivi di quest'anno con l'Inter -. Abbiamo la possibilità di andare anche in finale di Coppa Italia, abbiamo la possibilità di rimontare a Monaco e spero che lo faremo, perché la squadra c'è. È ancora tutto aperto, non guardo solo al campionato, perché... è del Milan? No. Vogliamo vincere e lotteremo. Loro oggi sono i migliori perché sono primi, ma abbiamo la squadra per metterli in difficoltà. Lotteremo fino alla fine e spero di riuscire a ripetere ciò che abbiamo fatto l'anno scorso. Perché l'Inter batterà il Bayern Monaco? Perché lo meritiamo, perché siamo una buona squadra, perché abbiamo qualità per poter andare a Monaco con le nostre potenzialità e vincere questa partita. Loro hanno vinto al 90' qui, perché noi non potremmo vincere lì? Con rispetto a questa grande squadra, possiamo farcela".

Samuel non ha poi problemi a raccontare del rapporto con Pep Guardiola, purtroppo non finito nel migliore dei modi: "Perché? In realtà questa domanda bisognerebbe farla a Pep! Ma sono contento, perché oggi possiamo parlare senza problemi, dimenticando tutto quello che è passato. Non ho capito bene neanche io che cosa sia successo, ma ormai è passato... Come si dice? Il meglio deve ancora venire! Inoltre ho vissuto degli anni fantastici a Barcellona, e per un mese - ma neanche un mese, una settimana, 10 giorni - in cui si sono scritte, si sono dette molte cose, non vorrò certo meno bene a Pep. Pep la vedeva a modo suo, lui è l'allenatore del Barcellona, in quel momento prese una decisione, che io non condividevo, però lui era il capo e bisognava accettarla. Il capo del Barcellona. Ma alla fine io sono venuto all'Inter, e così lui mi ha dato anche la possibilità di entrare nella storia del calcio, vincendo l'anno successivo gli stessi 3 trofei che avevo vinto con il Barcellona. Ad ogni modo io non ho nessun problema con Pep e grazie a Dio siamo ritornati a vederci e a parlare di altre cose, senza pensare a quello che è stato. Se Leonardo può diventare il 'Guardiola' dell'Inter? Io credo che Leo abbia la sua personalità, non proverà a fare il 'Guardiola', perché Leo è un grande allenatore e non ha nulla da invidiare agli altri allenatori".

Di recente, Eto'o è stato immortalato da un fotografo nel momento in cui parlava con una vigilessa, a Milano, in procinto di multarlo per divieto di sosta; una scena che Samuel racconta divertito: "Avevo appena parcheggiato, da neanche 10 secondi: dicevo alla signora 'non sarà neanche un minuto che ho parcheggiato!', però un fotografo c'è sempre e mi ha fotografato. Io mi sono messo a ridere, perché in realtà ho sempre provato a parlare, non perché sono Samuel Eto'o, ma perché la signora mi faceva una multa. Ma non c'erano molte macchine parcheggiate lì e io ero lì da 10 secondi... Magari mi sono trovato nel momento sbagliato al momento sbagliato. Ma è passata, ci ho riso su e basta...".

Infine, l'ammissione di un desiderio che fa ben sperare i tifosi nerazzurri: "Spero di chiudere la carriera all'Inter, perché mi trovo molto bene, anche se è ovvio che questo non dipenda solo da me. Ma la verità è che mi trovo molto bene qui e spero di rimanerci per molto tempo. E come ho detto al presidente Moratti, un giorno mi piacerebbe ritornare a vincere gli stessi titoli che ho vinto da giocatore come allenatore dell'Inter. Un grazie, poi, lo voglio dire anche all'Italia, per avermi accettato. Quando sono stato tesserato mi dicevano che gli italiani erano abbastanza strani con la gente di colore. Ma quello che posso dire è che sono orgoglioso di difendere questo Paese, perché quando sono in Champions parliamo di Inter, ma anche di Italia, perché in questo momento l'Inter sta difendendo un Paese. E quando abbiamo vinto tutti quei titoli, a essere contenti non dovevano essere solo i tifosi dell'Inter ma anche tutti gli italiani, perché è il calcio italiano che ha vinto, è qualcosa di cui andare moto fieri. Io sinceramente sono molto orgoglioso di giocare in questo campionato e spero di farlo per molto tempo".

Sezione: In Primo Piano / Data: Sab 12 marzo 2011 alle 22:30 / Fonte: Inter.it
Autore: Fabrizio Romano
vedi letture
Print