Uno è un vecchio marpione dei nostri campionati, vanta anni di esperienza tra le varie categorie e ha sempre ottenuto risultanti pressoché brillanti. L’altro è arrivato in Italia dalla Francia quasi da carneade, dove in pochi probabilmente sapevano quanto bene è riuscito a fare in carriera nel suo Paese, soprattutto nei suoi anni alla guida del Lille. Eppure si è scoperto che alla fine i due hanno più tratti in comune di quanto si possa credere. Al punto di arrivare a ritagliarsi il ruolo di assoluti protagonisti della sfida di sabato prossimo a San Siro, match di alta classifica tra due squadre che solo qualche mese fa annaspavano in una stagione da dimenticare. Loro sono Walter Mazzarri e Rudi Garcia, sono gli allenatori di Inter e Roma, e arrivando da due direzioni opposte le loro carriere si sono incrociate su questo binario comune. In attesa dello scontro di sabato che potrà dire parecchio a nerazzurri e capitolini su quelle che possono essere le reali ambizioni.
Walter Mazzarri da San Vincenzo e Rudi Garcia da Nemours, Ile de France, sono indubbiamente gli allenatori che più hanno meritato la ribalta di questo primo scorcio di campionato. Specialmente per un motivo: a entrambi è toccato infatti il duro compito di prendere due squadre e ricostruirle dalle macerie di due annate a dir poco disgraziate, dall’una come dall’altra parte. Ed entrambi hanno accettato la sfida, dedicandosi con anima e corpo coi risultati che oggi sono sotto gli occhi di tutti. Due squadre che arrivarono alla fine dell’ultima stagione svuotate nel fisico e nel morale sono diventate improvvisamente due macchine a loro modo perfette, in grado di esprimersi sempre ai massimi livelli: insomma, hanno riconsegnato al calcio italiano due squadre che sembravano irrimediabilmente perse. Al di là dei valori espressi dalla classifica, la Roma e l’Inter, in rigoroso ordine, sono ora due delle realtà più belle di questa Serie A.
Di Mazzarri sappiamo già tutto, anche se vedendo l’Inter presa in mano da lui e riportando la mente ai funesti ricordi delle ultime partite dello scorso campionato, lo stupore non accenna a placarsi: la squadra di oggi è senza dubbio un premio al suo lavoro, lavoro che parte da lontano, da ancor prima del ritiro di Pinzolo, nei giorni in cui il nuovo allenatore ha iniziato a lavorare sulla testa dei giocatori, resettando tutti i cattivi pensieri e cominciando a ridare loro la fiducia nei propri mezzi. A questo lavoro si è poi aggiunto quello sul campo, fatto di cura meticolosa dei dettagli, schemi ripetuti per giorni fino allo sfinimento, con l’obiettivo di inculcare per filo e per segno il suo credo calcistico. Per farlo la squadra è dovuta anche passare dalle forche caudine di una tournée americana rivelatasi inopportuna, ma i risultati per ora sono più che evidenti: squadra compatta, meccanismi oliati, giocatori riconsegnati a nuova vita (chi l’avrebbe mai detto che il tanto vituperato Ricky Alvarez, tanto per fare un nome, si sarebbe trasformato da incompiuto in elemento imprescindibile?), rischi ridotti al minimo soprattutto in difesa, quella che solo pochi mesi fa era una vera e propria banda del buco. Rimane il rammarico per quei quattro punti scappati via con la Juve e soprattutto col Cagliari, ma nonostante ciò la squadra ha sempre dimostrato di esserci
A volerla dire tutta, il compito di Rudi Garcia è stato probabilmente ancora più difficile: perché il tecnico francese arrivava nella Capitale nel peggior momento della storia recente della Roma, e soprattutto con l’affezione dei tifosi verso la squadra ridotta ai minimi termini, specie dopo la ferita mortale della finale di Coppa Italia persa contro la Lazio con conseguenti sfottò durati un’estate intera e anche di più. Garcia, chiamato Rudi dal padre in omaggio ad un ciclista degli anni '60, il tedesco Rudi Altig, arrivava dal nulla, da quasi sconosciuto, dopo che per settimane si erano tentati Massimiliano Allegri e lo stesso Mazzarri, e critiche e lamentele si sono sprecate. Lui è stato bravissimo a mettersi la corazza d’acciaio, isolandosi da tutto e da tutti e cominciando a fare mestiere. E pian piano, è riuscito, usando un proverbio a lui caro, a rimettere “la chiesa al centro del villaggio”: che altro non vuol dire che recuperare quelli che sono i principi fondamentali per il perfetto funzionamento di una squadra. Nuova mentalità, ritrovate motivazioni, gioco frizzante: questi i presupposti che hanno portato la Roma ad un avvio di stagione storico, con un filotto di sei vittorie consecutive nelle prime sei partite e con una difesa chiusa a doppia mandata. E con la bella vittoria nel derby con la Lazio, Garcia è riuscito in un’altra impresa: cancellare l’ombra delle contestazioni e ricostruire un clima di entusiasmo dilagante intorno al suo gruppo, cosa importantissima in un ambiente notoriamente caldo e umorale come quello della Capitale.
In questo, Garcia ha avuto forse una carta in più a disposizione, quella del mercato che gli ha consegnato giocatori sin qui rivelatisi azzeccati, da Kevin Strootman al fido bomber Gervinho, passando per l’ottimo Mehdi Benatia e per un Maicon che prima dell’infortunio è apparso rigenerato, fino ad Adem Ljajic, un talento bizzoso che il transalpino sta sgrezzando trasformandolo in cecchino implacabile. Walter Mazzarri, invece, quello che ha ottenuto lo ha avuto da un gruppo sostanzialmente immutato, con l’unica importante eccezione rappresentata da Hugo Campagnaro, l’uomo che incorpora in campo i concetti dell’allenatore. Mazzarri ha ridato nuova linfa ad un manipolo di giocatori che sembravano smarriti, e questo rende la sua opera tanto encomiabile quanto quella di Garcia, forse anzi leggermente preferibile. Di sicuro, comunque, sabato vedremo un duello tutto da vivere, tra due allenatori, due squadre, due filosofie. E un grande spettacolo.
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