"Bisogna interpretare e capire i momenti", diceva Cristian Chivu il 13 settembre scorso dopo la sconfitta per 4-3 in casa della Juventus, partita alla quale l'allenatore recriminava un pragmatismo mancato che avrebbe fatto la differenza, ma di cui parlava con fiducia "perché con queste prestazioni il futuro non preoccupa" come aveva aggiunto. Parole profetiche direbbe oggi qualcuno all'indomani del 2-0 contro la Lazio che consegna una pole position a pari punti (25) con la Roma e manda l'Inter alla pausa per le Nazionali con una serenità che fa bene dalle parti di Appiano, dove si potrà, se non respirare 'vita lenta', quantomeno attenuare la pressione a dei bulloni che torneranno a stringersi immediatamente al rientro dai vari impegni internazionali. Il derby, praticamente all'indomani del ritorno a Milano, richiamerà subito all'ordine tutti i nerazzurri: quelli che già nella giornata di oggi voleranno per i vari raduni e quelli che rimarranno alla Pinetina, come Marcus Thuram (ieri sera partito dalla panchina e in campo per una ventina di minuti) che potrà completare il suo percorso di recupero fisico. Ad oggi però la stracittadina della Madonnina, che già scalda entrambe le fazioni tornate a guardarsi ai piani alti della classifica, può aspettare e l'Inter, che ha ben capito il momento con la Lazio, ora lo interpreta anche nei fatti e si gode - giustamente - l'attesa.
I motivi per permettersi di staccare la spina con un buon bagaglio di ottimismo l'Inter li ha raccolti ieri sera contro la Lazio di Maurizio Sarri, arrivata a San Siro senza perdere da sei gare e non prendere gol da quattro, salvo cadere sotto i colpi di Lautaro Martinez e Ange-Yoan Bonny che scrivono il weekend perfetto insieme a Parma e Bologna che nell'11esima giornata hanno regalato ai meneghini una sorta di reso karmico che li riporta in vetta e restituisce qualche punto 'scippatogli' lo scorso anno. Punti e sorrisi, per la felicità dei titolisti, ma anche e soprattutto di capitan Lautaro: l'argentino "è fatto così", ha sinceramente ammesso tra le righe lo stesso figlio di Bahia Blanca a DAZN nel post-gara quando ha spiegato che il suo non è prendersi troppo sul serio, ma restare focalizzato per indole sui doveri... quindi su un gol che quando tarda ad arrivare lo scompensa (aggiungeremmo). "Da quando Chivu mi ha detto di sorridere segno? Sono sempre lo stesso, quando devo sorridere, sorrido" ha detto l'argentino che con il suo "quando devo sorridere lo faccio" sembra voler dire "ora che posso, sorrido, ma per farlo devo prima segnare". Ricerca costante della porta, soprattutto per il bene della squadra con la quale ieri ha festeggiato la 161esima rete (in tutte le competizioni) con la maglia della Beneamata, piazzandosi alle spalle di Boninsegna, Altobelli e Meazza, storico podio che l'ex Racing potrebbe già aggiornare nella stagione in corso a giudicare dal ritmo. Quarto miglior marcatore della storia del Biscione, a -10 da Bonimba terzo, ha già raggiunto Sandrino Mazzola e spazzato le nubi di oscurantismo che si erano addensate sulla sua testa, ora sgombera da bad vibes e pronta per focalizzarsi sulla sua Argentina, in vista di un come back negli States che il Toro vorrà affrontare con garra, caviglia e soprattutto serenità diverse dagli ultimi due Mondiali (quello in Qatar del 2022 che lo ha visto diventare campeon del mundo e quello negli USA dello scorso giugno, che lo ha visto diventare indiscusso leader di una squadra che oggi torna a farsi applaudire anche grazie all'insolito e clamoroso 'sfogo' pubblico del giocatore in questione in quel di Charlotte). Per il Mondiale però c'è ancora tempo e da qui a giugno 2026 Lauti ha ancora un paio di cause tutte nerazzurre da portare avanti e da perorare con un unico linguaggio: quello del gol.
Non è un caso che quando manca la rete Lautaro s'incupisce, indifferentemente che la mancanza si prolunghi per due o per cinque uscite. Un'indole che difficilmente sta riuscendo a modificare persino Cristian Chivu, il più bravo degli scalpellini, che nel giro di sei mesi è riuscito a scolpire psiche e anima dei suoi giocatori riuscendo a fargli comprendere l'universale ma non per forza facilmente assimilabile lingua dell'altruismo, del bene comune e della forza di coesione concreta e reale e perciò traducibile esclusivamente in disponibilità verso il compagno e serena accettazione delle scelte di un allenatore che continua a ribadire il numero uno dei suoi concetti: lo smantellamento dell'accezione di titolarità che poco cozza con l'idea di gruppo che Chivu ha portato e sta tentando di assodare in quel di Appiano Gentile. "Non ci sono gerarchie. Voglio coinvolgere tutti, anche quelli che non si sentono titolari, come li chiamate voi. Se non do loro fiducia è inutile andare a dirgli che mi aspetto che facciano bene. A me interessa che tutti si sentano importanti" ha ribadito ieri sera in conferenza Chivu che ha goduto di un'altra rete di Bonny, giocatore che panchinare al derby sarà complicato, quantomeno per l'allenatore, un po' meno per un gruppo di ragazzi che - stando alle parole dello stesso romeno - "capisce" alla luce dell'onestà di un tecnico che, nelle rotazioni cerca "di tenere conto di tante cose", testa e spirito in primis. Lo sa (e lo ha mostrato) Acerbi, tornato titolare al meglio contro la sua ex squadra e un cliente scomodo per caratteristiche come Dia dopo la serataccia di Napoli e qualche esclusione che sulle prime non aveva preso benissimo, come bene lo sa Federico Dimarco, ieri autore del quarto assist stagionale in campionato ed MVP di serata che propiziano al meglio il 28esimo compleanno a testimonianza di un luccichio tornato ad abbagliare dopo il periodo di eclissi che lo aveva mandato in psicodramma; e altrettanto Lautaro che sì ha ritrovato il sorriso grazie al gol (contro i biancocelesti e qualche giorno fa in Champions) ma anche ritrovato la rete grazie ad una pressione che da più parti hanno cercato di diradare. Perché vincere aiuta a vincere, ma per vincere è necessario segnare. E per segnare senza troppe complicazioni... alleggerire i pensieri sgomberando le tensioni è un obbligo che Chivu ha imposto ai suoi con fare da principe machiaveliano rivisitato: legittimare la filosofia secondo la quale il fine giustifica i mezzi va bene ma ad un solo patto. Che i mezzi per raggiungere il fine, rappresentato dalla vittoria, siano felicità, passione e un memento mori, memento vivere che ben si ascrive al concetto di "interpretare e capire i momenti", anche quelli durante i quali sedersi e goderne il sapore è l'unica cosa da fare.
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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