Quando parla, non lo fa mai a casaccio. Zdenek Zeman è un fiume in piena e racconta un po' di tutto al Corriere dello Sport. Anche di Inter. Ecco qualche passaggio della lunga intervista del tecnico boemo.
 
Visto dalla Svizzera, pensa come noi che il calcio italiano stia toccando il suo punto più basso? 
"Probabilmente uno dei momenti più critici. C’è stata un’era in cui avevamo il meglio, venivano i calciatori più forti al mondo e producevano lo spettacolo. Oggi i più affermati sono in Germania, in Spagna e in Inghilterra, o anche in Francia. Abbiamo assistito a questa emorragia che ha varie ragioni: di natura economica, indiscutibilmente, essendoci in altri Paesi entrate maggiori; ma anche nell’impegno e nel lavoro siamo finiti indietro". 
 
In Italia, dal punto di vista spettacolare, è il momento del Napoli di Sarri, che gode della sua simpatia. 
"E’ una sorpresa relativa, però. Sa attrarre, gioca offensivo, ha materiale fortissimo in avanti, perché Callejon, Higuain, Insigne e Mertens soddisfano del tutto quello che sono le mie esigenze. E dunque guardarli dà soddisfazione. Ma c’è anche la Fiorentina che ha una sua forte identità, anche se mira più al possesso; e poi l’Inter, che ha un’anima tedesca o forse anglosassone, concede poco ma ottieni i risultati e sa come farlo attraverso il proprio senso pratico". 
 
Lei ha scoperchiato il pentolone del doping, ha spinto il calcio a guardarsi dentro: è finita quell’era? 
"No, il doping c’è ancora. E vengono fuori, ogni tanto, nuove notizie: lo scandalo in Russia, ad esempio; o anche uno studio di alcuni americani, attraverso la rilettura di vecchi esami, che sottolinea l’esistenza del doping nel sedici per cento di atleti. Il sedici per cento è tanto....". 
 
E’ una battaglia che perderemo? 
"Va affrontata spargendo lezioni di cultura: vince chi è più bravo, non chi bara". 
 
Chi sono i più forti in Italia? 
"L’Inter: ha giocatori che possono far male ed una sua mentalità mirata al risultato". 
 
Tra Moratti, Berlusconi e Agnelli c’è un presidente con il quale le sarebbe piaciuto lavorare? 
"Mi stuzzicava farlo con Boniperti, che capiva assai di calcio". 
 
Ma è stato veramente vicino all’Inter, come s’è scritto in una circostanza? 
"Diciamo che non era una voce e che è accaduto in epoche diverse: sia con Pellegrini che con Moratti". 
 
Ormai la disegnano come l’anti-juventino. 
"Eppure sono nato juventino e lo ero per tanti motivi. Poi ce l’ho avuta con chi era alla Juventus, non con la Juve, gente che ha fatto male al calcio". 
 
Si disse, in quel fine anni ‘90: per vincere, Sensi ha dovuto prendere Capello. 
"Forse perché se fossi rimasto, non si sarebbe vinto ma per altri motivi. E se legge Calciopoli capirà". 
 
 

Sezione: Focus / Data: Sab 19 dicembre 2015 alle 08:44 / Fonte: Corriere dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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