Piermario Morosini e Carlo Petrini sono morti a distanza di poche ore. Due personaggi che hanno segnato in modo indelebile il calcio italiano. A loro modo, due esempi emblematici di quello che è oggi il calcio in Italia.

"Povera patria". Morte, doping, abuso di farmaci, scommesse, combine. Non manca nulla nel menù tricolore del pallone. Il decesso quasi contemporaneo di Morosini e Petrini è un cazzotto allo stomaco: un ragazzo muore sul campo, mentre un ex calciatore muore per le malefatte passate. Da un lato il calore di tutto un Paese, dall'altro l'indifferenza verso chi ha vuotato il sacco di un mondo minato troppo spesso da scandali. In mezzo, le inchieste su scommesse e combine che sta sconvolgendo nuovamente tutto un movimento già messo a dura prova da Calciopoli. Morosini e Petrini, così lontani così vicini. Entrambi facevano parte del sistema: un sistema effimero, malvagio, calcolatore, ipocrita.

"Si credono potenti e gli va bene quello che fanno; e tutto gli appartiene". Un sistema che divora sé stesso, in cui si cambia affinché nulla cambi. Carlo Petrini era stato un malfattore. Poi era diventato un pentito e aveva scoperchiato la pentola. Quello che ne era venuto fuori haveva toccato parecchi, anche nomi molto noti. Era la fine degli anni '70 e il giro di scommesse tra Serie A e Serie B fu smascherato dopo le denunce di Trinca e Cruciani. La combine più clamorosa riguardò un Bologna-Juventus 1-1, con un'assurda rete dalla distanza di Causio (paperissima di Zinetti) e un goffo autogol di Brio pochi minuti dopo. Nella vicenda finirono anche Giampiero Boniperti, Roberto Bettega, Franco Causio, Giuseppe Dossena, Beppe Savoldi, Franco Colomba, l'allora ds felsineo Riccardo Sogliano, Paolo Rossi, Bruno Giordano, Oscar Damiani, Enrico Albertosi, Lionello Manfredonia, Giorgio Morini. E, ovviamente, Carlo Petrini. Il Milan e la Lazio furono retrocesse in Serie B. Avellino, Bologna, Perugia, Palermo e Taranto penalizzate e multate. Assolte Bologna e Juventus.

"Ma non vi danno un po' di dispiacere, quei corpi in terra senza più calore". Piermario se n'è andato giocando Pescara-Livorno in un pomeriggio di aprile. Se n'è andato cadendo a terra e provando a rialzarsi. Se n'è andato davanti a tutto il mondo, che giustamente si è fermato a riflettere. Eppure, sono tanti quelli caduti prima di lui. Caduti quasi sempre fuori dal campo e poi nascosti in fretta. Armando Segato, Armando Picchi, Renato Curi, Adriano Lombardi, Bruno Beatrice, Massimo Mattolini, Giuliano Taccola, Giuseppe Longoni, Tazio Roversi, Ernst Ocwirk, Ugo Ferrante, Guido Vincenzi, Enzo Matteucci, Francesco Brignani, Giorgio Ferrini, Gaspare Umile, Roberto Rosato, Nello Saltutti, Enrico Cucchi, Andrea Fortunato, Gianluca Signorini. Tutte vittime di mali incurabili o di attacchi improvvisi. Alcuni si sono salvati (De Sisti, Antognoni, Caso), altri convivono tutt'ora con il dramma (Galdiolo, Borgonovo).

"Le iene degli stadi e quelle dei giornali". Un sistema che continua a fare grossi danni. Un sistema ormai a cui in pochi continuano a credere. Ecco perché stridono le parole di circostanza, le frasi banali, i commenti di facciata. Piermario e Carlo sono la faccia di quello che oggi è diventato il nostro calcio. Il giornalismo che diventa scoop solo quando gli conviene. Il reporter bravo nel raccogliere il dramma di un 25enne che cade esanime, ma non altrettanto solerte nell'investigare su cosa si nasconde sotto il tappetto.

"No, non cambierà". Piermario e Carlo, due facce della stessa medaglia. A volte il destino fornisce assist: la loro scomparsa così ravvicinata dovrebbe averci insegnato qualcosa. Cambierà mai questo calcio? Cambierà mai questa Italia?

 

Twitter @Alex_Cavasinni

 

Sezione: Editoriale / Data: Sab 21 aprile 2012 alle 00:01
Autore: Alessandro Cavasinni
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