Il tempo del giudizio, il tempo di capire chi sei e dove vuoi, ma soprattutto puoi, andare. In quattro giorni l'Inter ha sfidato due tra le migliori squadre in Europa, guidate dai due giocatori più forti al mondo. Lo ha fatto quasi con gli stessi 11 che hanno finito per pagare stanchezza, mancanza di lucidità sul lungo periodo ma soprattutto di alternative in grado di fare la differenza. A Barcellona l'aveva fatta, tra gli altri, il subentrato Vidal; a San Siro contro la Juve il gol-vittoria lo ha segnato il subentrato Higuain. I nerazzurri hanno sofferto più di tutto l'uscita dal campo per infortunio di Sensi alla mezz'ora: da lì in poi il centrocampo ha girato meno e con esso tutta la squadra. E chi è entrato dalla panchina non è riuscito a cambiare il corso delle cose, mercoledì come domenica.

La Juve ha, a oggi, più esperienza, qualità e soluzioni. Perché Sarri all'inizio ha sorpreso schierando Dybala titolare al fianco di CR7 e la Joya ha ripagato col gol dopo 4 minuti. Nel secondo tempo ha inserito il Pipita che ha colpito l'Inter per la sesta volta in 11 partite ed Emre Can che ha riportato equilibrio e sostanza nel mezzo in un momento in cui l'Inter stava rialzando la testa. Non si può dire che l'Inter esca male dal doppio confronto serrato con Barcellona e Juve perché Barcellona e Juve sono semplicemente, nettamente e indiscutibilmente più forti: le prime due sconfitte dell'era Conte, però, certificano che per tenere certi ritmi serve essere al 200% e senza infortuni. Con la Juve non è successa nessuna delle due cose.

Fatica, tensione, aggressività, corsa, errori, proteste, paura. C'è tutto questo nei primi 45 minuti trascorsi veloci perché entrambe le squadre hanno lottato e pressato e si sono, in sostanza, sfidate senza troppi calcoli o tatticismi ma con la precisa volontà di subire i cazzotti del pugile avversario pur di provare a dargliene uno di più. Correre tanti rischi per poi provare a colpire. La Juve lo ha fatto un po' meglio: ha chiuso all'Inter gli spazi per palleggiare e la possibilità di crearsi quei corridoi che a Barcellona avevano garantito occasioni nitide davanti al portiere (e infatti di occasioni nitide i nerazzurri ne hanno avute poche), ha dialogato palla a terra con i suoi attaccanti, Dybala e Ronaldo, partiti sempre lontano dell'area per poi arrivarci dialogando e sfruttando gli appoggi degli esterni o le imbucate di Pjanic.

CR7, come Messi pochi giorni fa, merita le attenzioni di mezza difesa perché quando ha la palla tra i piedi la giocata è a portata di mano. È proprio per averlo triplicato a centrocampo che l'Inter ha preso il gol pronti-via: tre uomini attorno al portoghese, la palla che passa dai piedi di Pjanic che lancia Dybala, Skriniar che si trova da solo a contrastarlo e la Joya che inventa un sinistro-meraviglia. L'Inter, che per la prima volta in campionato si è ritrovata in svantaggio, ha saputo reagire e ha provato a far valere il suo gioco veloce e "allargato". Le mezze ali spesso si sono aggiunte e sovrapposte agli esterni per creare superiorità, l'instancabile lavoro di appoggio delle punte è servito per provare a creare spazi nei quali i centrocampisti non temono mai di buttarsi.

Ma la Juve non permette mai di trovare tiri aperti o ripartenze facili perché i difensori recuperano anche l'iniziale sofferenza e i centrocampisti, Pjanic su tutti, ripiegano in maniera sapiente e utile. Il pareggio è arrivato al 18' su rigore per un tocco col braccio di De Ligt in anticipo su Lautaro e lo stesso Lautaro ha mostrato freddezza e precisione dal dischetto. E' stato ancora una volta uno dei migliori El Toro ed è stato forse immeritatamente sostituito nella ripresa, lui che ha creato le occasioni migliori e messo più in difficoltà Bonucci e soci. L'uscita di scena di Sensi, sostituito da Vecino, ha tolto alla manovra nerazzurra imprevedibilità, leggerezza, velocità. Insomma quasi tutto. Un primo tempo bellissimo giocato a ritmi alti ha lasciato però la sensazione di un'Inter in fase calante e di una Juve con le quotazioni in rialzo.

E la ripresa, infatti, ha poi confermato quello che il finale del primo tempo aveva fatto intravedere e cioè una Juve più in palla e più pericolosa. I ragazzi di Conte hanno a lungo faticato a uscire dalla propria metà campo, a tenere palla e a ripartire. Meno capaci di tentare l'anticipo o la pressione alta, i nerazzurri hanno finito per lasciare campo e possesso alla Juve che ha sbandato solo nel momento in cui è rimasta in campo col tridente Dybala-CR7-Higuain (l'ingresso di Emre Can per la Joya ha ridato equilibrio e possenza in mezzo al campo ai bianconeri). La fisicità di Vecino non si è mai fatta sentire, Barella ha lottato fino a che ha potuto ed è stato ancora tra i migliori, Brozovic si è visto più in copertura che in costruzione, Lukaku ha sbagliato qualche scelta ma in generale è stata tutta l'Inter a mostrarsi in difficoltà di impostazione e contenimento al cospetto dei più forti del campionato.

Il gol che ha portato al 2-1 per la Juve è arrivato dopo una serie di 24 passaggi: azione paziente, lunga e finalizzata dall'assist di Bentancur per il Pipita che quando attraversa l'area interista diventa una sentenza di morte. Altrui. La Juve ha non una ma due squadre di livello elevatissimo, riserve non degne di questa definizione mentre l'Inter di squadre ne ha una sola, appena costruita, giovane e con uno o due buoni ricambi o poco più. In serate così, in sfide così accese e intense, le sostituzioni fanno la differenza quando la tenuta inizia a scricchiolare. Conte è stato costretto a mettere Vecino nel primo tempo, nel secondo si è giocato Bastoni per un Godin fermo al derby e Politano che, ancora una volta, ha avuto a disposizione pochi minuti finali, quelli della disperazione e della stanchezza.

Il risultato finale non ridimenisona l'Inter perché semplicemente ristabilisce l'ordine delle cose in base alle forze in campo. La Juve resta di una categoria differente, lo era prima e lo ha solo confermato. L'Inter deve giocare sempre alla morte e pregare per la buona salute dei suoi interpreti. Ma ha voglia, coraggio, idee e un allenatore top per restare vicina il più possibile ai campioni che si sono ripresi la vetta della classifica. L'Inter è tornata sulla Terra dopo aver fatto fantasticare qualcuno. Ma le missioni per raggiungere lo spazio e le stelle partono sempre dalla Terra. Animo. E lavoro. Anche perché, per fortuna, non capita tutte le settimane di dover affrontare in quattro giorni i migliori al mondo. Inciampare è una cosa che capita, quando si guarda in alto per vedere in che posizione sono le stelle.

Sezione: Editoriale / Data: Lun 07 ottobre 2019 alle 00:02
Autore: Giulia Bassi / Twitter: @giulay85
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