La storia si ripete, evidentemente perché gli uomini non imparano mai la lezione. Anzi, trovano sempre modi fantasiosi per commettere gli stessi errori in maniere ogni volta diverse. E' successo anche in Juventus-Inter di Coppa Italia martedì scorso, prima durante e dopo la trasformazione del calcio di rigore dell'1-1 da parte di Romelu Lukaku, bersagliato da insulti razzisti piovuti dalla curva bianconera. Un episodio spregevole che si è intrecciato (che novità) con le inevitabili polemiche arbitrali scatenate dall'espulsione per doppia ammonizione dello stesso belga, 'colpevole', nell'interpretazione sbagliata di Davide Massa, di essersi rivolto ai tifosi con un'esultanza provocatoria. Risultato? Pena certa per il giocatore, che salterà la semifinale di ritorno complicando e non poco i piani di Simone Inzaghi, e allo stesso tempo la solita sensazione di impotenza di fronte agli autori dei gesti e delle urla discriminatorie.

Come faceva notare Rafael Leao ieri su Instagram, citando un precedente in Roma-Milan del 31 ottobre 2021 con protagonista Zlatan Ibrahimovic, la sanzione per colpire chi si macchia di certi comportamenti sugli spalti spesso è morbida o addirittura inesistente. La curva giallorossa, per esempio, in quel caso fu chiusa per un turno, ma con pena sospesa per un anno. La stessa decisione è stata adottata per i cori antisemiti che si sono alzati dal settore del tifo laziale nel derby capitolino del 19 marzo. L'equivalente di un'ammonizione comminata dal Giudice sportivo, praticamente lo stesso provvedimento adottato per punire Ibra e Big Rom, con ovvia sensazione di sproporzionalità. Ormai lo hanno capito tutti: mentre gli arbitri si nascondono spesso dietro l'applicazione rigida del regolamento, il più delle volte andando a interpretazione per provare a gestire certe situazioni scomode per la loro direzione di gara, la macchina della giustizia sportiva più che essere una soluzione a posteriori è un problema "perché fatica a mettere a fuoco il vero obiettivo del proprio lavoro: ossia fare in modo che lo stadio sia un posto in cui la violenza fisica e quella verbale – ancora di più se tocca corde profonde con espressioni razziste – non possano trovare spazio. Pazienza se il prezzo da pagare è un settore vuoto, un botteghino meno ricco, un dirigente più arrabbiato", come fatto notare giustamente da La Repubblica.

E allora come si viene a capo della questione? In campo, lo sappiamo, non ci vanno i santi e allo stadio non serve passare il test di cultura generale per avere il biglietto. Tutti vorremmo vivere nel mondo ideale dipinto da Arek Milik, il paciere che ha provato a dividere Juan Cuadrado e Samir Handanovic che sono venuti alle mani dopo il triplice fischio dando un'immagine di loro stessi non edificante: "Le partite quelle belle e intense come quella di ieri dovrebbero finire sempre sul campo con messaggi positivi e mai con polemiche o con altre forme di discriminazione, mai. Abbiamo una responsabilità e siamo sempre un esempio per chi ci guarda dagli spalti e da casa", la sua riflessione a mente fredda nel day after. 

Non crediamo che i giocatori debbano essere un esempio, come dice l'attaccante polacco della Juve, ma certamente certi atteggiamenti e comportamenti vanno evitati a prescindere in nome dello sport, non perché c'è qualcuno che ti guarda e può prenderlo a pretesto per vomitarti contro i peggiori epiteti. Siamo sicuri, dopo i fiumi di parole spesi in queste ore, che il prossimo 26 aprile, quando andrà in scena la semifinale di ritorno, nessuno vorrà dare ragione a quello sceneggiatore crudele che per godersi l'ennesimo déjà vu ha inserito in calendario un derby d'Italia a 25 anni esatti da quello famigerato del 1998.

Sezione: Editoriale / Data: Gio 06 aprile 2023 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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