La stagione dell'Inter inizierà in clamoroso ritardo dopo la sosta, ma con quali premesse? La falsa partenza ha aggiunto dubbi attorno alla tenuta mentale di tutte le componenti tecniche, fisiologicamente indebolita dallo scudetto sfuggito nella modalità nota a tutti. La squadra sembra essersi fermata al 22 maggio scorso, a quell'abbraccio che voleva essere balsamico degli oltre 70mila di San Siro dopo una stagione che ha portato in dote due trofei, Coppa Italia e Supercoppa italiana, ma anche il peccato originale di un ciclo vincente mai aperto. La seconda stella, già di per sé storica, avrebbe consolidato l'autostima di un gruppo ampiamente alimentata nel biennio contiano, quello in cui la vittoria era vissuta come un'ossessione. Perdere non era neanche un argomento di discussione, figurarsi ritenersi soddisfatti alla fine di una battaglia tricolore persa per mano dei rivali cittadini. Lo spogliatoio sembra non aver elaborato quella cocente delusione, checché ne dica Simone Inzaghi che continua a dribblare il tema ogni volta che si presenta in forma di domanda giornalistica. Il fatto di rosicare per un fallimento da trasformare in rabbia che Antonio Conte aveva instillato nelle menti di Handanovic e compagni però non si è mai visto, anzi è evaporato assieme alle tante certezze a livello di gioco costruite faticosamente negli anni. I nerazzurri si sono scontrati con la dura realtà che obbliga a rivedere le proprie convinzioni e non crediamo di sbagliare se diciamo che qualcuno, finite le ostilità, si sia chiesto: 'siamo ancora i migliori?' Una domanda naturale a cui qualcuno dello spogliatoio, però, non ha voluto rispondere, essendo più interessato a un'esperienza in Premier che a una rivincita sui cugini: parliamo di Ivan Perisic, alias l'MVP che più di tutti ha regalato ai suoi tifosi l'illusione del bis tricolore fino al 32' di Sassuolo-Milan. Salutato il croato, l'analisi sul valore della rosa composta dai superstiti del mercato ha dovuto per forza di cose tenere conto del ritorno di Romlelu Lukaku che più di qualcuno, in dirigenza e in seno alla proprietà, ha creduto bastasse per riportare la competitività della squadra a prima del ridimensionamento imposto da Suning. Un'equazione pericolosa che, peraltro, ha dovuto resistere non senza fatica fino al 1° settembre alla possibile 'sottrazione' di Milan Skriniar, il più facile da sostituire perché di ruolo difensore nelle dichiarazioni non così sibilline di Beppe Marotta prima dell'apertura della sessione estiva. Chiusa con i corteggiamenti del Paris Saint-Germain per lo slovacco respinti al mittente così da far sembrare in maniera gattopardesca la sua permanenza come un acquisto, al pari del leasing di un Big Rom venduto al popolo come il salvatore come se l'anno pessimo vissuto al Chelsea non fosse mai esistito. "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi", verrebbe da dire citando Tancredi, il nipote del principe di Salina nel romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
L'Inter vista fin qui è quella dell'anno scorso senza Perisic, con Lukaku ingiudicabile visto l'infortunio accusato proprio prima del derby, partita clou che di fatto sta determinando aritmeticamente la distanza di due punti dai campioni d'Italia. Occhio, però, a leggere la classifica incappando nell'errore già commesso con il famigerato asterisco della gara del Dall'Ara quando il gap veniva considerato colmabile per diritto divino (in vetta a +5, peraltro, ora c'è il Napoli che non va sottovalutato). Vero che al fischio d'inizio di Inter-Roma mancheranno addirittura otto mesi al traguardo di questa annata anomala, tuttavia pensare di accumulare ulteriore distacco dalla capolista con tre ko su sette partite sul groppone vorrebbe dire sfidare i grandi numeri contenuti nel libro del calcio italiano. Non sarà come il recupero di Bologna, ma è il secondo grande bivio dell'esperienza di Simone Inzaghi a Milano: il 27 aprile scorso c'era in palio lo scudetto, il 1° ottobre sul piatto ci sarà il suo futuro.
La situazione, inutile negarlo, è precipitata nel giro di cinque mesi, tanto che in queste ore, seppur off the record, Simone Inzaghi ha voluto far sapere che la squadra è con lui e che tutti remano nella stessa direzione. Sì, ma quale direzione? Beppe Marotta recentemente ha ammesso che la cessione del club è una situazione che è in ballo da due anni, come a dire che da tempo in Viale della Liberazione ormai si ragiona senza una programmazione, alla giornata. In mezzo a queste voci che provocano fastidio a chi lavora ad Appiano Gentile (ricordate come Conte isolò il gruppo nel periodo degli stipendi non pagati?) c'è stato un avvicendamento in panchina e ora si parla di un allenatore comunque sotto esame. Il campo è il riflesso preciso di ciò che accade negli uffici della sede, i 74 giorni passati dall'inizio del ritiro a Udinese-Inter sono la logica conseguenza della confusione che si respira a tutti i livelli in società. Ecco perché le sostituzioni cervellotiche alla Dacia Arena potrebbero diventare, se il trend di risultati non cambierà, il più valido dei motivi per sostituire Inzaghi. Che ora, da 'ammonito', dovrà dimostrare che si può allenare l'Inter per tutta la stagione senza essere espulso.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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