Non sono bella ma piaccio. L'Inter dello scorso anno, quantomeno quella vista fino a inizi 2022, è ormai ultra-testato, non esiste più. Una verità che non necessita di ulteriori chiarimenti e che, al contrario, è già stata ampiamente digerita e somatizzata. Degli undici nerazzurri che spaziavano, palleggiavano, disegnavano trame deliziose e segnavano anche con una certa facilità ne è rimasto il lieto ricordo e un pizzico di speranza, volendo confidare nel tempo ancora a disposizione, che possa tornare ad esserlo, prima o poi. Ma la storia insegna e se estetica e guardiolismo piacciono ai più, l'efficace giova a tutti. Lo ha capito Simone Inzaghi che nell'avvio di questa stagione ha tentato fino allo stremo di disegnare geometrie che difficilmente riuscivano a trovare la giusta applicazione, ancor peggio il risultato. La conseguenza è stata sulle prime devastante, un ritardo rispetto alle avversarie che ha non poco allarmato e che non sembrava offrire spiragli alcuni di un cambio di passo tantomeno di ripresa. Il risultato è stata un'inevitabile depressione che sembrava trascinare sempre più verso il basso una squadra che improvvisamente aveva i connotati da medio-bassa classifica. Tutto in discussione come normale che fosse, dai giocatori al tecnico che mostrava un continuo e crescente spaesamento che ha mandato in tendenza mediatica ogni congettura di addio. A spazzare supposizioni e bad vibes ci pensa però lo stesso corredo cromosomico della pazza squadra che per dna ne carratterizza i connotati di quest'Inter, borderline per antonomasia e masochista per natura. E al tragico tonfo con la Roma corrisponde una reazione ad elastico che manda in frantumi interi articoli di congedo ad allenatore e progetto tecnico. Contro ogni pronostico arriva l'1-0 di Hakan Calhanoglu ai danni del Barcellona che di peso riporta tutti su una scialuppa di salvataggio che sembrava smarrita e che al contrario d'improvviso si trasforma in catamarano tra le mura di un ostico Camp Nou, finito con l'essere svestito di quel tetro manto di terrore di cui era da anni ornato.
Un 3-3 finale che lascia, incredibilmente, un amaro in bocca che sa più di sconfitta che di soddisfazione e l'unica nota di dolce in grado di sfumare l'acre è la classifica del girone che fotografa uno scenario completamente mutato in ottica qualificazione agli ottavi che per forza di cose dispensa alla squadra meneghina un carico di energia che sa di risurrezione e che trova definitiva consacrazione qualche ora fa al Franchi di Firenze, dove l'Inter inizia benissimo un match che presenta sulla carta e sui precedenti dell'avversaria più di una banale insidia. Campo storicamente ostico, reso ancor più ostile dall'assenza dichiarata della fetta più calda di tifo, ritiratasi dai suoi doveri per sacrosanta protesta e compagine avversaria affamata di punti specie dopo l'1-1 dello scorso turno rimediato in quel di Lecce. A sbloccare un match propiziato col piglio giusto è un ormai tradizionalista Barella al terzo gol consecutivo che apre le danze di un tabellino che col passare dei minuti continua ad aggiornarsi. A Nicolino nazionale replica l'indomabile Toro Martinez, sempre più indomabile che prima serve l'assist per il vantaggio, poi con caparbietà si prende un pallone che fa suo fino alla fine, ovvero alle spalle di un incolpevole Terracciano che nulla può contro la furia argentina del diez di Bahia Blanca. Le insidie però, come da pronostico, sono dietro l'angolo e con l'Inter, lo sappiamo tutti dalla notte dei tempi, gli stravolgimenti di risultato non sono mai una sorpresa. Prima Cabral da rigore, dopo un fallaccio di Federico Dimarco, poi Ikone rimettono in equilibrio la bilancia di una partita, a pari merito momentaneo ma solo sul tabellino.
È proprio sul 2-2 però che Simone Inzaghi trova le sue più grandi risposte e se fino a qualche settimana fa il dramma si sarebbe consumato facile già sul 2-1, i nerazzurri non ci stanno e reagiscono piuttosto velocemente ad un risultato che li condanna ad un solo punto che avrebbe stroncato non poco le manovre di risalita verso l’alto e soprattutto di ripresa che le ultime quattro uscite avevano innescato. Lo aveva detto qualche giorno fa Nicolò Barella: "Quando si cade bisogna rialzarsi", una frase che sa di parafrasi di quanto fatto nella doppia sfida col Barça ma che ben si sposa anche con il concetto di monito per le sfide a venire. Detto, fatto. Ed è così che nel momento di difficoltà l’Inter mostra finalmente quello spirito di dura a morire che tanto aveva fatto gasare nelle stagioni precedenti, quando demoralizzarsi e mollare erano gli ultimi dei pensieri della corazzata nerazzurra. Finalmente matura e cosciente, priva di nevrosi e isterismi, la squadra di Inzaghi continua a fare il suo gioco cercando la porta di Terracciano che finalmente sembra lontana soli venti metri. In mezzo un corridoio spalancatosi davanti al dieci interista che continua a fare un gioco di luci stroboscopico, illuminando di nerazzurro occhi un Franchi per quasi la totalità di solo viola, ma tra Lauti e l'estremo difensore di casa c'è un fallo enorme quanto una casa che sulle prime sembra essere anticipato da una posizione oltre la linea del onside che potrebbe annullare il penalty. Il var dà due buone notizie all'Inter, due pessime alla Fiorentina: rigore c'è, fuorigioco neanche per sbaglio. A tirare è ancora lui, l'ex Racing che in quel di Toscana non sembra voler lasciare neanche l'ultima delle briciole concesse e con un tiro di potenza supera l'ex Empoli che ancora una volta nulla può di fronte potenza e qualità del classe '97. Ancora vantaggio Inter, al 73esimo. Un 2-3 al73esimo che sembra mettere in discesa la via per il ritorno a Milano, ma una defaillance difensiva complica il percorso, proprio al 90esimo.
Ma da Inter sorpresa a sorpresa Inter è un attimo e dopo soli cinque minuti, a qualche manciata di secondi da un triplice fischio che viene per forza di cose poi ulteriormente posticipato, arriva 'l'armeno che va come un treno' (- semicit). "Armeno tu nell'universo" c'è chi esulta goliardicamente a partita finita. E probabilmente c'è davvero dell'energia cosmica in quel tocco di Mkhitaryan come ammette lo stesso ex Roma che a fine gara a Inter TV parla di sensazione positiva che gli ha fatto "credere che qualcosa sarebbe successo". Gol mangiato, gol subito è uno dei motti più usuali del pallone, ma gli astri girano dalla parte dei nerazzurri e se qualche giro d'orologio prima è proprio il 22 di Inzaghi a divorare la possibilità di 3-4, il karma restituisce al buono e paziente Mkhy la gioia poco prima divorata e 3-4 sia. Terracciano si dispera e prova immediatamente a rilanciare i suoi verso l'ultima corsa contro tempo e nerazzurri, ma l'Inter va più forte e la clessidra più veloce. Non si va oltre, non c'è più tempo: l'Inter batte la Fiorentina con sangue, cuore e denti e porta a casa il terzo successo consecutivo, tre punti e degli inequivocabili segnali. Quest'Inter sarà pure bruttina ma è tornata efficace, e con buona pace dell'esteta Simone, non è bella ma piace.
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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