Appena indossato l’abito di allenatore del Napoli, Antonio Conte è subito entrato nella parte dell’uomo del Sud che deve combattere contro ‘le solite note’, così le ha definite, ovvero le tre strisciate del Nord, per vincere lo scudetto. Una scena già vista a certe latitudini, in un momento storico che da quelle parti ricordano con orgoglio e nostalgia. Il ruolo di underdog, già caro a Diego Armando Maradona, è sempre stato il preferito anche di Conte, a cui spetterà l’arduo compito di risollevare le sorti di una squadra senza Europa dopo una rapida discesa libera dal tricolore al decimo posto in un anno. Situazione che ha imposto il reset a tutti i livelli e che deve portare in dote quel ’dolore’ che farà da propellente per incendiare la solita rivoluzione in classifica. Un’impresa che in carriera gli è già riuscita, in particolar modo, con le stesse premesse, a Londra, quando portò il Chelsea dal decimo posto alla cima della Premier League arrivando davanti a delle vere e proprie superpotenze. E’ lì che Conte si è autodefinito ‘serial winner’, un vincitore seriale che conosce il modo più veloce, ma non per questo meno tortuoso, per arrivare alla gloria. La strada da battere è la solita: il lavoro, che non ammette scorciatoie, laddove le scorciatoie - nella filosofia contiana - sono i soldi da spendere per colmare il gap con uno schiocco di dita. Quest’ultimo non è mai stato il caso di Conte, che pure in passato ha preteso giocatori di un certo peso, magari non campioni affermati, forse anche per una certa l’allergia ad allenarli. Non a caso, Conte si sente a tutti gli effetti un manager che vuole avere voce in capitolo su tutto, dal campo al mercato. 'Cosa che magari da altre parti poteva dar fastidio’, ha spiegato il diretto interessato, rispondendo alla definizione che ha dato di lui Zlatan Ibrahimovic per motivare il mancato matrimonio, celebrato soprattutto sui social, con il Milan.
A proposito di entrate e uscite, dopo aver spiegato che è lui che decide chi va e viene, a eccezione di Victor Osimhen per degli accordi presi prima del suo avvento a Napoli, Conte ha cavalcato un altro cavallo di battaglia, quello del gap economico che, fatalmente, è sempre a suo sfavore: "Non possiamo competere con le solite note sul piano di monte ingaggi e investimenti, ma possiamo competere creando basi solide con la cultura del lavoro. Dobbiamo avere voglia, determinazione e sacrificio”. Tutto come da copione, così come la dichiarazione a effetto successiva: "Dobbiamo lavorare, ammazzare sportivamente chi ci sta davanti: su questo piano non deve batterci nessuno, non dobbiamo essere secondi a nessuno. Se riusciamo a fare questo, possiamo colmare il gap accorciando i tempi. Sapete che non voglio fare il comprimario, non ho tanta pazienza”, le parole che hanno infiammato Palazzo Reale e un popolo intero in cerca di riscatto, che ieri era lì a pendere dalle sue labbra.
Una dichiarazione calcisticamente bellicosa a un nemico mai nominato, semmai tirato in ballo con una perifrasi: “L’anno scorso il Napoli è arrivato a 40 punti dalla squadra che ha vinto il campionato, Non possiamo mettere la testa sotto la sabbia e pensare che cambiando allenatore tutto diventi facile. Io ho detto che c'è un progetto”, le esatte parole usate da Conte per definire la distanza abissale dall’Inter. Alias l’antagonista principale nel prossimo campionato per lo status definito dallo scudetto che avrà sul petto, ma non l’unico visto che c’è un’altra ex come la Juve che vorrà tornare a dire la sua. Senza dimenticare quel Milan che, con certe dichiarazioni, non si è fatto certo amico.
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