L'Italia è campione d'Europa. A quattro giorni di distanza dallo storico 11 luglio 2021, la sbornia per aver domato i Tre Leoni inglesi nel tempio di Wembley non è ancora passata. Il pensiero di essere i migliori di tutti a livello calcistico nel vecchio continente ci accompagnerà per chissà quanto tempo, probabilmente per il prossimo triennio, se la squadra di Roberto Mancini sarà all'altezza anche al Mondiale in Qatar che non è poi così lontano. La medaglia vinta rimarrà comunque sul nostro petto fino al 2024, anno della disputa della prossima rassegna iridata in Germania. Il regno più breve della storia sessantennale del torneo che equilibra quello più lungo del Portogallo, padrone per un intero lustro causa rinvio per la pandemia. Sembra passato un secolo dal gol del carneade Eder che condannò nei tempi supplementari la Francia a domicilio nella finalissima del 2016. All'improvviso uno sconosciuto, un ragazzo che ha vagabondato nell'ombra tra Lille e Lokomotiv Mosca prima di riemergere domenica scorsa con la Coppa in mano, tremando di fronte alla responsabilità di avere di nuovo quei 15' di celebrità dopo una vita sportiva vissuta nell'anonimato. Qualcuno lo avrà riconosciuto anche senza treccine, ad altri sarà servito il sottopancia messo dalla regia tv internazionale per capirne l'identità. Un semplice esercizio di memoria per gli appassionati di questo sport che scandiscono il tempo della loro vita con Mondiali ed Europei. Anche perché durante queste manifestazioni succedono cose che condizionano l'esistenza di un tifoso di una squadra di club. Pensate a un supporter dell'Inter che, dopo aver visto le gesta del Portogallo a Euro 2016, ha accolto con ottimismo la notizia dell'acquisto di Joao Mario. Il primo completato sotto la bandiera di Suning assieme a Gabigol, quella stessa estate medaglia d'oro olimpica con il Brasile. Una sessione di mercato, pensavano all'epoca in molti, chiusa con i fuochi d'artificio dalla nuova proprietà cinese che una ventina di giorni prima aveva dovuto incassare le dimissioni di Roberto Mancini, sostituendolo – per volontà di Erick Thohir – con Frank de Boer. L'inizio della fine, un peccato originale che Zhang ha avuto il tempo di espiare solo negli anni successivi, affidandosi a dirigenti competenti anziché farsi ammaliare da faccendieri di fiducia.
L'abbaglio tecnico su Joao Mario, causato in larga parte da un equivoco tattico, non sarebbe stato neanche grave in sé; l'errore grossolano fu commesso nelle modalità del suo acquisto che ha i suoi riverberi sinistri anche ai giorni nostri. Il costo del cartellino, 40 milioni di euro e rotti, si capì subito fosse fuori mercato, dopato dalle buone prestazioni messe in mostra dal giocatore in terra francese con la sua Nazionale. Una trappola che ogni dirigente dovrebbe evitare ma che, per sfortuna dell'Inter, portò a una fumata bianca festeggiata dall'ambiente a cui sicuramente serviva un diversivo per evadere dalla realtà e combattere la depressione di quegli anni bui.
Clima che non ha nulla a che vedere con quello attuale: l'Inter, nel frattempo, è riuscita infatti a superare l'impasse storico scalando le gerarchie della Serie A fino a issarsi in cima alla classifica per festeggiare lo scudetto a maggio. Qualche settimana prima dell'inizio dell'impresa compiuta dall'altro protagonista di questo strano romanzo, il Mancio, che ha guidato la Nazionale italiana al suo secondo titolo continentale. Nel torneo itinerante in cui non c'è stata alcuna traccia di Joao Mario, scavalcato nelle preferenze di Fernando Santos da giocatori decisamente più talentuosi che però non sono andati oltre gli ottavi di finale perdendo senza demeritare dal Belgio.
Anno 2021: l'Italia è campione d'Europa e l'Inter si è cucita il tricolore sul petto. E Joao Mario? Ha risolto il contratto per sposare la causa del Benfica, rivale odiato dello Sporting Lisbona che minaccia di fare causa alla Beneamata per il presunto mancato rispetto di una clausola inserita nel contratto in quell'infausto agosto 2016. Un pagamento aggiuntivo di 30 milioni di euro in caso di trasferimento del giocatore a un altro club lusitano. Sarebbe un danno clamoroso, oltre la beffa per il primo peccato commesso da Suning. Settanta milioni di euro totali, curiosamente la cifra che l'Inter si è trovata costretta a racimolare per far respirare i conti cedendo Achraf Hakimi al Psg. Il passato che ritorna con prepotenza nel presente: Joao Mario e Hakimi sono due errori di segno diverso generati da una brutta gestione della ricchezza. Di fronte ai quali torna utile la massima di Marotta, secondo cui non sempre è valida l'equazione che 'chi più spende più vince'. Lo sa bene Zhang, questa lezione dovrebbe averla imparata.
L'abbaglio tecnico su Joao Mario, causato in larga parte da un equivoco tattico, non sarebbe stato neanche grave in sé; l'errore grossolano fu commesso nelle modalità del suo acquisto che ha i suoi riverberi sinistri anche ai giorni nostri. Il costo del cartellino, 40 milioni di euro e rotti, si capì subito fosse fuori mercato, dopato dalle buone prestazioni messe in mostra dal giocatore in terra francese con la sua Nazionale. Una trappola che ogni dirigente dovrebbe evitare ma che, per sfortuna dell'Inter, portò a una fumata bianca festeggiata dall'ambiente a cui sicuramente serviva un diversivo per evadere dalla realtà e combattere la depressione di quegli anni bui.
Clima che non ha nulla a che vedere con quello attuale: l'Inter, nel frattempo, è riuscita infatti a superare l'impasse storico scalando le gerarchie della Serie A fino a issarsi in cima alla classifica per festeggiare lo scudetto a maggio. Qualche settimana prima dell'inizio dell'impresa compiuta dall'altro protagonista di questo strano romanzo, il Mancio, che ha guidato la Nazionale italiana al suo secondo titolo continentale. Nel torneo itinerante in cui non c'è stata alcuna traccia di Joao Mario, scavalcato nelle preferenze di Fernando Santos da giocatori decisamente più talentuosi che però non sono andati oltre gli ottavi di finale perdendo senza demeritare dal Belgio.
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