Senza la possibilità di poter analizzare una classifica reale, complice gli asterischi aggiunti per causa di forza maggiore ad alcune squadre di testa, lo sport preferito di addetti ai lavori, analisti e tifosi è diventato il salto in lungo nel tempo per paragonare rose e campionati diversi tra loro. I paralleli che si sprecano sono diversi, soprattutto se fatti tra due figure polarizzanti: Thiago Motta e Massimiliano Allegri su tutti, i rappresentanti massimi - secondo i media - di giochismo e risultatismo. Il problema sorge quando si deve capire che periodo storico debba essere raffrontato: il primo anno di entrambi o due annate contigue? Bella domanda, la cui risposta è tutta nella teoria che chi fa questa ricerca vuole avvalorare. Dipende, appunto, da chi si si vuole dichiarare meglio o peggio.
Succede anche in altri lidi, per esempio al Milan, la cui guida è stata affidata la scorsa estate a Paulo Fonseca dopo quattro anni e mezzo di gestione Stefano Pioli. Dopo cinque mesi in cui i rossoneri stanno imparando a parlare il calcio del loro allenatore, alcuni osservatori vedono gli stessi errori ripetuti nel recente passato, mentre altri intravedono un barlume di speranza nei nuovi principi di gioco. L’unica cosa certa è che entrambe le fazioni usano numeri e statistiche random per perorare la propria causa. Nulla di nuovo, nel Paese in cui conta soprattutto vincere. La bellezza delle idee viene ricercata d’estate, poi la pazienza si esaurisce dopo due pareggi di fila. Conta solo portare a casa trofei, non importa come. E qui ci leghiamo al discorso che ha visto protagonista anche l’Inter, al centro di una guerra di parole tra Antonio Conte e Beppe Marotta rispetto al favore dei pronostici in ottica scudetto 2024-25. Dopo il big match con il Napoli, che ha lasciato tutto intatto a livello di classifica, il duello a distanza è proseguito fuori dal campo, davanti ai microfoni, a partire dalla scorie arbitrali lasciate dal rigore assegnato ai nerazzurri da Mariani nel match di San Siro terminato 1-1. Il gioco delle parti, con buona pace di Antonio Conte che voleva a ergersi a paladino di una nuova era del VAR con tanto di protocollo rivisitato. Ognuno tira l’acqua al proprio mulino, a seconda di come girano gli episodi. I famosi vantaggi o svantaggi che diventano materia di dibattito anche quando sono intangibili. Il tutto sfocia nei pronostici o, peggio, nel mettere il peso della responsabilità di successo su una determinata squadra. A turno, chi ha le maggiori chance di arrivare primo al traguardo in Italia finisce per fare questi giochi mentali per indebolire l’avversario più temibile. Le tecniche sono collaudate e arcinote: si pone la lente di ingrandimento sui propri torti arbitrali e si usa il microscopio per cercare i favori altrui. Davanti alle telecamere si dichiarano obiettivi minimi e si fa passare il concetto dell’obbligatorietà di vittoria per gli altri. Uno schema visto e rivisto a cui abbiamo assistito pure tra lunedì sera e martedì pomeriggio, in un botta e risposta a distanza tra Milano e Castel Volturno. Tutto è partito da alcune frasi pronunciate al ‘Gran Gala del Calcio’ dal presidente dell’Inter Beppe Marotta che, nel parlare della credibilità del Napoli in chiave tricolore, ha affermato: “Credo che il Napoli sia il favorito alla vittoria per merito, è normale stiano facendo bene. Hanno un allenatore vincente e una squadra forte, credo che possano arrivare in fondo lottando per lo scudetto". Dichiarazioni per mettere pressione al Napoli, non tanto per toglierle alla propria squadra, l’unica assieme al Milan che non sta giocando a nascondino con la parola scudetto. Parole che sono sembrate un affronto a Conte, che non ha mancato di replicare a quell’uomo con cui ha lavorato e vinto in due realtà diverse: “Ora c'è sta cosa di Marotta... (ride, ndr). Il direttore può dire quello che vuole; sicuramente, conoscendolo perché ho lavorato con lui, non penso che sarebbe molto contento, se l'Inter non vincesse lo scudetto. Non considererebbe la stagione come buona, questo lo posso dire con certezza. Ognuno deve recitare la propria parte, magari qualcuno all’interno (del club, ndr) può averlo spinto a dire questa cosa. Stiamo parlando di una rosa che ha due squadre e trequarti, stiamo parlando del nulla cosmico. In più si stanno concentrando tanto su di noi, ma non vedono chi può essere veramente quella che può creargli fastidio. Sono parole che le porta via il vento, sono straconvinto che se l'Inter non dovesse vincere lo scudetto, non sarebbe contento e tanti dovrebbero farsi delle domande”.
Concetti chiari, che assumono significati ancor più pesanti se si pensa al passato nerazzurro di Conte. Ai suoi ex tifosi non è sfuggito quel passaggio in cui parla di una rosa dell’Inter talmente forte da poter contare su due squadre e tre quarti, un privilegio che certamente non è stato regalato a Simone Inzaghi. Anzi. La storia dice che è stato lo stesso Conte a non accettare quel ridimensionamento dopo il 19esimo scudetto, un ridimensionamento che Inzaghi, nonostante le difficoltà del calciomercato, ha trasformato in opportunità nuove, in idee tattiche innovative, e quindi in trofei in bacheca. Praticamente Conte, ad anni di distanza, si ritrova a dover combattere la creatura che è stato lui stesso a concepire. Una creatura diventata mostruosa, tanto da far paura al suo stesso ideatore. Che dalla sua, però, ha un'arma potente per sconfiggerla: la sete di vendetta. Per dimostrare che ha sempre avuto ragione.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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