La sosta logora. Specie quando arriva dopo due sconfitte in partite che non vorresti in alcun modo perdere, perché non ti sembra vero essere riuscito a perdere una sfida che si era messa in una certa maniera o più semplicemente perché quella è una partita che non vorresti mai perdere per diecimila e più motivi, anche se purtroppo nelle ultime 14 sfide la vittoria per l’Inter è arrivata solo in una circostanza e ancora oggi, visto come è andata poi quella stagione, verrebbe da chiedersi come fu possibile quella serata. Invece, l’avvio di ottobre è coinciso con le prime due sconfitte stagionali, prima in Champions League poi in campionato, dell’Inter di Antonio Conte, per il quale non sappiamo quanto possa essere consolante la prospettiva di poter smaltire su più notti la digestione della rabbia per aver dovuto cedere il passo al Barcellona e soprattutto alla Juventus, al di là delle dichiarazioni rituali sull’oggettiva differenza di tasso tecnico tra le due squadre.

La sosta logora, si diceva: logora non solo perché due settimane, quando si arriva alla pausa dopo una sconfitta specie contro una rivale storica, possono sembrare nella coscienza di un tifoso ancora più lunghe di quanto non possano esserlo i novanta proverbiali minuti di gioco in un Camp Nou o in un Santiago Bernabeu. Ma anche perché sarà riempita a malapena dalla ridda di partite delle squadre Nazionali impegnate in varie amichevoli di contorno o in gare di qualificazioni agli Europei delle quali non tantissime sembrano mettere in palio qualcosa che giustifichi un qualsivoglia interesse: basti pensare, tanto per non andare troppo lontano, all’Italia alla quale manca poco davvero pochissimo per ottenere il pass per Euro 2020, e peccato solo che a questo giro non potrà contribuire Stefano Sensi, ritrovatosi suo malgrado a rendere concreto il campanello d’allarme fatto risuonare da Conte sull’impiego costante di alcuni dei suoi elementi.

Due settimane di pausa intervallate da partite che forse non scaldano più di tanto la fantasia, in attesa di capire se la riforma della Nations League aiuterà a colmare almeno un po’ il vuoto dovuto allo stop dei campionati (pronostico facile: no). Ma il dibattito calcistico, quello no, non si accenna a placare. Anche perché gli argomenti non mancano mai, specie se si parla di Inter o di Milan. E se una squadra deve fare i conti con i primi punti persi dopo un avvio di campionato immacolato e l’altra è alle prese con uno stravolgimento tecnico gestito in maniera non propriamente irreprensibile, tanto per usare un eufemismo, ecco che entrambe si ritrovano mano nella mano a gestire una grana in comune, e col Comune, per quella che sta già assumendo i contorni di una telenovela di quelle dure da digerire: quella legata al nuovo stadio, o per essere più precisi, al nuovo stadio ultramoderno e avveniristico vorrebbero costruire all’interno dell’area di San Siro per rimpiazzare l’attuale impianto, ormai ritenuto non consono alle esigenze delle società e del calcio di oggi.

Si badi bene che qui si usa volutamente il periodo verbale vorrebbero costruire e ci si guarda bene dall’usare altri verbi come ad esempio regalare, perché questo sembra essere davvero un regalo decisamente non accetto dalle autorità di Palazzo Marino, sindaco Beppe Sala in testa. La storia è nota: due settimane fa, Inter e Milan hanno spiegato per filo e per segno le loro ragioni di volere uno stadio nuovo nel corso di una conferenza stampa al Politecnico nel corso della quale sono stati presentati in pompa magna i due progetti in ballottaggio, definiti la ‘cattedrale’ e ‘i due anelli’, futuristici quanto basta per generare entusiasmi divisi in maniera pressoché equa tra i presenti. Sull’altro fronte, però, c’è il Comune di Milano, l’attore che comunque deve dare sostanzialmente l’ultima parola prima che uno dei due progetti passi dalla carta al cemento e all’acciaio. E su quel fronte, da diversi giorni, si assiste ad una melina quasi esasperata, tra un consiglio comunale che appare in larga parte contrario e un primo cittadino che, facendo anche appello alle leggi vigenti, non sprizza entusiasmo e più o meno platealmente fa capire di gradire un’altra soluzione, quella del riammodernamento di San Siro, auspicata anche dalla sponda arrivata dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali ma che i due club hanno già spiegato ampiamente essere ipotesi impraticabile.

Mescolate il tutto e avrete un vero e proprio dialogo tra sordi, come forse non si vedeva dalla mitica scena del film di Carlo Verdone ‘Un sacco bello’, dove Mario Brega prova a redimere in maniera un po’ grossolana il figlio hippie Ruggero cercando di contare sull’appoggio di un amico prete, un vicino professore e del fratello, i cui argomenti però oltre la soglia del rumore non riescono ad andare. Le società, in maniera molto opportuna, hanno voluto interpellare in maniera diretta anche la cittadinanza, sia attraverso un questionario all’interno del sito dedicato al progetto (spoiler: medaglia a chi ha proposto come domanda conclusiva un referendum sulla disponibilità a sobbarcarsi trasferte di oltre 100 km per vedere giocare Inter e Milan in stadi più piccoli, geniale) sia attraverso il lancio del débat public, con Paolo Scaroni e Alessandro Antonello, i due alfieri dell’innovazione, che ieri hanno voluto nuovamente spiegare ad una delegazione della zona i loro perché. Ricevendo però un’accoglienza a dir poco fredda da parte in primo luogo dei difensori ad oltranza dello status quo, che a tutto sembrano inclini fuorché a proporre le loro idee per migliorare quello che ai loro occhi appare solo come un nuovo tentativo di cementificazione e di speculazione. Anzi, lamentando mancanza di chiarezza da parte degli interlocutori circa alcuni aspetti cruciali del progetto, hanno alzato una cortina di resistenza, disapprovazione e quasi di noncuranza nei confronti delle ragioni degli altri. 

Una partita che, da qualunque lato la si guardi, non sembra offrire la prospettiva di una chiusura nel breve termine. E dove non sembra esserci tecnico tanto abile da aiutare le due società a superare questo autobus messo davanti ai cancelli di San Siro da autorità e cittadinanza con la sponda di personaggi celebri. Tutto questo mentre da altre parti sembrano invece pronti a fare ponti d’oro per accogliere la nuova struttura, su tutti quella Sesto San Giovanni che desidera da anni di fregiarsi di uno stadio nuovo ed è pronta a fornire ai due club tutte le agevolazioni possibili, a partire dalla bonifica di quella ampia area ex-Falck che da diversi anni si mostra in tutta la sua desolazione a cittadini e passeggeri dei treni che transitando sulle direttrici che da Milano portano a Monza e poi a Como o Lecco impattano con quel paesaggio spoglio e in preda all’abbandono (compreso il sottoscritto, che già a inizio anni Duemila guardava quelle aree fantasticando su come potesse essere il nuovo stadio dell’Inter di cui già si vociferava).

Ma qui occorre fermarsi un attimo e porsi una domanda: ha davvero senso, al di là delle logiche dei politici che mai vorrebbero essere ricordati dai posteri come coloro che fecero buttare giù San Siro e dei timori di varia natura dei cittadini, fare un ulteriore torto a quella vocazione sportiva ormai insita nel quartiere di San Siro? Quartiere che, bene ricordarlo, escludendo le difficoltà vissute dai siti ippici, negli anni ha dovuto subire un pugno nello stomaco non indifferente con la perdita del palazzone dello sport, costruito dove oggi c’è l'area verde dove andrebbe a tendere il nuovo stadio, crollato sotto una nevicata memorabile (il prossimo 17 gennaio ricorrerà il 35esimo anniversario dell’infausto evento) e giustiziato dalle diatribe sorte tra le autorità sportive e la politica locale (ancora), che finirono col privare l’area urbana di Milano di un’arena sportiva indoor di primo livello, in attesa del PalaItalia di Rogoredo. Nessuno vorrebbe vedere giù il vecchio Meazza, ma se i club ritengono impossibile sfuggire alla demolizione e i tecnici sostengono che si può trovare una via per il riammodernamento, si riuscirà un giorno a capire se e come trovare una benedetta sintesi?

Soprattutto, ci si deve rendere conto che, con tutto il bene che si può volere a San Siro, il mondo del calcio va avanti e richiede nuovi parametri per la fruibilità dell’evento dal vivo, parametri al quale il caro ‘Meazza’ non sembra garantire una risposta adeguata. E pare davvero paradossale che una città come Milano, che negli ultimi anni ha accolto con grande gioia una trasformazione quasi radicale del proprio profilo e del proprio skyline che ne ha fatto sempre di più una città con lo sguardo rivolto al mondo, si areni all’improvviso su quello che, in altri contesti, sarebbe acclamato come un ulteriore salto verso la modernità calcistica e non solo. A chi giova? Domanda retorica.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 09 ottobre 2019 alle 00:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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