Domenica sera si gioca la Partita. Il derby. Nel nostro caso, quello di Milano. Anche se il primo fu disputato a Chiasso il 18 ottobre 1908, sette mesi dopo la nascita dell'Inter, vinse il Milan per 2-1. La sfida sotto la Madonnina, nella storia ha visto protagonisti in campo grandi campioni, due grandi squadre che nel loro palmarès vantano scudetti e Coppe da mostare al mondo con orgoglio. A Milano, quindi, vincere il derby è servito spesso per ottenere poi traguardi ben più importanti della supremazia cittadina. Ma al di là del risultato, la contesa meneghina significa di più, molto di più. Di fronte due tifoserie che hanno rappresentato due stili di vita diversi nella metropoli lombarda. La tradizione racconta che la radice del tifo rossonero era riconducibile alle classi popolari e operaie della città e per questo i milanisti sono identificati come "casciavit", che in dialetto milanese vuol dire cacciaviti. Il tifo interista si immedesimava invece in maggioranza nella borghesia milanese e così i tifosi rossoneri coniarono per i rivali nerazzurri il termine "baùscia", ossia sbruffone. 

Negli anni questi modi di essere si sono riproposti abbastanza fedelmente nei comportamenti allo stadio. I milanisti hanno spesso sostenuto la squadra a prescindere, mentre gli interisti, ipercritici e dal cosiddetto palato fino, dovevano essere trascinati dai loro giocatori per creare la bolgia a San Siro. Ora non è più così, o almeno non è proprio del tutto così. Il tessuto cittadino è cambiato, Milan ed Inter hanno tifosi in tutta Italia, la Curva Nord nerazzurra da più di un decennio è molto più colorata e rumorosa della Sud rossonera. Detto questo, rimane, a mio avviso, eterno il concetto rappresentato dal titolo di questo editoriale: Il derby non è una partita come un'altra, con buona pace di Zdenek Zeman che nei suoi trascorsi nella Capitale, prima sulla panchina della Lazio, poi su quella della Roma, si affannava a smorzare le tensioni dicendo che sempre tre punti regala. Vero, ma al tifoso il derby regala, prima e dopo i classici novanta minuti, scossoni fisici e mentali difficili da far comprendere a chi non sa. E' anche vero che molti tifosi rossonerazzurri non di Milano, vedono nella Juventus il primo "nemico", il derby viene dopo. Ma per chi invece, fin da piccolo ha giocato a pallone, con le figurine, discusso con gli amici di sempre dell'altra sponda nella fredda, grigia e nebbiosa, ma affascinante Milano, anche dopo i 50 anni compiuti e magari con il tesserino da giornalista in tasca, conta le ore che separano dall'evento che si consumerà domenica prossima nel Tempio.

Molto è cambiato, forse troppo, nel calcio e nella vita, ma Milano, nel giorno del derby, mantiene tratti, profumi e colori indelebili. Il tram, le rotaie, la metropolitana, Piazzale Lotto, a piedi per Viale Caprilli, le bancarelle con sciarpe e bandiere, i tornanti dello stadio, la tensione che sale, la visione delle Curve vestite a festa, nonostante qualcuno si stia impegnando per vietare la passione. Poi l'entrata in campo. Fortunatamente i tifosi del Milan hanno ottenuto di non far giocare la squadra con una improbabile maglia gialla come invece avrebbero desiderato gli schiavi del marketing. Da interista, mi sarei arrabbiato e anche offeso. Derby è anche la contrapposizione di quei colori che hanno fatto la storia. Rossoneri contro Nerazzurri e metto prima loro perché il calendario dice che giocano in casa. Sinora sono stato equidistante, limitandomi a raccontare un po' di storia di questo derby e le sensazioni del tifoso. Chiudo prendendo posizione. Quinto posto, quarto posto, Europa League. Beh domenica non penserò molto a questi obiettivi, seppur importanti. C'è il Derby, la Partita. Prima sugli spalti, poi in campo. Voglio due vittorie, della Curva Nord e dell'Inter.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 30 aprile 2014 alle 00:00
Autore: Maurizio Pizzoferrato
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