Il mutamento cronologico e strutturale dell’ecologia dei media, cioè degli strumenti di comunicazione che i cittadini hanno a disposizione per produrre e ricevere informazioni, ha avuto un impatto deciso anche nello sviluppo del giornalismo sportivo. Questi tre dei principali fattori che il digital journalism s’è portato appresso negli ultimi vent'anni: un costante quanto progressivo accrescimento del flusso informativo, l'istantaneità delle notizie e la differenziazione nella raccolta delle fonti. Tutto ciò ha destrutturato la tradizionale concezione del giornalismo e, anche, del giornalista, imponendo un ripensamento della professione, ma anche del ruolo del lettore.
Finisce il campionato e non si deve attendere nemmeno l'arco di una settimana per leggere una vera e propria caccia al nome. Tra chi sbatte in prima pagina l’affare Milan-Investcorp, dato per prossimo alla conclusione, paventando in associazione l’acquisto di Mahrez, e chi si limita a 'provocare' accostando Dybala alla Roma di Mourinho. La forma distorta della rappresentazione porta ad incendiare i facili entusiasmi delle tifoserie, ingannando l'attesa del click con la parvenza dell'acquisto perfetto.

I media tradizionali non prestano attenzione alla tempestività, non riescono più a reggere il passo dell'ibridazione. Le carambole di indiscrezioni che fuoriescono da ogni angolo del sistema informativo sono immense. Competere nell’ipertrofico mondo dell’informazione, oggi, nel giornalismo sportivo applicato al calcio, significa anche gettarsi nello spericolato mondo di Twitter. Rafforzare l’ethos (il carattere soggettivo del destinante comunicativo) della professione è diventata un'illusione, poiché esso viene con costanza progressiva indebolito da insulti, minacce e allusioni pungenti ai competitors. Per Aristotele, il grande padre della retorica, il logos era l'elemento preponderante nel campo argomentativo. Di rilevanza fondamentale è, infatti, il ragionamento logico che si cela dietro le argomentazioni dell’oratore. Perché il discorso, qualunque esso sia e qualsiasi trattazione riguardi, “deve dimostrare qualcosa”, con le premesse a sostegno della tesi, e la conclusione adeguatamente connessa. 

Nell'universo del calciomercato è preferibile utilizzare il pathos, tipico delle contingenze controverse e del conflitto, considerando che gli argomenti di quella sfera sono solitamente privi di logica. Il successo comunicativo risiede nella capacità strutturale del comunicatore di riuscire ad entrare in empatia con l’interlocutore attraverso le emozioni. Così si paventano acquisti e cessioni di rilievo, a suon di bandierine, freccette, emoticon e slogan, per un pugno di like e condivisioni in più.

Anche la realtà informativa tradizionale ha dovuto adeguarsi all’irreversibilità dell’innovazione digitale, rimanendo però tendenzialmente chiusa all’ammodernamento sistemico. I giornalisti si trasformano in influencer da social network per arrivare prima della concorrenza nell'atto dello sparare i proiettili: così la professione si svaluta, ci si allontana dai confini dell’accettabile e si perde, ahimé, l’enorme fascino originario del nostro mestiere. Oltre a disorientarne le letture dei tifosi, che finiscono in un caotico turbinio da cui è parecchio complicato uscire.

Il pathos ha la meglio. I discorsi populisti, che puntano a sollecitare le emozioni del pubblico, più che a farlo ragionare secondo la logica, sono quelli più apprezzati. Non solo nel calciomercato, purtroppo, ma nell'agorà dei dibattiti di pubblico dominio.

Sezione: Editoriale / Data: Sab 18 giugno 2022 alle 00:01
Autore: Niccolò Anfosso
vedi letture
Print