Come nel più classico degli zombie movie, il Tucu Correa, il fantasma di sé stesso fino al 60', emerge dal prato di San Siro e morde con ferocia due volte la vittima friulana. Altro che John Carpenter e la serie di Halloween, per l'argentino è il sequel ideale dopo la prima doppietta timbrata a Verona, mentre l'incubo horror viene vissuto solo dall'Udinese, che nel primo tempo aveva saputo tenere bene il campo grazie al modulo a specchio, alle chiusure attente dei tre mediani e al lavoro di copertura delle due ali Molina e Stryger Larsen, entrambi impegnati soprattutto nel non dare fiato a Perisic e Dumfries. I bianconeri intasano tutte le linee di passaggio, sul fronte offensivo Beto e Success provano a impegnare con la fisicità la retroguardia nerazzurra, ma a parte l'inizio incoraggiante la coppia fallisce nel compito di mantenere alta la squadra. Nonostante il dominio nerazzurro, si va all'intervallo senza spargimenti di sangue.
I nerazzurri aumentano i giri subito dopo il 45'. Correa, rimasto in versione Casper, si stacca ora da Dzeko, volteggia tra la linea d'attacco e quella di centrocampo nel tentativo di non dare punti di riferimento alla difesa friulana, chiede palla sulla trequarti ma è impreciso nelle rifinitura e negli appoggi. Poi, uscendo ancora dai radar bianconeri, risorge al 60', ma prima serve l'idea geniale di Perisic che con il velo è più astuto di Molina e lascia al Tucu il corridoio di sinistra libero per fiondarsi dritto in porta. Un minuto prima Gotti aveva mandato in campo Walace al posto di Jajalo e, guarda caso, il brasiliano è già in ritardo e annaspa nel rientro come un qualsiasi personaggio di Scream in fuga, mentre Nuytinck, lasciato da solo a fronteggiare il 19 dell'Inter, che però senza catene ha un altro passo, gli lascia lo spazio per accentrarsi e calciare, anzi mordere a rete. Silvestri e tutta l'Udinese rimangono stregati.
Passano 8 minuti e infatti ancora il Tucu bissa il colpo del carnefice. Stavolta è Dumfries sull'altro lato a invocare il lancio a Barella, l'olandese dopo una partita impegnativa sfugge finalmente d'astuzia a Stryger Larsen e serve il pallone al limite per Correa, mentre Dzeko già in area ha attratto a sé tutte e tre i difensori. L'argentino nelle ultime tre partite in cui era andato a segno aveva sempre rifilato una doppietta e anche ieri, una volta siglato il primo gol, il verdetto era già scritto: Final Destination. Nell'Inter che nell'undici di partenza ha cambiato sette undicesimi rispetto a Empoli c'è spazio poi per Vidal, Sanchez, Lautaro, Sensi e Dimarco, forze fresche ed energie per sigillare il 2-0. Inzaghi ora sa che anche variando l'ordine degli addendi tra campo e panchina, risultato, impegno e prestazione non cambiano, Ranocchia in versione nuovo mostro di affidabilità ne è l'esempio più lampante.
Ovviamente le mosse andranno sempre escogitate in base all'avversario: mercoledì la tappa decisiva in Champions contro lo Sheriff allo stadio Sheriff di Tiraspol (pensate che fantasia), domenica poi il derby con il Milan a San Siro. Il fantasma del passato con Conte, Lukaku e Hakimi e quello di un presente incerto sono stati annichiliti (il terzo fantasma del futuro rimane nelle mani di Suning), l'Inter si conferma squadra viva nonostante il distacco dalla vetta rimanga di 7 punti, che potevano anche essere 5 se qualcuno non avesse provato a ridare nuove vite scudetto alla Juve. Che sia Perisic o Dimarco, Lautaro con Sanchez o Dzeko con Correa, Darmian o Dumfries che guadagna punti esperienza, Calhanoglu o Vidal, Barella o... Barella, perché il 23 e Brozovic sono forse gli unici due imprescindibili (il riferimento ai rinnovi è espressamente voluto), Inzaghi riceve solo segnali di crescita e conferme dalla sua creatura. Non c'è miglior modo di festeggiare Hallo-win.
I nerazzurri aumentano i giri subito dopo il 45'. Correa, rimasto in versione Casper, si stacca ora da Dzeko, volteggia tra la linea d'attacco e quella di centrocampo nel tentativo di non dare punti di riferimento alla difesa friulana, chiede palla sulla trequarti ma è impreciso nelle rifinitura e negli appoggi. Poi, uscendo ancora dai radar bianconeri, risorge al 60', ma prima serve l'idea geniale di Perisic che con il velo è più astuto di Molina e lascia al Tucu il corridoio di sinistra libero per fiondarsi dritto in porta. Un minuto prima Gotti aveva mandato in campo Walace al posto di Jajalo e, guarda caso, il brasiliano è già in ritardo e annaspa nel rientro come un qualsiasi personaggio di Scream in fuga, mentre Nuytinck, lasciato da solo a fronteggiare il 19 dell'Inter, che però senza catene ha un altro passo, gli lascia lo spazio per accentrarsi e calciare, anzi mordere a rete. Silvestri e tutta l'Udinese rimangono stregati.
Passano 8 minuti e infatti ancora il Tucu bissa il colpo del carnefice. Stavolta è Dumfries sull'altro lato a invocare il lancio a Barella, l'olandese dopo una partita impegnativa sfugge finalmente d'astuzia a Stryger Larsen e serve il pallone al limite per Correa, mentre Dzeko già in area ha attratto a sé tutte e tre i difensori. L'argentino nelle ultime tre partite in cui era andato a segno aveva sempre rifilato una doppietta e anche ieri, una volta siglato il primo gol, il verdetto era già scritto: Final Destination. Nell'Inter che nell'undici di partenza ha cambiato sette undicesimi rispetto a Empoli c'è spazio poi per Vidal, Sanchez, Lautaro, Sensi e Dimarco, forze fresche ed energie per sigillare il 2-0. Inzaghi ora sa che anche variando l'ordine degli addendi tra campo e panchina, risultato, impegno e prestazione non cambiano, Ranocchia in versione nuovo mostro di affidabilità ne è l'esempio più lampante.
Ovviamente le mosse andranno sempre escogitate in base all'avversario: mercoledì la tappa decisiva in Champions contro lo Sheriff allo stadio Sheriff di Tiraspol (pensate che fantasia), domenica poi il derby con il Milan a San Siro. Il fantasma del passato con Conte, Lukaku e Hakimi e quello di un presente incerto sono stati annichiliti (il terzo fantasma del futuro rimane nelle mani di Suning), l'Inter si conferma squadra viva nonostante il distacco dalla vetta rimanga di 7 punti, che potevano anche essere 5 se qualcuno non avesse provato a ridare nuove vite scudetto alla Juve. Che sia Perisic o Dimarco, Lautaro con Sanchez o Dzeko con Correa, Darmian o Dumfries che guadagna punti esperienza, Calhanoglu o Vidal, Barella o... Barella, perché il 23 e Brozovic sono forse gli unici due imprescindibili (il riferimento ai rinnovi è espressamente voluto), Inzaghi riceve solo segnali di crescita e conferme dalla sua creatura. Non c'è miglior modo di festeggiare Hallo-win.
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