Il viaggio statunitense dell’Inter è iniziato una settimana fa a Los Angeles, la città degli angeli. Anche se ufficialmente la squadra di Cristian Chivu ha strappato il nastro del via proprio stanotte affrontando il Monterrey, primo avversario di questa avventura. Dalle stelle d’Europa alle stelle… e strisce degli States, dove i milanesi sfideranno, intanto, anche Urawa Red Diamonds e River Plate e vedremo se accederanno alla fase ad eliminazione diretta con la possibilità di confrontarsi con alcune delle migliori squadre del mondo.
Ma partiamo dall'inizio: nella prima città ospitante di quest'avventura oltreoceano, l'Inter approda nella più città popolosa della California, la seconda degli Stati Uniti dopo New York, una tra le più eterogenee del mondo, dove si contano etnie provenienti da oltre 140 paesi diversi del mondo e si parlano più di 200 lingue con lo spagnolo in cima alla lista. LA è la città in cui si trova il maggior numero di messicani al di fuori del Messico e nella città più messicana oltre il muro di Tijuana gli italiani hanno affrontato proprio una squadra del Paese erede della civiltà Azteca, che ha messo in chiaro le cose da subito: in casa dello sceriffo Donald Trump non vogliono giocare né il ruolo di spettatori né tantomeno quello di ospiti. Ed è con lo spirito da luchador che i Rayados de Monterrey lottano coi denti, riuscendo con la grinta a sopperire all'evidente gap tecnico con gli italiani che impiegano un po' di tempo prima di 'innescarsi' e che quando sembrano aver scaldato i motori e alzato i giri si perdono in una classica interistata. Una disattenzione, di Bastoni nella fattispecie, che perde banalmente un pallone e regala il corner da cui Sergio Ramos fa male ad un'Inter che piange l'errore individuale del 95 prima, una marcatura da rivedere di Acerbi e un Sommer in ritardo poi. Leggerezza più calcio piazzato ancora fatale ed è subito tuffo nel più recente passato. La reazione è la nota dolce di una gara che Chivu organizza bene col poco tempo a disposizione per prepararla, sfruttando l'energia, lo sprint e la vitalità di Carlos Augusto, la spensieratezza di Esposito, e la fiducia nei senatori: per sette undicesimi schiera gli interpreti di Monaco, e insieme ad essi quei principi di cui parlava nel pre-gara, 'elementi da non perdere', per poi virare sul 'ma vedrete già da domani qualcosina di nuovo'.
Il cambiamento tattico della ripresa però non regala a Chivu and co i risultati sperati e col senno del poi è nel primo tempo che l'Inter riesce a risultare più frizzante al netto dell'iniziale svantaggio, frutto sì di una disattenzione che vale come memo per il futuro ma anche 1-0 ingiusto rispetto a quanto creato dagli italiani al fronte di un avversario oggettivamente meno proficuo e tecnicamente non irresistibile, ma bravissimo a tenere in ostaggio i nerazzurri. In bilico perenne sull'orlo dell'offside, grazie al magistrale lavoro di Sergio Ramos che da solo e con sapienza dirige chirurgicamente la linea schierata a protezione di Andrada, l'Inter finisce ben nove volte oltre il confine, prontamente segnalato dalla bandierina in alto. Né tequila né tacos, l'aperitivo servito dai messicani è tutt'altro che ospitale e se sul tramontare del primo tempo la punizione disegnata da Asllani consegna di fatto il gol a Lautaro che rimette in pari il tabellino fin qui un tantino disonesto, è nel secondo tempo che si vede la 'vera Inter di Chivu', con luci e ombre.
Luis Henrique prende il posto di Pavard, Darmian passa al posto del francese e con l'ingresso di Sucic il 3-5-2 cambia volto fino a diventare 3-4-2-1 con l'ingresso di Zalewski per Mkhitaryan. Ma il fattore Z non punge come sperato e nella terra di Don Diego de La Vega, altresì noto come Zorro, l'abile spadaccino dalla tecnica tagliente e sottile, dalla capacità di poter ben sgattaiolare tra le file dei banditos mexicani, l'Inter non approfitta del regalo di Barella e spreca l'occasione di 'tracciare' la Z di Zale su un tabellino che avrebbe potuto mutare se solo il polacco non avesse colpito male spedendo sul fondo. A rischiare di far partire l'orchestra di mariachi dal lato opposto sono prima Sergio Canales che al 64esimo colpisce un palo che fa tremare Sommer, poi in pieno recupero, al 92esimo, Nelson Deossa che sfugge alla difesa interista, ancora una volta clamorosamente appisolatasi, ma sul tiro colpisce la parte esterna della rete e grazia i milanesi che non sfigurano, riuscendo a mostrarsi belli per certi versi, ma non brillanti.
La passeggiata sulla Walk of Fame è momentanemente rimandata, ma per citare un figlio adottivo di Los Angeles "il mondo che ci circonda è disgustoso e sordido" e a quanto pare Chivu, come lui, non cerca "di imbellettarlo come fa il 99% delle pellicole hollywoodiane".
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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