Arrivati alla giornata numero 25 e dopo la prestazione di ieri pomeriggio contro il Cagliari, a questo punto viene da chiedersi: cos’è un anno di transizione, come da più parti è stato definito questo dell’Inter? Un anno dove si fanno due passi avanti e prontamente se ne finisce per fare uno indietro più grosso? Un anno dove alla 25esima tornata non è ancora chiaro cosa vuole fare questa squadra da grande, visto che non si riesce ad ottenere la tanto sospirata continuità? Un anno al quale è impossibile dare un’identità vera e propria, anzi dove il gioco preferito sembra essere quello di Dottor Jekyll e Mister Hyde? Gli interrogativi nella testa sono tanti: la prova contro un Cagliari dato alla deriva dopo le recenti turbative societarie, e che invece (e qui Walter Mazzarri francamente è stato un buon profeta) ha finito col cementare il gruppo intorno a Diego Lopez col risultato di giocare una gara tutto sommato di carattere, al di là degli zero tiri in porta, ottenendo un punto forse insperato. E accentuando l’alone di mistero intorno a questa Inter, che continua in questa politica delle targhe alterne probante per i nervi dei tifosi.
RIGOR MORTIS – Ma l’interrogativo principe relativo a quest’annata così, oggi come non mai, è uno solo: fa parte del cosiddetto anno di transizione dover ancora assistere a direzioni arbitrali così sciagurate? Perché quanto fatto vedere dal fischietto nolano Carmine Russo durante tutto l’incontro va decisamente al di là del limite di tolleranza. Già quando non interviene per il fallo su un Fredy Guarin lanciato in area, il pubblico di San Siro comincia già ad avere sensazioni sgradevoli. Il problema è che si tratta del primo campanello d’allarme di una giornata da brividi, con l’ammonizione cervellotica di Juan, che finisce anche col legarsi al clamoroso rigore concesso ai rossoblu (perché a quel punto il brasiliano avrebbe dovuto essere anche espulso), e l’ennesimo rigore solare non assegnato all’Inter, questa volta ai danni di Mauro Icardi, mentre spesso il gioco veemente degli ospiti è passato in cavalleria. E se consideriamo che il Chievo, che fino a ieri condivideva il record negativo di zero penalty concessi in stagione, ha finalmente beneficiato del primo tiro dagli undici metri, ai danni si aggiunge anche il sapore amaro come il veleno della proverbiale beffa. Senza voler necessariamente intingere il becco sul piatto altrui (leggi ad esempio derby della Mole) guardiamo al bilancio nerazzurro. Da profondo rosso: cinque rigori contro e nessuno a favore, e questo è il dato che balza all’occhio maggiormente, senza contare amenità assortite sparse qui e là. E la sensazione che più si va avanti, più si recrimina, più le cose non mutino e anzi peggiorino (lasciamo perdere l’errore di Firenze, un placebo più che una panacea come qualcuno magari vorrebbe far passare). Stefano Braschi e Marcello Nicchi continuano a difendere, giustamente considerando la loro posizione, la qualità e l’operato stagionale dei fischietti italiani. E allora, simpaticamente ma non troppo, viene da chiedersi: ma le maglie nerazzurre hanno sugli arbitri lo stesso effetto della kryptonite per Nembo Kid? Ah, anche la gara della scorsa stagione contro i rossoblu si chiuse con veementi polemiche per l’arbitraggio di Giacomelli: sarà destino…
LA VITAMINA H – Vogliamo parlare di fatti di campo, lasciando perdere le recriminazioni arbitrali, che ormai lasciano solo il tempo che trovano? Va bene, allora si parli pure di un’Inter che di quella della brillante prestazione di otto giorni fa di Firenze è apparsa solo una lontana parente. Nonostante un Samir Handanovic inoperoso, calcio di rigore a parte, infatti, si è rivista una squadra piuttosto impacciata e priva di idee. Alcuni frame dell’incontro in questo senso sono stati esemplari, ad esempio un Mateo Kovacic (impatto rivedibile nell’incontro) che rimane imbambolato a guardare il controllo della sfera di Fredy Guarin senza aggredire la profondità e cercare spazi. Il centrocampo non ha offerto la stessa qualità delle ultime due prove, e da qui si evince come il tecnico nerazzurro faccia bene a benedire l’arrivo di Hernanes. In meno di un mese dall’approdo a Milano, l’ex laziale è riuscito a diventare un fattore. La sua sapienza nella costruzione del gioco, oltre che l’abilità nei calci piazzati, come reclamato dallo stesso Mazzarri, avrebbero certamente fatto comodo. Sapere che il Profeta sembra diventato già un pilastro insostituibile della mediana nerazzurra, pur apprezzando lo sforzo soprattutto di Guarin nel farne le veci, è al tempo stesso delizia e croce, perché è dura pensare che appena arrivato non possa nemmeno permettersi di avere un raffreddore, se il gap di rendimento è questo.
MAURO IL DIESEL – Manca forse ancora il terzo indizio per avere la prova schiacciante, ma i due offerti nelle ultime settimane sono abbastanza forti: Mauro Icardi sta svestendo la pelle del giocatore condizionato dai guai fisici e dai pensieri extra-campo, per mettersi quella per la quale alla fine è approdato all’Inter: quella di giovane attaccante dai mezzi debordanti. Diego Milito, al quale è stata confermata la fiducia dal primo minuto, faticava a creare pericoli commettendo spesso l’errore di abbassarsi troppo quando sarebbe servito maggiormente come riferimento in mezzo all’area, e dopo nemmeno molto tempo ha dato segnali di evidenti difficoltà anche sul piano della tenuta. Dopo l’intervallo, Mazzarri opta per il rosarino e la musica, anche da ammissione dello stesso Diego Lopez, cambia: al primo pallone sfiora il gol da far venire giù il secondo anello; poco dopo fa la torre per Rolando che di forza e di rabbia trafigge Avramov. Avramov che poi su Palacio compirà una parata che sicuramente racconterà ai nipoti davanti al camino nelle sere d’inverno, ma che buca clamorosamente ancora su Maurito che centra la traversa e poco dopo viene buttato per le terre senza nemmeno un saluto, episodio passato in cavalleria e davanti al quale Walter Mazzarri perde l’aplomb sbottando in maniera plateale in tv. Icardi, comunque, conferma la propria pericolosità e la capacità di far fruttare anche pochi palloni, soprattutto sta guadagnando ritmo e forma. E ora il tecnico nerazzurro apre una porticina ad un suo impiego dall’inizio.
UNDER PRESSURE – L’ultimo appunto di una giornata un po’ così lo regala, nel dopo-partita, Jonathan, che fa una constatazione non leggerissima in merito all’ambiente che circonda la squadra specie in casa: “Le squadre ospiti non possono venire qui e sentirsi come se giocassero in casa”. Sintomi di una pressione che comincia a diventare pruriginosa: sembra incredibile ma adesso la squadra sembra avvertire San Siro come un ambiente ostile, per non dire nemico. C’era una volta il fortino inespugnabile e una squadra che non faceva passare nemmeno uno spillo, oggi il miedo escenico a San Siro non esiste più e nessuno arriva più a Milano con timori reverenziali, anzi acquisisce la coscienza di poter dire la sua. Segnale d’allarme forte, quasi quanto quelli risuonati in campo…
IMPRESA CAPITALE – All’andata la Roma impartì una severa lezione a domicilio all’Inter di Walter Mazzarri; da quella sera non sembra cambiato molto per i giallorossi di Rudi Garcia, che continuano nel loro campionato magnifico alle spalle della corazzata bianconera, mentre i nerazzurri arrivano alla gara dell’Olimpico tra certezze e incognite. Sembra un incontro dall’esito già scritto, ma forse lo era anche a Firenze e poi…
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