Oggi, su Tuttosport, un'interessante intervista esclusiva a Jonathan. Il terzino interista ha parlato a 360 gradi della sua carriera e, in particolare, del momento felice che sta vivendo in nerazzurro.
Jonathan, perché ha impiegato tanto a esplodere in Italia?
"Perché dovevo abituarmi a un calcio diverso, perché mancava fiducia in me, perché non mi è stata data l’opportunità di giocare tante partite di seguito. Adesso conosco bene il calcio italiano, ho un allenatore, Mazzarri, che ha fiducia in me e che mi ha finalmente dato quella continuità che cercavo".
Mai avuto il dubbio di non essere un giocatore da Inter?
"Mai. Non ho mai pensato di non avere le qualità tecniche per poter giocare in una squadra come l’Inter. Perché so cosa valgo e perché c’è gente che sa di calcio che mi ha sempre detto che i miei problemi erano soltanto una questione di testa, non di mancanza di qualità o di mezzi fisici".
Qual è la critica che l’ha ferita di più?
"Non ne ricordo una in particolare, però mi faceva arrabbiare il fatto che non fossero mai costruttive. Per fortuna ho avuto sempre la famiglia al mio fianco: mia moglie Luana, mia mamma Selma e mio fratello Caio. E poi mia figlia Julia: arrivavo a casa triste e mi bastava un suo sorriso, un giochino fatto con lei per dimenticare".
Le è pesato il paragone con Maicon?
"Quella era un’idea di voi giornalisti e dei tifosi, ma io ho sempre detto, sin dalla prima intervista, che io non ero il nuovo Maicon, ma Jonathan".
Mazzarri quant’è stato importante nella rinascita?
"Devo fare una percentuale? Dico cento per cento".
Perché?
"Gli devo tutto: mi ha insegnato a fare la diagonale nel modo giusto, a stare sempre nella linea della palla ma più basso dell’uomo in fase di non possesso, stare all’altezza dell’avversario in possesso per avere più spazio e lucidità. E mi ha dato quella fiducia che mi mancava: il primo giorno dopo il suo arrivo mi ha chiamato nel suo ufficio e mi ha detto che conosceva le mie qualità e che ero un calciatore importante per l’Inter, non lo dimenticherò mai".
La scintilla è scoccata già a Pinzolo.
"Confermo. Forse anche perché potevo già andare a Napoli quando lui allenava là. In ritiro poi sono arrivato che avevo ancora male alla spalla e avevo paura di fare i contrasti, però un allenatore che sa di calcio capisce subito se un suo giocatore ha qualità oppure no. Se ci sono le qualità, imparare la tattica è solo lavoro, allenamenti. Un giorno mi ha detto “Sono sorpreso perché tu sei uno tra i giocatori che ha imparato più velocemente quello che voglio dalla squadra”. Mazzarri poi è un martello ma la sua porta per i chiarimenti è sempre aperta...".
Lei sembra rinato pure dal punto di vista fisico.
"È vero, con Pondrelli abbiamo fatto sin dal ritiro un gran lavoro: solo così riesci a ripartire, a saltare l’avversario, a raddoppiare e a correre per aiutare un compagno in difficoltà".
Come ha preso l’arrivo di D’Ambrosio?
"Per me è stato uno stimolo. Una grande squadra come l’Inter ha bisogno che ci sia concorrenza: solo così tutti sono stimolati a dare il massimo. A giugno ne arriverà un altro di esterno, ma questo non mi disturba, anzi mi sembra normale che sia così".
Prima di Mazzarri, l’unico ad averla capita era stato Donadoni.
"Quei mesi a Parma sono stati fondamentali per iniziare a conoscere il vostro calcio e per imparare la lingua perché lì la maggioranza dei giocatori era italiana. A Parma ho trovato quel sostegno di cui avevo bisogno dopo che non avevo mai giocato nell’Inter. Lì, per la prima volta, ho fatto vedere che in Italia potevo starci".
Lei ha il contratto in scadenza nel 2015, quando è arrivato a Pinzolo ha pensato che si giocava tutto in quel ritiro estivo?
"No, anche perché pensavo addirittura di non rimanerci all’Inter, visto quanto era successo l’anno prima. Non ho mai voluto andarmene, sia chiaro, ma aspettavo che l’Inter prendesse una decisione su di me. Aspettavo che arrivasse una proposta buona per me e per il club".
Quando ha capito che sarebbe rimasto?
"Dopo la gara in coppa Italia col Cittadella: ho fatto una grande partita e ho soltanto pensato a giocare quella successiva".
Avete già iniziato a parlare di rinnovo?
"Ancora no. Ora voglio pensare a queste dieci partite, poi vedremo".
Ma qual è il suo obiettivo?
"Io all’Inter sto bene, ho tanti amici, la mia famiglia è abituata all’idea di stare in Italia. Quindi, fosse per me, resterei all’Inter. Ma questo non dipende solo da me".
Come nasce la decisione di voler vestire la maglia dell’Italia?
"Qui voglio precisare una cosa: non sono stato io a propormi, ma ho risposto a una domanda ben precisa. Io lavoro in Italia, gioco per un club importante come l’Inter e, semmai avessi la possibilità di giocare in una Nazionale di livello mondiale, mi piacerebbe farlo".
D’accordo, ma se lei fosse Prandelli, Jonathan lo chiamerebbe?
"In questo momento sì. Il calcio si vive nel presente e devi chiamare i giocatori che stanno meglio".
Perché ha detto che vorrebbe giocare con Pirlo?
"Perché è il miglior giocatore in Italia. Quando ci ho giocato contro, abbiamo scambiato la maglia. Mi piace vederlo giocare: usa il destro e il sinistro con naturalezza e poi sta sempre a testa alta, esprime tranquillità. È straordinario".
Cosa manca a questa Inter per arrivare a competere con la Juventus?
"Ci manca soltanto tempo: loro è da un po’ che giocano insieme in quel modo, per noi è soltanto il primo anno. Quando impareremo a conoscerci ancor di più, ad avere più fiducia, inizieremo ad andare al loro ritmo".
Già, e la rinascita è partita proprio dalla sconfitta allo Stadium...
"Sì, ci siamo guardati in faccia e siamo stati tutti concordi sul fatto che una squadra che voleva stare in alto non poteva perdere in quel modo. Mazzarri è stato molto duro con noi, ma questo serve in certi momenti: non a caso, dalle partite successive, abbiamo alzato il livello di attenzione e i risultati si sono visti".
Zanetti potrebbe smettere. Che effetto fa?
"Lui è un’icona, è qui da una vita, ha vinto tutto quello che c’era da vincere ed è il nostro capitano. Starà a lui scegliere quale sarà il momento giusto per smettere. Sicuramente ci mancherà tanto".
Chi l’ha messa in difesa?
"Silvano, un allenatore delle giovanili al Cruzeiro. Avevo dodici anni e quella è stata la mia fortuna".
Il gol più bello?
"Quello segnato alla Fiorentina".
La partita?
"Ne ho fatte tante buone, diciamo quella di Verona".
Il sogno?
"Rimanere all’Inter per tanto tempo".
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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