Era il 6 maggio 2025 l'ultima volta che tra le mura di San Siro è risuonato l'inno della Champions, penultima stagionale prima del grande ultimo ballo, finito malissimo in quel di Monaco. Ma quella è un'altra storia e tornarci sarebbe autolesionista, specie oggi, giornata storica per la città di Milano e per l'Inter che, ricorsi permettendo, sarà presto co-proprietaria (col Milan) dello stadio Giuseppe Meazza. Un passo che volge lo sguardo al futuro, ma che qualche minuto prima del fischio d'inizio dell'inglese Kavanagh non può non girarsi, rapido verso il più recente passato. Magari quello datato 6 maggio, appunto. Se non altro per ricordare le esaltanti e vibranti vibes che Acerbi, Frattesi and co sono stati in grado di regalare alle migliaia di persone sugli spalti e non solo di quell'Inter-Barcellona. Questa però è un'altra storia, una nuova stagione, una nuova Inter.
Un'Inter che parla ancora inzaghiano per certi versi, ma che nelle ultime uscite soprattutto, ha cominciato a parlare con accento e cadenze diverse rispetto al linguaggio utilizzato nei quattro anni addietro. Alla grande prima stagionale in casa, Chivu si presenta con l'artiglieria semi-pesante: ritrova Lautaro Martinez, grande certezza di questo undici dopo l'assenza forzata in casa dell'Ajax, al suo fianco mette Thuram che vince il ballottaggio con gli altri due compagni di reparto scalpitanti, Bonny e Pio Esposito, e tiene fuori dall'undici iniziale Akanji, Mkhitaryan e Barella. Trpisovsky, dal canto suo risponde con un modulo, grande dubbio della vigilia, che fonda le sue basi sulla difesa a quattro a protezione di Stanek e un centrocampo a cinque che i cechi parcheggiano dalle prime battute nella propria metà campo. La speranza di continuare il filotto positivo inanellato fin qui in questa stagione è il mordente della squadra di Praga che nel caso di pari festeggerebbe come una vittoria. Risultato peraltro noto agli interisti che sei anni fa di sti tempi non erano riusciti ad andare oltre l'1-1 proprio contro lo Slavia di Trpisovsky. I primi venti minuti scorrono su un unico che è quello nerazzurro, sul quale, tra un passaggio e l'altro che fanno registrare esagerato possesso palla, si viaggia indisturbati verso la porta di Stanek senza che nessuno riesca mai a profanarla. Ci provano Lautaro, Thuram, Calhanoglu... Ma se la compagine con la t-shirt bianca difficilmente riesce a superare la trequarti, nella propria metà campo è piazzata bene e stana ogni tentativo d'incursione dei padroni di casa che riescono a sbloccarla solo al 30esimo con il solito capitan Lautaro, che torna a esultare in Champions League. Anche quando non sembra, il capitano è sempre lì: spinge, osserva, tiene alta l'attenzione e anche la pressione. A furia di pressare, avranno avuto ragione i tifosi vecchio stampo, Stanek finisce per andare in iperventilazione e si lascia strappare, senza troppa fatica, il pallone dall'argentino col numero dieci sulle spalle che a porta vuota fa 1-0. Risultato che Denzel Dumfries fa presto a trasformare in 2-0. Quattro minuti dopo, è ancora Francesco Acerbi a risolverla con una clamorosa invenzione: ruba palla e lancia Marcus Thuram che si prende il fondo, mette in mezzo per Dumfries che senza doversi impegnare troppo da due passi spinge alle spalle del 36 ospite e raddoppia il risultato.
Il secondo tempo riparte con una mossa di Trpisovksy che tenta di dare maggiore verve e sprint al reparto avanzato e inserisce Schranz e Chory al posto di Sadilek e Kusej prima di rientrare sul prato verde del Meazza, e Mbodji al posto di Doudera al 49esimo. Chivu non trova particolari spunti in negativo per cominciare a mischiare le carte neppure dopo l'ammonizione di Bisseck. Il primo sussulto arriva al 58esimo quando Petar Sucic, dopo aver mandato al bar l'estremo difensore, si fa fermare da Chaloupek che sulla linea in scivolata devia in corner togliendo al croato la gioia del primo gol in maglia nerazzurra e la terza esultanza della serata ai 62.317 presenti a San Siro che prima si lasciano andare in un prolungato 'nooo' di disperazione, poi applaudono innescando una mezza standing ovation. Disappunto iniziale che a trasformare in coro ci pensa ancora una volta Lautaro che al 67esimo raccoglie ancora una volta un regalo di Alessandro Bastoni, servito da uno splendido Marcus Thuram che dopo aver puntato l'uomo l'ha girata, di tacco, al 95 nerazzurro che scarica in mezzo per il diez: ancora una volta porta vuota, ancora gol. Tre a zero e subito fuori. Il tecnico romeno non ci pensa due volte e consumata l'esultanza chiama il capitano ad adagiarsi in panchina per lasciar spazio a Bonny che fa ingresso in campo in buona compagnia: con lui entrano anche Akanji al posto di Bisseck, Barella che rileva Zielinski ed Esposito che subentra a Thuram (che dopo il colpo di tacco si è toccato - anche se con smorfia leggera - il bicipite femorale della coscia sinistra). Il riscaldamento a bordo campo di Diouf lascia sperare in un ingresso del francese che però 'perde la sfida con Darmian' e alla fine ad entrare è proprio l'ex United rilevando il secondo marcatore della serata. Allo scoccare dell'80esimo Sommer ricorda al pubblico di San Siro che c'è anche lui, rendendosi protagonista di un'ottima uscita su Cham che da punizione ha puntato dritto verso lo svizzero, attento a non lasciarsi beffare neppure su un'eventuale ribattuta.
Sono tre i minuti che Kavanagh concede di recupero, che non bastano ai cechi ad accorciare le distanze né a impensierire i nerazzurri. Al contrario a martellare fino alla fine sono proprio i nerazzurri che vivono praticamente gli ultimi dieci minuti a trazione anteriore e nell'area dei dirimpettai, cavandosela con un intelligente possesso che di tanto in tanto trova qualche interruzione fallosa, utile peraltro a far scorrere un cronometro che si ferma al novantatreesimo e mette a referto una vittoria senza fatica per la squadra di casa che fa due su due in Europa e trova il quarto successo consecutivo. Nessun risultato particolarmente dilagante, ma una prestazione che non dà mai tregua alla squadra ospite, costretta a tornare a Praga con sorriso meno smagliante di quello conquistato con Antonio Conte nel settembre del 2019.
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