Lunedì scorso, al Suning Training Centre di Appiano Gentile, babele di lingue per il 'media open day' organizzato in vista della finale di Champions League, il concetto più importante l'ha espresso l'italianissimo Alessandro Bastoni, l'interista più citizen della rosa, almeno stando ad alcuni vecchi rumors di calciomercato, che ha speso il migliore degli apprezzamenti per un allenatore rispondendo così a chi lo definiva 'guardioliano' per il suo modo di interpretare il ruolo di difensore moderno: "Come caratteristiche, rispecchio il gioco di Guardiola, ma ora mi sento più inzaghiano che mai", le parole dell'ex Atalanta. Giocatore-ponte tra le ultime due ere nerazzurre, perfetto per spiegare i motivi per cui la squadra che rappresenta con orgoglio si è spinta così lontano dal poter vedere da così vicino la Coppa, con l'ambizione di prenderla per le grandi orecchie.

Tutto è partito dalla delusione cocente di Colonia, quando nella strana bolla tedesca la Beneamata si arrese in finale al Siviglia, specialista dell'Europa League. "Ora abbiamo tutti più esperienza, e questo fa la differenza in ambito europeo. Eravamo dei ragazzini, ora siamo uomini che sanno quello che vogliono e lo dimostreremo a Istanbul", il secondo messaggio ai naviganti inviato da Bastoni. Uno che è stato abituato a crescere in fretta, buttato nella mischia da Antonio Conte, al posto di un certo Diego Godin, nel corso di un Inter-Juve di quattro anni fa in cui i milanesi cercavano disperatamente di capire semplicemente quanto fosse largo il divario dagli acerrimi nemici. Dopo quella stagione, conclusa con due medaglie d'argento, l'Inter ha aperto un ciclo di trionfi, grazie a giovani come Bastoni che hanno seguito alla lettera il 'metodo Conte', colui che crea una mentalità vincente scolpendo le menti dei giocatori con un martello. Appoggiandosi ai principi tattici del condottiero salentino, l'Inter ha cavalcato verso il 19esimo scudetto, ma soprattutto è stata in grado di camminare da sola anche quando se n'è andato. Certi meccanismi non scompaiono assieme all'allenatore che li ha insegnati, semplicemente vengono rielaborati dal successore.

E' stato il caso di Simone Inzaghi, che in maniera intelligente ha capito di aver avuto in dote da Conte un'eredità pesante in termini di obiettivi da eguagliare ma anche preziosa sul piano del miglioramento della rosa: senza Achraf Hakimi e Romelu Lukaku, due contropiedisti persi durante un'estate turbolenta, l'approdo agli ottavi di finale di Champions è stato quasi naturale per il coraggio di proporre gioco nella metà campo avversaria, senza aspettare l'errore altrui, con più libertà di espressione (Dzeko uomo chiave per azionare gli schemi). Da lì è derivato un cambiamento dello status in campo europeo dell'Inter, giunta all'ultimo atto con le credenziali di squadra che ha impressionato Guardiola, alias l'allenatore che ha influenzato maggiormente il Gioco negli ultimi vent'anni. Sempre prodigo di complimenti, Pep è apparso davvero sincero quando ha parlato degli avversari, elencandone tutti i pregi, come a voler dimostrare di averli studiati minuziosamente per non sottovalutarli nemmeno un po'.

Quel che è certo, pronostici a parte, è che sabato sera l'Inter andrà in campo all'Ataturk dando una percezione diversa di sé rispetto a quando il 12 ottobre scorso approdò a Barcellona con la nomea di formazione catenacciara dopo l'1-0 inflitto ai blaugrana a San Siro. Era un altro momento della stagione, decisamente più difficile per l'Inter, che negli appuntamenti da dentro o fuori però non ha praticamente mai steccato in Coppa. Il motivo principale? Lo spiegò Bastoni nel dicembre 2021: "In campo ci divertiamo, Inzaghi ci ha dato la libertà che permette di ricordarci che il calcio è un gioco. Tranne quando perdi. Il mister cura il lato umano, il risultato è che sei più rilassato nei momenti cruciali".

Sezione: Editoriale / Data: Gio 08 giugno 2023 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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