E' il 5 maggio e l'Inter non ha ancora perso lo scudetto. Notizia prevedibile in un campionato che da agosto non ha padroni, incerto a tal punto che per i titoli di coda bisognerà probabilmente attendere l'ultima giornata schedulata per il week-end del 21-22 maggio. Intanto, a tre turni dal traguardo, con una Coppa Italia ancora da assegnare, in molti si affrettano a tracciare in anticipo il bilancio della prima stagione in nerazzurro di Simone Inzaghi ricorrendo al solito dualismo miracolo-fallimento. Nessuna posizione intermedia è accettata dalla corrente manichea che divide il mondo del calcio tra bravi e pirla, anche se per meritarsi questa o quella definizione il tal allenatore che allena la tal squadra magari non riesce a centrare un obiettivo per soli due punti (ogni riferimento è puramente casuale).

L'estremizzazione, figlia degli eventi spesso contraddittori vissuti negli ultimi sette mesi, è comprensibile tra i tifosi che pensano solo a vincere, non importa come, ma è inappropriata se a farla sono analisti che cambiano giudizi ogni fine settimana. Succede, quindi, che il magma di queste opinioni in libertà produca correnti di pensiero opposte che finiscono per mettere radici così profonde da diventare dogmatiche sui media: alcuni dicono, per esempio, che l'Inter sia in linea con i traguardi fissati dalla proprietà perché ha sostituito Eriksen, Hakimi, Lukaku e Conte con Calhanoglu, Dumfries, Dzeko (+Correa) e Inzaghi. Ma la Beneamata, da sempre bifronte, genera anche idee opposte e, infatti, c'è chi alza il ditino e asserisce che non possono bastare la Supercoppa italiana, un ottavo di finale di Champions e una finale di Coppa Italia se accompagnate da un secondo posto in Serie A per la formazione campione d'Italia in carica. Motivo? E' strettamente legato al bistrattato Milan di Stefano Pioli, primo in classifica per diversi mesi, che ormai la maggior parte della critica ha stabilito che stia overperformando perché nelle famose 'griglie' estive veniva collocato a stento in seconda fila. Continua a resistere, per assunto, anche di fronte alle smentite dei fatti, la tesi per la quale i rossoneri siano più deboli a livello di rosa di almeno tre squadre in Italia. Il che porta alla dimostrazione che ognuna di queste che vede la targa del Diavolo sia al di sotto dei suoi standard. Quelli rigorosamente tracciati sulla carta che tengono conto solamente dei valori cristallizzati dei giocatori, come se questi ultimi – soprattutto quelli giovani – non potessero migliorare da un'annata all'altra.

Le valutazioni sbagliate sono ammesse e fanno parte del gioco, ci mancherebbe, ma sono deleterie se diventano la scusa per piegare la realtà al proprio pensiero anziché il contrario. Quel che appare molto chiaro è che, mancando una squadra-riferimento come successo negli ultimi dieci anni (Juve x9, poi l'Inter di Conte), in molti si siano lanciati in pronostici avventati e che per non venire sbugiardati ora scarichino le colpe sui perdenti o riempiano in maniera sfacciata il vaso dei meriti dei vincitori. Facile così, tra miracolo e fallimento invece ci sono diversi gradi di separazione. Possiamo fare meglio di cercare una terza Fatal Verona o un altro 5 maggio, magari riportando in auge il rispetto per i vinti, certamente delusi, ma non per forza attori di una disfatta. 

Sezione: Editoriale / Data: Gio 05 maggio 2022 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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